Dal 27 maggio al 2 giugno, a Castrovillari, si svolge la diciannovesima edizione di Primavera dei Teatri. Ho un sacco di buone ragioni per arrivare fino laggiù, in Calabria, sotto il monte Pollino. E per vedere altrettanti spettacoli accanto alla Torre Infame.
Santarcangelo. Pontedera. Polverigi. Gibellina. Nomi che mai sarebbero emersi dalle mappe geografiche, si affermarono alla fine del secolo scorso grazie al teatro e ai suoi festival.
L’era successiva ha piantato sulle carte altre bandierine eccellenti. Chiamateli festival millenials. Castiglioncello. Fies e Dro. Sansepolcro. Ma soprattutto Castrovillari: poco più di ventimila abitanti, Calabria interiore, qualche decina di chilometri dal monte Pollino.
Chi ha portato alla luce una Castrovillari sconosciuta ai più, e ne ha fatto il polo del teatro in un’area geograficamente disagiata, estranea ai flussi della contemporaneità, è stata Scena Verticale. Saverio La Ruina e Dario De Luca, cresciuti come compagnia negli anni ’90 (La stanza della memoria, ’96, era il loro primo spettacolo), inventarono nel ’99 il festival che già con il nome, Primavera dei teatri, indicava un progetto di fioritura, puntualmente realizzato.
Chi segue i calendari del teatro sa che Primavera dei Teatri segna ogni anno l’inizio della stagione dei festival. E sa che arrivando Castrovillari – itinerario che non sempre è comodo – potrà ripartire, qualche giorno dopo, soddisfatto, con una valigia di visioni che difficilmente avrebbe previsto. Coerente con la sua immagine, Primavera dei teatri apre ogni anno finestre su altri paesaggi di teatro: compagnie, artisti, fenomeni, titoli nuovi. Sono tanti anni che – preso un aereo, un treno, in alcuni casi anche il bus – mi ritrovo sul corso principale e poi proseguo a piedi verso lo sperone di roccia , la città vecchia, dove il festival ha il suo centro vitale.
Di scoperte, a Castrovillari, ne ho fatte tante. Sopratutto qui, sugli spalti del Castello Aragonese, nei due cortili e nelle celle del Protoconvento. Magari a tavola, nelle sale sempre affollate della Torre Infame – dove i piatti non si ordinano, ma vengono contesi – ho visto muoversi quel teatro italiano che mi piace, gli artisti di cui riesco a vedere la forza propulsiva, i nomi che non conosco ancora ma, mi pare di intuire, si affermeranno. I millenials della nostra scena.
Per questo torno anche quest’anno a Castrovillari. Da una parte non voglio perdermi gli spettacoli più recenti di chi, negli anni scorsi, ha dato frequenti input al mio interesse.
So che vedrò Eracle odiatore del Teatro dei Borgia, l’anteprima del nuovo progetto di Babilonia Teatri, Calcinculo, e di quello di Quotidiana.com, che si intitola Prima che arrivi l’eternità. Ho messo in calendario un appuntamento con il Teatro delle Ariette, Attorno a un tavolo, l’esito di La teoria del Cracker (di Occhisulmondo, che in dicembre avevamo premiato, in forma di studio, nella finale del Premio Tuttoteatro.com – Dante Cappelletti).
E ancora il debutto della nuova produzione di Fortebraccio Teatro, Sei – e dunque, perché si fa meraviglia di noi?, lo scavo che Roberto Latini ha fatto per decostruire i Sei personaggi di Pirandello. So inoltre che incontrerò Massimiliano Civica, Simone Nebbia, il Teatro della Maruca: i loro laboratori danno ulteriore sostanza al calendario degli spettacoli. Poi il percorso Kids, con la nuova produzione dei padroni di casa, Il diario di Adamo ed Eva. E ancora Europe Connection per promozione e diffusione della nuova drammaturgia europea attraverso la messa in relazione con la produzione artistica regionale.
Dall’altra parte, a creare in me un’attrazione più forte, sono le compagnie, gli autori, gli attori che non conosco, o non conosco a sufficienza, o magari non ho mai incrociato. Li trovate anche voi, tutti in fila nel calendario del festival, che da domani si distende fino al 2 giugno (scarica il pdf).
Vi lascio infine, quasi un appunto, il breve video che Dario (De Luca) e Saverio (La Ruina), hanno registrato per annunciare, personalmente, la loro creatura 2018.
A che cosa si riferisca Saverio, quando parla della Fuoco di Bacco, lo sanno tutti coloro che, una volta almeno, si sono seduti a un tavolo all’osteria della Torre Infame. Gli altri, come dice nella battuta finale, bisogna proprio che prendano il bus per Castrovillari.
Basterà una partita a basket per capire se a vincere, oggi, sono i valori o le convenienze? Per scoprire chi interpreta meglio l’Italia contemporanea: idealismo o utilitarismo? Dare una risposta non è poi difficile. Senza nemmeno stare a pensarci troppo.
Nessuna pietà per l’arbitro, Mamimò
Ma Nessuna pietà per l’arbitro, scritto da Emanuele Aldrovandi, è il lavoro che mi è sembrato migliore, il più pensato, il meglio realizzato, tra i sei titoli che la decima edizione di In-Box dal vivo ha messo in lizza, qualche giorno fa a Siena, grazie alla macchina organizzativa di Straligut Teatro (con Fabrizio Trisciani e Francesco Persone al timone) e al supporto di Fondazione Toscana Spettacolo.
A decidere il vincitore del festival-expo, c’era una giuria di circa sessanta compratori chiamati a scegliere – in quella rosa – gli spettacoli da programmare la prossima stagione nelle proprie sale teatrali: una Rete che copre gran parte delle regioni italiane.
Però non è stato Nessuna pietà per l’arbitro, produzione di Mamimò, il più acquistato. Hanno prevalso invece, vendendo il maggior numero di repliche, i ragazzi sornioni di Bahamut, che avevano facile gioco ironizzando in scena proprio sui videogiochi scaricati sul telefonino (It’s app to you. O del solipsismo). Secondo si è piazzato Lo soffia il vento (prodotto da TrentoSpettacoli), un lavoro dove si incrociano due monologhi di Massimo Sgorbani, che hanno al centro disturbi famigliari di cui spesso leggiamo in cronaca nera.
Aldrovandi, autore di Nessuna pietà per l’arbitro, è il trentenne che nel suo medagliere ha tutti i principali premi italiani alla drammaturgia, e che nei suoi testi sa dosare, come fa anche Stefano Massini, il rapporto tra astrazione e dettaglio quotidiano. Qui, la storia di un brutto incidente sportivo (un braccio rotto in una partita di basket) precipita a cascata verso il peggio (nessuna pietà, appunto, per l’arbitro) e diventa l’occasione per porre qualche domanda sullo spirito della nostra epoca, sul dissolversi delle ideologie (meglio, degli ideali), per mettere in gioco qualche briciola etica.
Per volare insomma un po’ più alti dell’orizzonte del quotidiano, che il teatro insegue oggi ancor più di ieri, il tempo del realismo. Senza riuscirci, però. Perché il cinema, la televisione, le serie netflix, sono molto più adatti a questa rappresentazione .
Quotidiane, anzi quasi istantanee, col fiato corto, e destinate a tramontare velocissime, non solo a teatro, sono le parodie sul consumismo tecnologico e sui videogame. Anche se un eroina come Lara Croft, le sue pose ondeggianti, in attesa che il giocatore decida la prossima mossa, sono la cosa più divertente e piacevole di It’s app to you e della sua interprete femminile, Paola Giannini, anche autrice del testo assieme agli altri due attori, Andrea Delfino e Leonardo Manzan.
It’s app to you, Bahamut
E quotidiani, chiusi in un esasperato edipo famigliare, sono i due testi di Sgorbani, che un’incomprensibile scelta infila in un solo titolo (Lo soffia il cielo, lieve, forse fuorviante, evocazione pasoliniana). Che però toglie al torbido Sgorbani la capacità di raccontare le sue storie e lo annega nel quadretto. La regia dell’altrove bravo Stefano Cordella la tira per le lunghe, però i due interpreti, costretti al divano tivù, Cinzia Spanò e Francesco Errico, lasciano il segno come madre disturbata e disturbato figlio.
Lo soffia il cielo, TrentoSpettacoli
Dunque: se sono questi due titoli ad imporsi nelle scelte dei giurati di In-Box (che supponiamo conoscano bene il proprio pubblico) pare necessario il supplemento di una riflessione che provi a capire come si vanno via via modificando i lati di quel triangolo che vede la drammaturgia, l’allestimento scenico e il pubblico, ridefinire i rapporti reciproci. Problema su cui si discute parecchio. Ma sui cui raramente si è d’accordo.
È una riflessione che proverò di nuovo a fare tra qualche giorno, quando verranno resi pubblici anche gli esiti del Premio Hystrio – Scritture di Scena, contest di drammaturgia pura, cioè ancora senza allestimento.
Per il momento ricordo che gli altri spettacoli candidati a In-Box 2018 erano Phoebuskartell (Il ServoMuto Teatro), Neve di Giovanni Betto e Desidera del Teatro nel Baule, che si sono spartiti le restanti repliche in palio.
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Nessuna pietà per l’arbitro, di Emanuele Aldrovandi, con Filippo Bedeschi, Luca Mammoli, Federica Ombrato, Alessandro Vezzani, regia Marco Maccieri e Angela Ruozzi. Produzione Centro Teatrale Mamimò (vedi la scheda su Sonar).
It’s app to you. O del solipsismo, di e con Andrea Delfino, Paola Giannini, Leonardo Manzan, regia di Leonardo Manzan. Produzione Bahamut (vedi la scheda su Sonar).
Lo soffia il cielo, uno spettacolo tratto da Angelo della gravità e Le cose sottili nell’aria di Massimo Sgorbani, con Cinzia Spanò e Francesco Errico, drammaturgia e regia Stefano Cordella. Produzione TrentoSpettacoli (vedi la scheda su Sonar).
Come ogni anno – e presto saranno cinquanta – torna il Festival di Santarcangelo. Un’evoluzione instancabile lo ha segnato fin da quando quella tappa estiva in Romagna accompagnava anno per anno, nella mia personale esperienza e nei miei incontri, il Nuovo Teatro. Era il tempo in cui l’Italia e gran parte dell’Europa scoprivano un linguaggio d’arte e una forma di stare insieme completamente diverse da ciò che per i primi settant’anni del ‘900 era stata la lingua dominante della scena occidentale.
Da allora – cioè dalla fine degli anni ’70 – Santarcangelo ha continuato la sua evoluzione, così come si è evoluto il nostro modo di percepire il teatro. E per alcuni di noi, anche di farlo.
A ridosso della conferenza stampa che ha annunciato la 48esima edizione del Festival, intitolata Con il cuore in gola, condivido volentieri il lungo comunicato, che ne riassume gli appuntamenti, tra il 6 e il 15 luglio 2018.
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Comunicato
La 48^ edizione di Santarcangelo Festival, storica manifestazione dedicata alla performance contemporanea internazionale, si terrà a Santarcangelo di Romagna (RN), da venerdì 6 a domenica 15 luglio 2018, con un programma che, da mattina all’alba, spazia tra le arti e i generi, senza limiti geografici e disciplinari. Titolo dell’edizione 2018: Con il cuore in gola.
“Tre falchi, liberi di volare, sfiorano lo spettatore provocando attrazione, timore, persino minaccia. Rapaci potenti, magici, nobili, capaci di risvegliare lo spirito, di ravvivare la curiosità: la condivisione dello spazio con questi animali selvatici provoca le stesse emozioni dei grandi momenti di trasformazione“.
GOLD è la creazione 2011 che Francesca Grilli riprende nella prima serata di Santarcangelo 2018, il 6 luglio.
Francesca Grilli, Gold
Al secondo anno di direzione artistica di Eva Neklyaeva – nata a Minsk e formatasi ad Helsinki come curatrice e direttrice di istituzioni artistiche internazionali, tra cui Baltic Circle Festival – e Lisa Gilardino – manager internazionale di performing arts e curatrice – il Festival conferma e rilancia il suo ruolo nella scena contemporanea internazionale, configurandosi come una piattaforma intercontinentale che offre al pubblico una nuova ampia visione su ciò che di rilevante accade oggi nell’ambito delle performing arts.
Nei primi due weekend di luglio, Santarcengelo ospiterà una proposta di spettacolo audace e avventurosa, che rompe alcune consuetudini, accogliendo 54 formazioni da tutto il mondo, quasi 200 artiste e artisti le cui voci sono ancora poco ascoltate, le cui creazioni hanno formati speciali o trattano tematiche difficili da presentare nel circuito tradizionale, ma sono urgenti per il dibattito artistico e politico contemporaneo.
Spaziando tra linguaggi e stili molto differenti, gli oltre 150 appuntamenti di Santarcangelo Festival 2018 conducono il pubblico al di là dei confini dell’ovvio e del conosciuto, anche geografico, e disegnano un articolato paesaggio emotivo: cuore in gola, claim di questa 48^ edizione, individua proprio la manifestazione corporea dell’intensità di un’emozione, la sensazione viscerale, pre-verbale che attraversa il corpo in alcune condizioni emotive. Gli spettatori sono invitati a immergersi in questa intensità, a esplorarla e a prenderne consapevolezza, attraversando luoghi sconosciuti del territorio e del proprio inconscio, con modalità di visione non convenzionali e immersive.
Al centro della riflessione sulle emozioni, la paura: elemento cruciale del contemporaneo, strumento di manipolazione politica ed economica, di cui riappropriarsi come comunità e come individui, recuperandone l’originaria funzione, elemento di forza e coesione quando vissuta in un ambiente protetto e condivisa. L’intelligenza emotiva collettiva oggi è offuscata, relegata a qualcosa di esoterico: performance, teatro, danza, concerti, cinema, dj set, escursioni, pratiche sportive e dedicate al benessere e alla cura del corpo saranno l’occasione per riattivarla e riscoprire un rapporto con la natura nel suo senso più ampio, spazio in cui tornare a sperimentare la libertà, entrare in contatto con il mistero, il magico, il rituale.
Il paesaggio naturale
Un rituale collettivo contemporaneo, che accade nella natura e che parla di natura. Come nel caso delle creazioni di Ingri Fiksdal, coreografa norvegese per la prima volta in Italia: Night Tripper e Diorama for Santarcangelo lavorano sulla percezione e sul suo impatto. Night Tripper è una passeggiata nel bosco, una performance-concerto, un rituale e un evento sociale. Il progetto mette in scena, in mezzo alla natura e al crepuscolo, sei performer, insoliti strumenti musicali, un coro e molti spiriti potenti. Il progetto viene re-immaginato per Santarcangelo in una versione site-specific lungo il letto del fiume Marecchia. In Diorama for Santarcangelo la coreografia diventa una lente attraverso la quale Ingri altera o interviene sulla percezione del paesaggio naturale, in un’esperienza onirica e indimenticabile, su una spiaggia di Rimini all’alba.
Artista associato, Markus Öhrn dalla Svezia con The Unkowncrea una cornice per otto artisti, che presenteranno ogni sera un progetto inedito: un palco temporaneo nel bosco, lungo il fiume Uso, accoglie ogni notte il pubblico, che compirà un passo verso l’ignoto. Gli artisti invitati, quattro svedesi e quattro italiani, sono Makode Linde, artista visivo, musicista e dj, Linnea Sjöberg, artista visiva e performativa, Linnea Carlsson, scultrice, disegnatrice e creatrice di installazioni sonore, Oskar Nilsson, pittore, Damiano Bagli, musicista, inventore e pensatore, Mara Oscar Cassiani, coreografa, performer e new media artist, Federica Dauri, performer, e Maurizio Rippa, cantante lirico e performer.
In Don’t be frightened of turning the page, Alessandro Sciarroni prende spunto dal movimento migratorio di alcuni animali che al termine della loro vita tornano a riprodursi e a morire nel luogo dove sono nati. Con il mondo animale si relaziona anche Francesca Grilli, artista associata del Festival, che in Gold invita gli spettatori a condividere lo spazio con tre falchi, alcuni falconieri e tre cantanti. Nei suggestivi Orti dei Frati Cappuccini agisce Cristina Kristal Rizzo con ikea: un flusso continuo e ipnotico di movimento crea uno spazio di vicinanza nel quale chi guarda è invitato ad amplificare i propri sensi. Anche Muna Mussie con Oasi, coproduzione del Festival, riflette sulla natura e sulle paure connesse ai sGecko) Version/11.0.1 Safari/604tto, chiusa in a una sfera trasparente, in solitudine. Muna presenterà anche Punteggiatura, un’opera d’arte collettiva realizzata grazie al dialogo con un nucleo di donne di differenti provenienze del territorio bolognese. Il libro di stoffa, un “tessuto sociale” che si mette in pratica e si traduce in ricamo, è promosso da ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione, nella cornice di Atlas of Transtions Biennale I Right to the City, a cura di Piersandra Di Matteo. L’opera è realizzata in collaborazione con la Scuola delle Donne | Pilastro (CESD), Biblioteca Italiana delle Donne, con il coinvolgimento delle cooperative Camelot e Mondo Donna, Cantieri Meticci, Ars Aemilia e Santarcangelo dei Teatri.
Il paesaggio umano
Donne di Bologna, adolescenti italiani e islandesi, un coro di Santarcangelo, ma non solo… Nella creazione dei 150 appuntamenti sono coinvolti quasi 200 tra adulti, adolescenti e bambini del territorio. È il caso di Multitud di Tamara Cubas, dall’Uruguay, che aprirà il Festival il 6 luglio con una performance nello spazio pubblico a ingresso libero che coinvolge circa 70 volontari. La domanda di partecipazione è aperta a tutte e tutti (il workshop si terrà dal 28 giugno al 5 luglio). Tamara, coreografa con formazione legata alle arti visive, analizza la condizione sociale dell’essere umano contemporaneo, la nozione di eterogeneità all’interno di un collettivo, l’idea di “altro”, le relazioni interpersonali e la possibilità di dissenso.
Tamara Cubas, Multitud
Dalla Grecia Panagiota Kallimani, per la prima volta in Italia, presenta Arrêt sur image, performance frutto di un laboratorio con bambini che si svolge nei luoghi da loro frequentati: una scuola, un giardino, una piazza. Lo spazio della loro vita quotidiana prende una dimensione surreale, straniante. In una danza lenta, dal ritmo inusuale.
Il pubblico è chiamato ad essere in alcuni casi co-creatore dell’esperienza di spettacolo e il Festival può davvero dirsi realizzato con il supporto delle comunità, quella locale e quella temporanea di spettatori, performer, attivisti, operatori. Come in Your word in my mouth, creazione prodotta da e per il Kunstenfestivaldesarts di Bruxelles da Anna Rispoli, Lotte Lindner&Till Steinbrenner in cui gli spettatori sono invitati a dare la loro voce alle parole di alcune persone intervistate sul tema dell’amore, mettendo in discussione la loro stessa tolleranza o indifferenza.
Il paesaggio emotivo
Santarcangelo Festival 2018 disegna un paesaggio emotivo variegato e cangiante. Un Panorama vasto e inaspettato, in cui addentrarsi senza pregiudizi e limitazioni, come nello spettacolo omonimo di Motus, artisti associati del Festival: una biografia plurale e visionaria del gruppo interetnico di performer del mitico teatro dell’East Village newyorkese, La MaMa. Sempre di Motus anche CHROMA KEYSdi Enrico Casagrande, Daniela Nicolò e Silvia Calderoni, performance-scheggia impazzita di Panorama, un’immersione dal sapore cinematografico sui bordi della visione e negli angoli inquieti di noi stessi dove predominano le inquadrature sull’elemento umano. Una ricerca in cui i vecchi artifici, Truka e Chroma Key faranno apparire mondi altri, forse mostruosi.
Motus, Panorama
Emozioni e vita vissuta anche al centro di minor matter in cui la coreografa dominicana Ligia Lewis affronta questioni relative alla percezione del corpo e dell’etnia, combinando danze popolari e uno score musicale che attraversa generi e epoche. Da Nuova Delhi Mallika Taneja con Be carefulaffronta il tema della violenza sulle donne con un solo, fra teatro e danza, dotato di grande intelligenza e ironia. Dall’Australia Nicola Gunn, artista rivelazione dell’ultima edizione del Coil Festival di New York, presenta per la prima volta in Italia il suo Piece for Person and Ghetto Blaster, di cui è autrice e interprete: da un semplice episodio, un litigio con un uomo che lancia dei sassi a una papera in uno stagno, s’innesca un’esplosione di testo, movimento ed energia; una ricerca coreografica precisa ed incalzante si fonde con una drammaturgia testuale originalissima, che spazia dalla filosofia al racconto personale per aneddoti, con un’ironia sovversiva.
Anche in Gentle Unicorn, di Chiara Bersani,coproduzione del Festival al suo debutto, il pubblico si confronta con il corpo politico dell’artista attraverso la metafora del leggendario animale (in partnership con Operaestate/B.Motion Festival di Bassano del Grappa e Graner di Barcellona). Si basa su una biografia, ma del nonno, RH negativo di Asia Giannelli, una performance-video installazione che include un breve documentario, un testo e una lastra di ghiaccio.
L’emozione è al centro anche di I am within, prima tappa di una progetto che troverà forma compiuta nel 2019, di Dewey Dell: una bambina, sola in scena, si confronta con la paura, con la fuga da ciò di cui non si può sopportare la vista o l’udito.
Artista affermata in Brasile e ancora poco conosciuta in Europa, Michelle Moura presenta per la prima volta in Italia il suo lavoro: FOLE esplora la ricerca fra respiro, voce e movimento, invitando gli spettatori a un viaggio, alterando gli stati percettivi. Si dipana tra movimento, testo, drammaturgia, immagine e intervento sociale anche 105: society for the creatively maladjusteddi Nana Biluš Abaffy, per la prima volta ospitata con il suo lavoro fuori dall’Australia. Nana è stata nominata al prestigioso Premio Kier come più talentuosa coreografa emergente nel suo Paese.
Daria Deflorian e Antonio Tagliarini, con Francesco Alberici, presentano Scavi, coproduzione del Festival, prima ed unica restituzione pubblica della ricerca per il nuovo spettacolo teatrale Quasi Niente, liberamente ispirato al capolavoro di Michelangelo Antonioni Deserto Rosso, che debutterà ad ottobre 2018. Il film del 1964, creato a partire da un breve racconto di Tonino Guerra, ha come protagonisti il paesaggio, una Romagna trasfigurata, e una Monica Vitti indimenticabile.
Dal Libano Tania El Khoury con As Far As My Fingertips Take Me propone una conversazione attraverso un muro fra un unico spettatore e un rifugiato. Attraverso il contatto fisico e il suono, vengono condivise storie con persone che hanno subito recentemente discriminazioni a causa dei confini.
Il paesaggio pubblico
Da spettacoli per uno spettatore alla volta ad appuntamenti pensati per lo spazio pubblico, aperti a tutti e tutte, a ingresso libero. Dall’inaugurazione del Festival con Multitud di Tamara Cubas a Those ghels di Buhlebezwe Siwani & Chuma Sopotela, per la prima volta in Italia dal Sudafrica. Chuma è attrice, regista e performer, Buhlebezwe è artista e sciamana: insieme presentano una performance tra danza e video, con cui decostruiscono la rappresentazione del corpo femminile nei video musicali. Sempre nello spazio pubblico, l’intervento performativo pensato ad hoc per Santarcangelo da Sissi che con Unravelling vein immaginerà il paese come un corpo emotivo, grazie alle vene e alle arterie del sottosuolo.
La musica
Il programma musicale, a cura di Stefania Pedretti e Francesca Morello, a ingresso libero, si dipana tra concerti e DJ-set sotto lo chapiteau di Imbosco. Dalla Germania Bleedingblackwood: Timo C Engels, musicista e dj di stanza a Berlino, si esibirà con Martina Bertoni, suonatrice di cello italiana, di formazione classica, in un concerto fortemente connesso alla natura. Father Murphy, una delle più interessanti entità musicali italiane, porterà il suo live tra concerto, rito e performance artistica. Dalla Svezia Trepaneringsritualen, progetto da solista del musicista svedese Thomas Martin Ekelund, si configura come un live act estremo che esplora i temi della religione, del magico e dell’occulto. Sequoyah Tigerproporrà un live set danzato del progetto musicale della produttrice e compositrice veronese Leila Gharib, tra canzone, reminiscenze melodiche dei gruppi doo-wop anni ’50, bizzarrie elettroniche, video e atletiche azioni sonico-gestuali condivise con la danzatrice e coreografa Sonia Brunelli (insieme sono Barokthegreat). DalSudafrica il duo dei FAKA: Fela Gucci e Desire Marea esplorano una combinazione di linguaggi e discipline che variano dai concerti alla performance, alla letteratura, dal video alla fotografia, per creare un’estetica eclettica con la quale trasmettono la loro esperienza di corpi neri queer nell’Africa post-coloniale
Ad Imbosco, il tendone da circo nascosto tra gli alberi ai piedi del Parco Cappuccini, quando cala la notte e gli spettacoli sono terminati hanno inizio la musica e il ballo, con DJ italiani e internazionali in consolle da mezzanotte all’alba: Deep Soulful Sweats – Australia, Dani – Belgio con Habibi / Al Queer, GEGEN – Germania, Lilith Primavera, Tropicantesimo, Lady Maru & Valerie Renay – Germania/Italia, Matteo Vallicelli, The Expandig Universe, The Good Chance Radio.
Progetti speciali
La collaborazione tra Santarcangelo Festival e MACAO, centro per le arti, la cultura e la ricerca di Milano, prosegue quest’anno con l’attivazione di un dispositivo che mette al centro la cura e l’amore, per sé, l’uno nei confronti dell’altro e per le comunità, come azione radicale attraverso cui immaginare nuove forme sociali. Crypto Rituals incrocia l’economia circolare con la costruzione di comunità, prima di tutto affettiva, introducendo nel Festival una criptomoneta, Santa Coin (con il supporto tecnico di dyne.org e commonfare.net) e coinvolgendo alcuni professioniste/i del territorio che si occupano di benessere e cura del corpo. Piazza Ganganelli sarà invasa durante i fine settimana da rituali a cui prender parte: i servizi offerti dagli artigiani del corpo coinvolti, un’acconciatura o un massaggio, una manicure o una lettura di tarocchi, entreranno nella programmazione del Festival e saranno acquistabili con le Santa Coin, così come tutta l’offerta di spettacolo.
Progetti realizzati con la comunità di teenager locali sono la non-scuola / Teatro delle Albe, Let’s Revolution! e WASH UP con Eva Geatti & Slander, percorsi che coinvolgono i ragazzi durante tutto l’anno e che culminano nel Festival.
In aggiunta al programma di performing arts, Santarcangelo Festival ospita, come ogni anno, il mercatino artigianale Garage Sale, un’offerta di ristorazione vegan-friendly, con alimenti eco-sostenibili locali, un programma di proiezioni cinematografiche gratuite all’aperto ogni sera, una serie di attività sportive all’aperto. Oltre a questi progetti, la programmazione comprende workshop, talk, momenti di condivisione.
Il Festival collabora anche quest’anno con La Notte Rosa / Pink Your Life, il capodanno estivo su 170 km di Riviera, nella notte del 6 luglio 2018.
Santarcangelo Festival è realizzato grazie al Comune di Santarcangelo di Romagna e ai Comuni di Rimini, Longiano, Poggio Torriana e San Mauro Pascoli. È sostenuto dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Regione Emilia-Romagna, Goethe-Institut Mailand, Institut français Italia, Australia Council for the Arts, Swedish Arts Council, Performing Arts Hub Norway, Reale Ambasciata di Norvegia, e dagli sponsor Gruppo Hera, Gruppo Maggioli, CAMAC, Romagna Acque Società delle Fonti, Amir Onoranze Funebri, Camera di Commercio della Romagna, Banca Popolare dell’Emilia Romagna.
Baciami, dice la rana che quest’anno occhieggia dal sito di In-Box dal vivo. Festival e contest di teatro contemporaneo, In-Box 2018 giunge domani e dopodomani, 18 e 19 maggio, a Siena, alle fasi conclusive. Dalle quali – come vuole la fiaba – emergerà un giovane principe. Quello baciato dal maggior numero di repliche.
Perché il meccanismo di In-Box è ingegnoso e al tempo stesso virtuoso. Fatto apposta per sostenere e dare visibilità ad artisti emergenti, assicurando loro il lavoro (le repliche) e riconoscendo dignità economica alle loro creazioni (i cachet).
Come funziona
Selezionati tra oltre 500 candidature, i sei spettacoli finalisti di In-Box dal vivo saranno presentati in concorso venerdì e sabato a Siena (altri sei sono già andati a formare nei giorni scorsi la rosa finale di In-Box verde, riservata al teatro per l’infanzia e l’adolescenza).
In palio ci sono le 86 repliche (52 e 34, rispettivamente) che porteranno queste produzioni, la stagione prossima, negli oltre 60 teatri della Rete che sostiene In-Box: sale che operano in quasi tutte le regioni italiane, dal Trentino alla Puglia, passando per la Toscana, dove il progetto è nato, nel 2009, grazie all’intraprendenza di Straligut Teatro, compagnia che ancora oggi tiene il timone dell’iniziativa sostenuta da Regione Toscana, Mibact e Fondazione Toscana Spettacolo Onlus, assieme anche al Comune e all’Università di Siena.
I titoli e gli artisti che avranno convinto all’acquisto di una replica il maggior numero di teatri risulteranno vincitori di In-Box 2018. E si andranno aggiungere a quelli delle scorse edizioni del virtuoso contest, che ha già visto premiate formazioni come Punta Corsara, Caroline Baglioni, Carullo-Minasi, Musella-Mazzarella.
Il programma delle due giornate
Ecco di seguito, anticipati dai materiali di presentazione di In-Box dal vivo 2018, i sei titoli finalisti, in attesa tutti quanti – come la sospirosa rana dell’immagine precedente – di quel bacio che li potrebbe trasformare. In giovani principi del palcoscenico italiano.
Nessuna pietà per l’arbitro del Centro Teatrale Mamimò (venerdì 18, Teatro dei Rozzi, ore 16) si insinua in un intreccio familiare e usa la passione per il basket per raccontare una perdita di valori condivisi.
Nevedi Giovanni Betto (venerdì 18, Teatro del Costone, ore 18) ripercorre la storia di un soldato italiano disperso nella ritirata di Russia del ’43.
Phoebuskartell di Il ServoMuto Teatro (venerdì 18, Teatro dei Rozzi, ore 21.30) sceglie i modi del racconto brechtiano per indagare le vicende del Cartello Phoebus, tra capitani d’industria, operai, lampadine e obsolescenza programmata.
Desidera di Il Teatro nel Baule (sabato 19, Teatro dei Rozzi, ore 16) insegue la storia di un uomo, dei suoi ricordi e dei suoi amori vissuti, perduti e ritrovati.
It’s app to you, o del solipsismo di Bahamut (sabato 19, Teatro del Costone, ore 18) è un videogame teatrale che si interroga sui limiti della libertà degli individui nell’epoca degli algortirmi e della realtà virtuale.
Lo soffia il cielo. Un atto d’amore di TrentoSpettacoli (sabato 19, Teatro dei Rozzi, ore 21.30) è infine un dramma familiare che porta in scena il rapporto tra una madre e un figlio ai tempi della società dei consumi e delle immagini.
La proclamazione finale
Sabato, alle 23.30, dopo la riunione sempre animatissima durante la quale ciascun teatro in Rete acquisterà le repliche, decretando così il vincitore, è in programma alla Birreria La Diana la proclamazione finale. Con l’ancor più animata festa conclusiva.
“Si provi a spiegare a qualcuno l’arte del digiuno! Chi non la conosce, non può neanche averne l’idea”. Dopo aver scritto Un artista della fame (tradotto malamente in italiano Un digiunatore)Franz Kafka non fece in tempo a vedere pubblicato in volume il suo racconto. Morì di tubercolosi nel 1924.
Quando il digiuno era un’arte
Il sospetto è che – parlando di un tipo che del digiuno ha fatto un’arte e si rammarica di quanto quest’arte sia caduta in disgrazia – lo scrittore di Praga parlasse in realtà di sé e di ogni artista, della diversità dagli uomini che abitano la vita di ogni giorno, spesso fatta di superficialità e insensatezza.
Un asceta, dunque, il maestro del digiuno di Kafka. Proprio come ascetico, figlio severo di un mondo a parte, mi è sempre sembrato Eimuntas Nekrošius. Il regista che quel racconto di Kafka ha portato in scena qualche anno fa (Bado Meistras) in uno spettacolo ripresentato adesso tra gli appuntamenti di Flux: il festival delle arti della Lituania, grazie al quale quel Paese – da dove Nekrošius proviene – ci permette di apprezzare in questi giorni a Roma i maestri contemporanei lituani di teatro, musica, danza, arti figurative e video.
Nekrošius regista domatore
Sospetto ci sia una somiglianza forte tra il modo in cui Nekrošius concepisce la propria arte – quella della scena, quella a cui come un domatore inflessibile piega i suoi interpreti – e il modo in cui Kafka intendeva il proprio rapporto con la letteratura. “Non sono altro che letteratura, e non posso né voglio essere altro”, scriveva in Lettera al padre.
Fatto sta che questa riscrittura teatrale di Un digiunatore mi è sembrata molto bella, una pietra preziosa, capace di sfuggire al realismo cupo a cui la lettura del racconto invece invita. Niente gabbie in cui l’artista del digiuno si mostra a un pubblico di curiosi. Niente guardiani che ne spiano avidi e impressionati la lunga astensione dal cibo. Niente circo. Ma un visionario spazio teatrale – un interno domestico, con qualche sedia e un pianoforte – arredato dai gesti di quattro attori, tra i quali il maestro digiunatore. Anzi la maestra, poiché si tratta di una attrice da lungo tempo legata alla carriera di Nekrošius, Viktorija Kuodyté, quindi capace di mettere in pratica tutti i rigorosi precetti del regista.
Le sue invenzioni – minuziosamente sorvegliate in lunghi mesi di prove – sono un continuo aderire e allontanarsi dalla lettera del racconto. Che si prende così la scena, trasformato in silhouette di stomaci, collezioni sparse di coppe e diplomi (i primati del digiunatore), euforie di fiori, giochi e trucchi con scarpe, corde, scale, vassoi, infine sentori di sciacquoni di cesso. Un carosello che ricorda imbonitori e artisti del varietà d’altri tempi. Fino alla morte del digiunatore, sostituito nella gabbia da una pantera nera e selvaggia, dagli scintillanti denti bianchi. Che Kafka evoca, e che noi non vedremo, se non nel portamento e nella malinconia della magnetica Viktorija.
Scandendo codici a barre
Era il controcanto, questo Digiunatore, a ciò che qualche giorno prima, sempre nel cartellone di Flux, mi aveva fatto vedere la compagnia di Vilnius, Operomanija. Il giovane gruppo musicale ha riallestito una rappresentazione epica del consumo alimentare. Geros Dienos!(e cioè, Buona Giornata!) è il titolo di questa composizione musicale per cassiere, lettori di codici a barre e pianoforte, dominata dal ritornello che le dieci addette alle casse del supermercato intonano nelle sequenze di un minimalismo operistico memore un po’ del Philip Glass anni ’80.
Tanto che, sedute a schiera, sotto la luce dei neon, con la loro pistola scanner in mano, le dieci cantanti lituane sicuramente piacerebbero a Bob Wilson. Divertono, ma strizzano anche il cuore, le vite di queste signore che solfeggiano di cetrioli e ravanelli, panna acida e pannoloni, mentre aprono squarci personali sulla propria alienazione. Una rimpiange la laurea riposta a forza nel cassetto, l’altra è uscita di casa che era ancora buio ed è in pensiero per i bambini soli a casa, un’altra ancora fantastica una viaggio low-cost a Londra.
E si fa ancora più struggente allora il contrasto tra la geometria wilsoniana dell’impianto, e quei canti, dentro ai quali scopriamo i pensieri segreti di tutte le anonime signore che, alle casse, meccanicamente, come automi, giorno per giorno passano sul nastro il nostro menù di mayonese, pizza surgelata, biscotti senza glutine, ravioli scontati, acqua frizzante.
Per chi ha amato, e ancora ama, i libri di David Foster Wallace. Per chi ne ha orecchiato, solo qualche volta, il nome. Anche per chi a teatro vuole uscire dai soliti schemi, mettersi in sintonia con un presente di interferenze e contaminazioni.
Si intitola Infinite Wallace il progetto teatrale che prima sul web e poi in lunga serie di serate a teatro affronta – con una modalità che oggi si direbbe liquida, trasversale, inclusiva – l’eredità dello scrittore suicida a 46 anni, proprio un decennio fa. Ma che già nel 1996, con romanzo di mille pagine, aveva impresso una svolta ai modi nei quali fare oggi letteratura. Forse anche teatro.
Si intitolava Infinite Jest quel romanzo, e proprio dal titolo parte Infinte Wallace, progetto di web-reading della compagnia BluTeatro e del regista Luca Bargagna. Una compilation di contributi originali che chiunque può postare su Facebook e che andranno a comporre la staffetta dei due primi episodi teatrali – FunHouse Chapter 1 e FunHouse Chapter 2 – che prendono il via venerdì 18 maggio al Teatro Giovanni da Udine e martedì 22 al Teatro Verdi di Pordenone.
Da qui era partito DFW
Nell’ultimo atto dell’Amleto, il principe di Danimarca palleggia tra le mani il teschio e dice la sua famosa battuta: “Ahimè, povero Yorick! Io lo conoscevo: era un tipo di spassoinfinito – infinte jest scrive Shakespeare – e con una eccellente fantasia! Mi avrà portato sulle spalle mille volte”.
“Se a casa possedete un libro di Foster Wallace, uscite a fargli prendere una boccata d’aria” incita Luca Mascolo, attore che si è formato all’Accademia Silvio D’Amico, ha lavorato con Lavia e con Ronconi, e fa ora parte di BluTeatro.
Detto altrimenti, la proposta che la compagnia ha lanciato è di costruire un’opera web collettiva, linkando uno all’altro i video di un minuto in cui chiunque si può cimentare leggendo, interpretando, commentando pagine dello scrittore americano. Basta postare il video sull’evento Facebook “Infinite Wallace”, aggiungere gli hashtag #infinitewallace e #webreading e condividere con i propri amici, suggerendo loro fare altrettanto (vedi qui tutte le istruzioni).
Raccolti a mosaico, i materiali si integreranno in palcoscenico con “FunHouse 1 e 2”, spettacoli ugualmente ispirati a un titolo di Foster Wallace: “Verso Occidente l’impero dirige il suo corso”. Nelle pagine di quel racconto, spesso etichettate come esempio di un contemporaneo “realismo isterico”, lo scrittore immaginava la grande riunione che, in una cittadina dell’Illinois, avrebbe messo assieme tutti i quarantaquattromila figuranti comparsi negli spot McDonald’s.
Quarantaquattromila è anche l’ambizioso traguardo di contributi video che BluTeatro si è proposto di raggiungere con il suo progetto “infinito” o almeno pluriennale.
“Il nostro progetto – spiega Luca Bargagna, regista dell’operazione – è frutto di riflessioni scaturite da un’idea precisa: vedere se anche a teatro funzionano i principi di apertura e serialità, tipici già della letteratura, del cinema, della televisione. Apertura perché lo spettacolo nasce da un laboratorio permanente, alimentato da una modalità partecipativa, quella del web-reading. Serialità perché l’occasione offerta dai teatri di Udine e Pordenone (che si sono uniti per ospitare i due capitoli di FunHouse) ci ha consentito di immaginare una modulazione dei lavori di Wallace, che favorisce il movimento: un flusso di spettatori che si spostano. È una sfida, un esperimento, com’è nella natura di Bluteatro”.