Festival: andar per sentieri a luglio e agosto 2018

Gli appuntamenti che contano, nell’estate teatrale, li conoscete tutti. Più o meno. I festival più vistosi, quelli con più risorse, investono volentieri in comunicazione. Manifesti, striscioni stradali, banner pubblicitari in rete, pagine e inserzioni sui quotidiani che ancora non hanno abbandonato la carta. Così è facile che il turista, anche se di passaggio, si accorga che a Napoli , a Venezia, a Spoleto, a Siracusa, o a pochi chilometri da Rimini, là a Santarcangelo, ogni serata  può diventare un incontro con il teatro. Chissà: lo spettacolo pop, o magari quello un po’ più ricercato. In un teatro antico, o in un’arena, magari sotto le stelle. Comunque un evento, come i media amano ripetere.

Oltre l’Italia dei grand tour, c’è però un’Italia meno vistosa, di provincia, con minori risorse. Una penisola teatrale di piccoli centri e periferie, che è  più complicato trovare sulle mappe. Una toponomastica sconosciuta ai flussi turistici importanti. Lo ricordavo in post di qualche settimana fa. Castrovillari, Fies, Sansepolcro, Polverigi, sono località su cui svettano la bandierine di altri itinerari. Non certo segreti, ma sicuramente più riservati,  percorsi e sentieri che spesso danno maggior soddisfazione.

Perciò, come fanno i ciclisti che amano il viaggio oltre che la meta, potrebbe essere questo il momento di disegnare sulla carta geografica – su Google Maps se risulta più comodo – gli altri sentieri del teatro. Tra i tanti possibili, ne scelgo oggi quattro, quelli che a luglio e agosto invitano a staccarsi dall’autostrada delle grandi manifestazioni, e a preferire  percorsi secondari. Che per paesaggio e visioni, sono anche più belli.

 

Monticchiello

Un po’ per amore, un po’ per il valore, la prima bandierina ho deciso di piantarla a Monticchiello, che sta nelle terre di Siena, più esattamente in val d’Orcia. Sarà il colore, il sapore, il carattere di questa nicchia toscana, ma Montichiello e il suo Teatro Povero, sono una di quelle tappe che, una volta nella vita, bisogna fare. Da più di 50 anni, ogni estate, un nuovo allestimento impegna tutto il paese nelle forme dell’autorappresentazione, con gli abitanti che interpretano se stessi.

Anche stavolta, nella piazzetta centrale, dal 21 luglio al 14 agosto i montichiellesi si raccontano e provano a capire come affrontare i problemi della contemporaneità in una comunità che resta fortemente contadina. Valzer di mezzanotte è il titolo dell’auto-dramma 2018, coordinato come ogni anno da Andrea Cresti (sul sito tutte le informazioni). Nota a margine: c’è chi sostiene che i pici toscani all’aglione, da ordinare dopo lo spettacolo, rappresentino un’esperienza mistica. L’indirizzo è: Taverna di Bronzone.

la piazza di Monticchiello (ph. EG)

Topolò

Qualcosa di simile capita anche a Topolò, in Friuli, un posto che bisogna davvero volerci andare, per trovarlo sulle mappe e poi raggiungerlo. Anche perché, se si presta fede all’ultimo censimento, gli abitanti qui sono 28. Ci troviamo nelle valli del fiume Natisone, a pochi chilometri dal confine di boschi che oggi separano – o uniscono – Italia e Slovenia. Ma per cinquant’anni quella è stata la temibile Cortina di Ferro. Agli inizi degli anni ’90, quando la cortina si è dissolta, è nata Stazione Topolò / Postaja Topolove, che forse non è un festival nel senso proprio della parola. Ma per dieci giorni, dal 6 al 15 luglio, le 67 case del paese, le stalle, i fienili, i prati diventano un incredibile laboratorio di performing arts. 

“Dopo il tramonto”, “nel pomeriggio”, “verso sera”, “con il buio” sono i soli orari conosciuti qui, alla Stazione, da dove non parte ovviamente nessun treno. Basta però immaginarlo. Così come immaginari, ma perfettamente funzionanti, sono gli altri luoghi di questo incredibile paese-installazione: le 5 ambasciate, l’Istituto di Topologia e Paesologia, l’ufficio postale per stati di coscienza , la sala d’aspetto per  scrittori e registi in transito , l’Officina Globale della Salute, l’Istituto per le Acque , la Pinacoteca Universale, l’ Università, la biblioteca per i libri del cuore, le antiche sinagoghe, le terme, l’ostello per i suoni trascurati. Provate a un’occhiata al programma, ideato da Moreno Miorelli e Donatella Ruttar, e ditemi se non vi viene voglia di andare a vedere.

gli spazi di Topolò Stazione (ph. Tanja Marmai)

La Cupa

Dall’estremo nord del Friuli alle piane meridionali del Salento il salto è grande: un’Italia intera. Ma anche qua,  nell’estrema Puglia, che pure conta centri di forte attrazione turistica – Lecce barocca, Gallipoli chiassosa – si possono  scegliere strade alternative. Tra campi di ulivi, masserie fortificate, torri colombaie e neviere, la nostra conduce a un avvallamento che fin dal nome è suggestivo: la valle della Cupa. Campi Salentina a qualcuno è nota per aver dato i natali a Carmelo Bene, ma Novoli e il suo Palazzo Baronale, Trepuzzi, il Santuario di Santa Maria a Cerrate, sono invece luoghi da esplorazione.

Impresa che I Teatri della Cupa (festival quest’anno alla 4a edizione e quindi giovanissimo) ci aiutano a fare. Dal 27 luglio al 3 agosto Factory Compagnia Transadriatica e Principio Attivo Teatro congegnano un programma che sembra pensato per far percepire anche qui, tra le campagne, il respiro di un teatro che non è solo calendario di debutti e prime a tutti i costi, ma parla al pubblico di questi paesi. E ne tiene alta la temperatura, come del resto sanno fare  Licia Lanera, Antonella Questa, Oscar De Summa. Tanto per segnalare alcuni nomi, tra i tanti in cartellone. Altre notizie si  possono trovare qui.

il pubblico dei Teatri della Cupa (ph. Eliana Manca)

Albenga

L’ultima bandierina, oggi, mi piace piantarla ad Albenga, in Liguria sulla riviera di Ponente. Dove un progetto mette assieme originalità ideativa, tessuto economico-produttivo (le aziende flori-orto-frutticole locali), spazi non abituali (i loro stabilimenti, riallestiti scenograficamente e aperti al pubblico), convivialità legata al cibo, che si consuma tutti assieme. Terreni Creativi è un festival che ha fatto del seminare e del coltivare, soprattutto dubbi e cultura, la propria chiave di riconoscibilità teatrale. E con i suoi spettacoli in serra,  è riuscito a vincere almeno finora la sfida di un periodo tanto arido di contributi. Il progetto, cominciato otto edizioni fa, è valso a Kronoteatro uno dei premi di Rete Critica 2017. E l’invito cheAntonio Latella ha  fatto alla compagnia, di portare alla prossima edizione della Biennale Teatro, una personale dei loro spettacoli, vuole anche dire qualcosa.

Ma al di là del riconoscimento, la forza del festival (forse, di questi tempi, anche la sua debolezza) sta nell’essere sul territorio, inteso letteralmente, come humus e prospettiva agricola, là sulla riviera ligure dei fiori e delle palme (le  provincie di Imperia e di Savona). Diverse dalla fertilità turistica che arricchisce invece la riviera di Levante: Portofino e Cinque Terre in testa. E’ per questo che tra l’11 e il 13 agosto, la nona edizione di Terreni Creativi merita un attenzione speciale. Oltre che un viaggio verso questa Liguria, meno glamorous di quell’altra.  Ecco il link al sito, anche se in questo momento (fine giugno) il programma non è stato ancora ufficialmente presentato.

una delle serre di Terreni Creativi

 

Com’è giusto, com’è bello, rottamare Pirandello

Roberto Latini prende in mano Sei personaggi. E a Castrovillari, durante la 19sima edizione di Primavera dei teatri, prova a dimostrare che Pirandello si può ancora portare in scena. Facendolo giustamente a pezzi.

Roberto Latini – ph Fabio Lovino

Non sarà stato il mio post della settimana passata – Tante buone ragioni per prendere il bus per Castrovillari – però a Primavera dei teatri, nei giorni scorsi, c’era davvero un sacco di gente.

La manifestazione calabrese, che apre l’estate dei festival, si è appena conclusa e ha registrato sale piene e liste d’attesa. Per la soddisfazione di chi la programma: la compagnia Scena Verticale.

Ma anche per la gioia degli esercenti: bar affollati, alberghi e b&b al completo, tempi biblici ai tavoli dei ristoranti, nel mescolarsi di pubblico locale, facilmente riconoscibile, e artisti, programmatori, responsabili di festival, giornalisti e blogger, studiosi e studenti: la varia umanità specializzata che rappresenta la linfa del settore. Un manipolo di spettatori d’avanguardia, che fin da maggio comincia a sciamare per luoghi e città della penisola, all’inseguimento di debutti che dovrebbero marcare l’originalità di ciascuna manifestazione. Dalle colline torinesi (qui il programma) ai lungomare adriatici (qui), da città feticcio come Napoli (qui) alle montagne calabresi appunto.

In realtà l’espressione debutto, che in teatro sarebbe sinonimo di prima assoluta, da parecchio tempo si sbriciola tra le mani, visto come si è trasformato il tessuto produttivo del teatro italiano, soprattutto le sue regole. Invece, anteprime, studi, schegge, prove aperte, trailer, spoiler, perfino le temibili restituzioni, si sono decuplicate, nella variopinta tipologia di prime che si accavallano l’una con l’altra durante la lunga stagione dell’Italia dei festival.

A Castrovillari, per questa Primavera assai generosa nell’offerta di titoli – tre al giorno – la mia attenzione era appuntata proprio su uno di questi debutti, il più solido, a mio avviso. Molte altre prime hanno mostrato infatti chiaro il limite di una precoce e timida uscita. Da Calcinculo di Babilonia Teatri, con i suoi tre quarti d’ora di tentativi, all’Eracle odiatore ma ancora dispersivo del Teatro dei Borgia, alle tre proposte di Europe Connection (in collaborazione con Fabulamundi, Playwriting Europe), progetto di drammaturgie internazionali, alle quali si potrebbero però augurare migliori selezionatori.

Mi va allora di parlare di Sei – E dunque, perché si fa meraviglia di noi? – il nuovo tuffo di Roberto Latini nel teatro importante di Pirandello.

Come alcool, il testo è un distillato

Sei sono i Sei personaggi, che con un radicale lavoro da dramaturg, Latini, compatta, spreme, asciuga, comprime fino a cavarne un distillato di parole, di cui incarica un solo attore, Piergiuseppe Di Tanno. La memoria va a I giganti della montagna, che lo stesso Latini aveva interpretato in solitudine, quattro anni fa. Operazioni simili si sono viste pure altrove: Fausto Russo Alesi aveva preso in carico tutti i ruoli di Natale in Casa Cupiello, per esempio. Ma è chiaro che il realismo popolare di Eduardo poco ha a che fare con la densità concettuale del titolo principe fra i titoli pirandelliani: Sei.

I giganti della montagna

Ho scritto spesso che, a mio parere, Pirandello non è più rappresentabile. Almeno così com’è scritto, nei modi in cui di solito si rappresenta, con tutti i suoi valori in vista. Come se non fosse passato un secolo – e quale secolo! – da allora e da quei valori. E ho scritto e riscritto che la via per salvaguardare Pirandello, per liberarlo dall’orribile pirandellismo di primo Novecento, mi sembra sia solo quella di rottamarlo.

Chissà se la parola è giusta. Di fatto attorno alla questa proposta di rottamazione, la rivista Hystrio ha realizzato nel numero di luglio 2017 un vasto questionario di opinioni, al quale un certo numero di pirandellisti doc, e non solo i più conservatori, hanno risposto con i soliti luoghi comuni. Quelli scolastici.

Rottamare Pirandello per me significa invece privarlo della sua scolasticità: demolire la rete di valori storici e sociologici che regge quei personaggi, quelle situazioni, quelle infinite discussioni su adulteri, paternità e maternità contese, reputazione civile. E con ciò che resta – problemi di estetica, diciamo per semplificare – dare forma contemporanea a certi snodi, a certi specchi di pensiero capaci di riflettere, oggi, alcune delle nostre domande. Ripeto: nostre. Non del 1921. La luce che restituiscono i classici, quando noi, oggi, li interroghiamo, illuminandoli: solo quella luce è ciò che li rende classici.

Nelle parole con cui Roberto Latini dà avvio alla sua operazione di drammaturgia e di regia (già anticipata con I giganti e poi con il Goldoni del Teatro Comico) trovo riflessa proprio questa operazione. Soprattutto, la trovo realizzata nello spettacolo Sei. Sottotitolo: E dunque, perché si fa meraviglia di noi?

ph Angelo Maggio

Pirandello dissugato

Guardate allora quel trespolo, quella piccola piattaforma che galleggia a quasi due metri da terra. Guardate quel performer lassù, con mezza maschera, collare a gorgiera, blusa bianca, le gambe fasciate di lattice nero, le unghie smaltate, un improbabile taglio di capelli orientale. Niente a che fare con i Pirandelli di maniera. Con gli abitucci borghesi che si vedono sempre. Dietro, solo un telo bianco, mosso ogni tanto dal vento del ventilatore nascosto. Nient’altro.

A lui, Piergiuseppe Di Tanno, toccano tutte le voci dei personaggi dei Sei personaggi. Didascalie comprese. E non si comincia dall’inizio. Via tutto lo spiegone iniziale, via la compagnia degli attori che arriva alle prove alla spicciolata, via l’ingresso grottesco della famigliola dei fantasmi. Si comincia con la battuta citata nel sottotitolo – E dunque, perché si fa meraviglia di noi?–  e siamo già a pagina 100.  Ma la battuta va al cuore del problema. Quello del personaggio. Quello dei personaggi. Non solo questi sei, di tutti i personaggi. Di loro come creature.

Infatti subito dopo, nella sola voce del performer, si manifesta la situazione chiave. Non il quadretto oramai insopportabile del Padre che nel bordello-sartoria di Madama Pace incontra la Figliastra: Latini non si cura proprio di quella patetica vicenda. La situazione chiave è quella del personaggio. Del suo statuto.

La figliastra: (venendo avanti come trasognata) È vero, anch’io, anch’io signore, per tentarlo, tante volte, nella malinconia di quel suo scrittojo, all’ora del crepuscolo, quand’egli, abbandonato su una poltrona, non sapeva risolversi a girar la chiavetta della luce e lasciava che l’ombra gl’invadesse la stanza e che quell’ombra brulicasse di noi, che andavamo a tentarlo…

Chi è, che cos’è, il personaggio per l’autore. E per l’attore? Che cos’è per lo spettatore? Un fantasma, una creatura, un’allucinazione che ci turba non il sonno, ma la veglia. La domanda che ognuno sarebbe invitato a porsi davanti a un lavoro di spettacolo dal vivo. E che a volte autori, attori e spettatori si pongono. Così l’opera – il classico – si libera da tutto il ciarpame (i cappellini di Madama Pace, la busta cilestrina con i soldi dentro) e come dice la Figliastra, “si dissuga”.

In un approccio che destruttura, o dissuga, l’opera, e che la fa diventare un nettare di parole, per quasi tutti i sessanta minuti di Sei, Roberto Latini sembra concentrarsi su questo problema. Più di quanto facesse Ronconi con In cerca d’autore. Il grottesco che Ronconi metteva in bocca ai suoi giovani attori (resta indimenticabile la Madre di Sara Putignano) diventa nella regia di Latini, nella sua indole barocca, una super-recitazione, una modalità non post ma iper-drammatica. Piena di strappi, contorcimenti, amplificazioni di voce, ma anche allucinazioni di gesti, su quella minuscola piattaforma. In un immaginario fast rewind io mi immagino recitassero così, se ne avessimo testimonianza audiovisiva, le mitiche Figliastre pirandelliane: Vera Vergani, Marta Abba. Forse è la mia allucinazione. Ma intanto l’opera vola, perché è fatta solo di parole.

Per questo, forse, sono stato attento, e anche incantato, per quasi tutta la durata dello spettacolo ideato da Latini, sempre più dissugato e culminante in un prosciugamento estremo. A un certo punto si assenta persino l’attore. Il palco è vuoto e sul velatino che intanto si è sollevato, il regista proietta le parole raggianti che emanano dal testo. Realtà. Finzione. Personaggio. Rappresentare. Solo quelle poche, null’altro, luminescenti nel buio.

E dovremmo appunto finirla qui, la commedia, con questi pochi lacerti di senso in cui si riassume tutto Sei personaggi, oggi. Rottami di ciò che cento anni fa suscitò contestazioni e che adesso potrebbe essere invece un grimaldello per riaprire il teatro.

Ma all’indole barocca di Latini, il cuore magmatico dei Sei Personaggi non sembra del tutto sufficiente. Sbagliando – almeno a me pare – la regia fa dire a Di Tanno, sceso dal trespolone, in lingua quasi inglese, l’intermezzo shakespeariano dei becchini dell’Amleto. La Bambina di Pirandello – pensa qualcuno – annega così come annegò l’Ofelia di Danimarca. Domando: che c’entra? Concludo: mi pare svii l’attenzione.

Certo, a tutto lo sforzo precedente, a tutta questa muscolare prova d’interprete, al congegno registico che rottama Pirandello, manca il gran finale. Ma Latini, con la complicità di Gialuca Misiti alle musiche e l’impianto luci di Max Mugnai ce lo aveva preparato piano piano. Lo attendevamo e finalmente si svela.

Quasi nel buio, un macchinario kafkiano viene fatto entrare in scena. In primo piano un groviglio indistinto, che sembra simulare un contenitore, più esattamente una vasca: la vasca dove è affogata, dove affogherà sempre, la Bambina.

Parte una musica leggera, l’interprete si libera di tutto, si tuffa nella vasca, e la macchina misteriosa comincia a vomitare schiuma. Iconico flashback: Marilyn Monroe in Quando la moglie è in vacanza. O molte altre dive gambe lunghe fra le bolle, pensiamo un po’ tutti. Come se Latini ci strizzasse l’occhio.

ph Angelo Maggio

Ma la musica è quella di Midnight, the Stars and you, uno standard da sala da ballo degli anni venti, composto da Ray Noble e cantata da Al Bowlly. E mi viene in mente che Stanley Kubrick l’aveva usata in Shining, nella scena che ricostruisce la festa all’Overlook Hotel, nel geniale avanti e indietro con la fotografia-ricordo in cui compare la data del 1921. Che poi è l’anno in cui al Teatro Valle di Roma debuttava Sei personaggi. Se i conti tornano. Ma temo che sia un’altra allucinazione: mia.

 

SEI.  E DUNQUE, PERCHE’ SI FA MERAVIGLIA DI NOI?

da Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello
drammaturgia e regia  Roberto Latini
musica e suono  Gianluca Misiti
luci e direzione tecnica  Max Mugnai
assistente alla regia  Alessandro Porcu
con  PierGiuseppe Di Tanno
produzione  Fortebraccio Teatro
con il sostegno di  Armunia Festival Costa degli Etruschi
con il contributo di  MiBACT, Regione Emilia-Romagna