Sbatti il mostro in spogliatoio. Le culture del sospetto

Lui è un istruttore di nuoto. Abitua i più piccoli a non temere l’acqua, a fare le prime bracciate, e trova tutti i modi possibili per rassicurarli.

Lei è la responsabile della piscina, a cui le famiglie affidano bambini e ragazzi. Ne sente profondamente la responsabilità, anche perché nel suo passato c’è una cicatrice mai rimarginata.

La prima scena del testo scritto da Josep Maria Mirό, Il principio di Archimede, li vede uno di fronte all’altra nello spogliatoio degli istruttori: che cos’è successo in vasca? cosa c’è stato tra te e quel bambino? perché circolano strane voci?

Culture del sospetto

La “cultura del sospetto” non è solo una formula coniata dalla filosofia per interpretare il nostro tempo. È una patologia sociale che oggi penetra nei fatti irrilevanti della vita. Che lascia sempre immaginare un dietro. Che a volte, troppe volte, ipotizza un un pensiero maligno, una truffa, un complotto. Nelle relazioni individuali, in quelle collettive, e più che mai in politica.

Ritorniamo in piscina: che cosa c’è stato tra te e quel bambino? Niente. Forse. Un bacetto affettuoso per rincuorarlo. Un modo per farlo superare la paura del tuffo. Ma la cultura del sospetto, che abita i genitori e si trasmette ai figli, in quel gesto vede anche altro. E ne deriva un turbamento.

Magari era un bacio sulla bocca, sibila la bambina un po’ più grande. Magari quell’istruttore estroverso, amato dai ragazzini, si è affezionato un po’ troppo ai suoi cavallucci marini, insinua il suo collega di vasca. Nelle mani di chi mettiamo i nostri figli, si domandano allarmati i genitori. E su whatzapp o facebook aprono un gruppo per schiarirsi le idee. Meglio: per trasformare un particolare in una valanga. Che travolge la vita di chi è finito nel mirino. Irrimediabilmente.

Indagati e lapidati potremmo essere tutti. E “non ho nulla da nascondere” è la barriera inerme che ciascuno di noi alza contro le paure, le morali, le ossessioni degli altri, la voglia di giustizia sommaria.

Se la cronaca reclama il mostro

Tra le molte proposte che nella scrittura per il teatro occupano le nostre scene, questa del catalano Josep Maria Mirό (da non confondere con il connazionale Pau Mirό) è una delle più interessanti, per chiarezza d’idee, sensibilità al proprio tempo, tecnica di composizione.

Come succede nella vita, Mirò non ci svelerà mai se l’ombra della pedofila attraversa la personalità del giovane istruttore. Né se ci sia un nesso tra quanto è avvenuto pochi giorni prima nella vicina ludoteca, episodio trasformato in ansia dalla piccola comunità del luogo. Quasi schiacciasse i tasti dell’avanti e dell’indietro sul nostro videoplayer, l’autore fa scorrere velocemente sotto i nostri occhi presente e passato prossimo, fatti e insinuazioni, verità presunte e false notizie. Nel frattempo, i sospetti crescono, le opinioni diventano violenze, la cronaca reclama il mostro. Non sappiamo davvero che posizione prendere.

Ed è questo il bello di parecchi lavori che costellano la carriera di drammaturgo di Mirό (www.josepmariamiro.cat). Storie contemporanee nelle quali la distorsione introdotta dai media e le regole del politicamente corretto, si scontrano con i fatti, nella loro cruda, dolorosa se non tragica evidenza. Nessuno ci sembra innocente.

Nessuno è innocente

Non è innocente La donna che perdeva tutti gli aerei (un suo testo del 2009). Né le coppie di Parco degli oleandri e Fumo (2012). Né la bambina aggredita che muore tra le braccia di una suora missionaria (La traversata, 2015).

Scritto nel 2012, allestito in quasi quaranta edizioni nel mondo, Il principio di Archimede è la scommessa che il Teatro di Rifredi – factory teatrale destinata a diventare ancora più visibile nella nuova viabilità fiorentina – lancia adesso in tema di scritture internazionali contemporanee (La bastarda di Istanbul della scrittrice turca Elif Şafak, assieme a L’ultimo harem sono stati, negli scorsi anni, i titoli di spicco, con Serra Yilmaz protagonista).

Anche perché Rifredi e il suo regista Angelo Savelli si affidano a una compagnia che riesce a combinare l’esperienza di scena di Monica Bauco (la responsabile della struttura sportiva) e la presenza perturbante dell’istruttore (atletico e incisivo, qual è Giulio Maria Corso), mentre lascia che i si dice passino attraverso i non detti degli altri due interpreti Samuele Picchi (il collega) e Riccardo Naldini (il genitore ossessionato).

Ne esce, sul bordo di quella piscina maledetta, in quegli spogliatoi dove par di sentire l’odore del cloro, una storia che tiene avvinto il pubblico sulle due gradinate contrapposte. E ci fa vedere, negli occhi di chi ci sta di fronte, come cresce, e quanto pernicioso diventa il nostro e l’altrui sospetto.

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Il principio di Archimede di Josep Maria Mirό, prodotto da Pupi e Fresedde è in scena al Teatro di Rifredi – Firenze (www.teatrodirifredi.it) fino al 25 febbraio. Poi in tournée

Come recuperare i ricordi perduti (nel tempo della sharing economy)

Ditemi: vi piacerebbe bussare alla porta dell’Ufficio Ricordi Smarriti e recuperare là, tra scaffali, contenitori, faldoni, tutto ciò che si è perso nel tempo, o nella vostra memoria?

Chessò: potrebbero essere “45 giri, LP, cassette, cartoline, le Polaroid, i Bignami, tutti i diplomi. La maglietta della squadra del cuore o le scarpette di raso rosa. La chiave della stanza alla casa dello studente. Intere collezioni di bottiglie di birra. Play Boy, Io Sono Mia, Due più. Pillole dolci e amare, scatole di preservativi, anche colorati. Mini mini gonne, calze a rete. Stick per i bruschi, gel e lacca, tanta tanta lacca”. Forte no? Soprattutto se siete nati negli anni Sessanta, o Settanta. Nell’Ufficio Ricordi Smarriti è accumulato tutto il vostro passato.

La gentile addetta che col sorriso vi accoglie all’ingresso sa dove cercare, e può fare tanto per voi. Tanto, non tutto. Infatti vi avverte: “Per i primi tre anni di vita niente da fare. Si è troppo impegnati ad imparare a stare al mondo, per avere ricordi. Un altro periodo un po’ così, un po’ buio, è quello delle scuole medie. Non avete idea di quanta gente viene qui a cercare i diari di scuola, le foto fatte in classe, perfino la ciocca della compagna di banco, legata con il nastrino dell’amicizia, eterna …e i bigliettini passati di nascosto. Ma si capisce, no, perché questo periodo cade nel dimenticatoio. Non si è né carne né pesce”.

Teatro d’esperienza

Ufficio Ricordi Smarriti, oltre a essere il titolo della più recente creazione del Collettivo N46°- E13° guidato dalla regista Rita Maffei, è anche un percorso esperienziale. Come altri esempi della scena contemporanea, mette infatti da parte le formalità della rappresentazione, il lavoro d’interpretazione sui testi, il carisma dell’attore. E confonde le carte del teatro, così come nella testa si confondono i ricordi, mentre invita gli spettatori a immergersi in questa particolare forma di spettacolo. Teatro immersivo, la chiama qualcuno.

Ho scritto spettatori: in realtà si tratta uno spettatore solo. Nel sottopalco del Teatro Palamostre a Udine, in tante stanzette separate, una decina, tutte ideate dalla scenografa Luigina Tusini, Ufficio Ricordi Smarriti si rivolge a una persona sola. O almeno, a una per volta. È inoltre uno spettacolo costruito per episodi, modalità che richiama i contemporanei formati della visione, e si distende in sette puntate, che hanno preso il via lo scorso dicembre e si concluderanno a maggio.

Ancora: ad abitare quelle stanzette, a ricercare insieme a voi le madeleine del tempo perduto, non ci sono attori di mestiere. Ma un collettivo di persone di età e professioni diverse che ha scelto di aderire, come cittadini, autori e performer, alla proposta di Maffei, energetica sostenitrice di un teatro partecipato, che già li aveva coinvolti nel precedente progetto, N46°- E13°, le coordinate geografiche di Udine, da cui anche il nome del collettivo.

Pertanto: ci sono tutti gli elementi per fare di Ufficio Ricordi Smarriti  un lavoro profondamente diverso dagli spettacoli che da decenni danno forma al cartellone di Teatro Contatto. E inquadrarlo piuttosto in quelle civili forme di partecipazione relazionale a cui la sharing economy ci sta abituando. Se con BlaBlaCar condividiamo le nostre automobili e i nostri viaggi, possiamo provare a farlo anche con beni intangibili, com’è il teatro, che vengono condivisi mettendo tra parentesi le regole, le tecniche, il professionismo che caratterizzano da mezzo millennio almeno i mestieri dello spettacolo. C’è già chi storce il naso, lo so: “…e allora noi professionisti?”. Ma bisognerebbe fargli notare che BlaBlaCar e Uber non sono i nemici del trasporto pubblico. Sono le alternative. 

Il gioco del passato e del presente

L’idea di aprire un Ufficio Ricordi Smarriti nasce dalla lettura collettiva di un bel libro del fisico Carlo Rovelli intitolato L’ordine del tempo. Duecento pagine, lievi e al tempo stesso profonde, che invito a leggere, per spazzare via alcuni di quegli stereotipi e di quei luoghi comuni che, insieme, condividiamo a proposito del Tempo. Dal momento che è proprio nel gioco di passato, presente e futuro che trovano spazio i ricordi.

Parafrasando Rovelli, in una di queste stanze, un’altra esperta di recupero dei ricordi vi dirà: “Tu sei i tuoi pensieri pieni di tracce delle parole che ti sto dicendo. Sei le carezze di tua madre. Sei la dolcezza serena con cui tuo padre ti ha guidato. Sei i tuoi viaggi adolescenti, le letture che si sono stratificate nel tuo cervello, i tuoi amori, le tue disperazioni, le tue amicizie. Tu sei ognuno di loro, e loro sono te. Sei le cose che hai scritto, che hai ascoltato, i volti che sono impressi nella tua memoria. Da oggi anche il mio”.

Quel passato che non passa

Detto con il suo sguardo fisso sui vostri occhi, tutto ciò tocca nel profondo e lascia spesso commossi coloro che escono da quella stanza, pronti a varcare le altre porte. E a immergersi nel ricordo di notti di viaggio in auto, saporite ricette di polpo e patate, sessioni presso uno psicoanalista affascinato dalla caduta dei gravi, ritratti di donne ammazzate da legislazioni ingiuste, minuscoli rifugi dell’anima pieni di peluche o di bigliettini affettuosi, adolescenti che sfidano il tempo alla fermata dello scuolabus, attese interminabili sul letto a due piazze, rituali new age, squarci di infanzia in campagna, là dove c’era il verde, ora c’è una città. E ancora fotografie, diari, biglietti, oggetti feticcio che si squadernano davanti agli occhi. Un passato che non vuol passare.

E proprio qui il sta guaio: non dello spettacolo, che di sera in sera mette in paziente attesa, ad uno ad uno, tanti spettatori. Il guaio esistenziale. Dovessimo davvero entrare in quell’immaginario Ufficio Ricordi Smarriti, dovessimo trovare tutto ciò che cerchiamo, magari anche ciò che non cerchiamo, tutto ciò che abbiamo vissuto ci ricadrebbe addosso. Ne finiremmo oppressi, schiacciati. Non ci si può portare appresso tutto il proprio passato. Per questo il nostro cervello si è inventato una balsamica applicazione che si affanna a cancellarli meglio che può, i ricordi. Si chiama oblio. La sua funzione, però, i suoi diritti, le sue consolazioni, meriterebbero un altro post, un’altra volta.

Nell’ultima stanza ci sono solo una penna e un libro, con molte pagine bianche. Ognuno può lasciare scritte le proprie impressioni. Ci impiegherò qualche giorno, ma me le leggerò tutte.

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Ufficio Ricordi Smarriti vede coinvolti:

Josephina Balaguer, Valter Bertuzzi, Ilaria Borghese, Serena Bruno, Bruno Chiaranti, Emanuela Colombino, Manuela Daniel, Ada Delogu, Laura Ercoli, Antonietta Ermacora, Daniela Fattori, Massimo Franceschet, Tiziana Franzolini, Mariantonietta Giffoni, Gianna Gorza, Loris Indri, Milica Jacimovic, Lara Lagomarsino, Ornella Luppi, Donatella Mazzone, Fedra Modesto, Emanuela Moro, Laura Nazzi, Silvia Palmano, Emanuela Pilosio, Dania Rizzardi, Luisa Schiratti, Ilenia Spallino, Anna Spironelli, Andrea Tami, Valentina Toffoletti, Hava Toska, Pilar Vila Piqueras, Federica Visentin, Enea Zancanaro.

La regia è di Rita Maffei, le installazioni sceniche di Luigina Tusini. La produzione CSS – Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia

Il calendario degli episodi è pubblicato sulla pagina del CSS.