Leonardo Lidi, classe 1988. Nemmeno trent’anni. Nato a Piacenza, anzi – come ci tiene a precisare – a Rottofreno, 12mila abitanti, in provincia. La sua ipotesi di regia per Spettri, di Ibsen, ha vinto lo scorso anno il concorso per giovani registi under 30 ideato da Antonio Latella per la Biennale College Teatro (vedi il post del 2017).
Adesso, su uno dei palcoscoscenici della Biennale, questi Spettri hanno debuttato. Cento minuti giocati come una partita a scacchi con il drammaturgo scandinavo. Anche lui nato in provincia: a Skien, Norvegia meridionale, quasi 200 anni fa.
Ci sono, nella versione di Lidi, tutti i temi del teatro borghese di Ibsen, tutti i personaggi di Spettri, le loro battute. Ma è come se il giovane regista li avesse risistemati sulla scacchiera a modo suo, conservando il cuore che pulsa in quella vicenda di famiglia. Però mettendone in scena un’altra. Si potrebbe ben dire contemporanea. Se non sentissimo risuonare nelle orecchie battute su cui tanta regia si è concentrata. Nella mia personale memoria, gli spettacoli di Ronconi e di Castri, soprattutto.
“Per me è stata una scelta molto personale. Non mi sono minimamente preoccupato di tutto l’Ibsen che è venuto prima. Non mi preoccupo troppo di come verrà fruito adesso. Ho lavorato lucidamente sui contenuti. E credo che alla fine, adesso, lo spettacolo abbia diverse chiavi di lettura, le lascio allo spettatore, a cui demando una grossa percentuale dell’incontro” dice Lidi.

Ibsen, Lidi l’ha smontato come si fa con i mattoncini del Lego. Per rimontarlo in una costruzione nuova. Dentro la quale – è la mia chiave di lettura – l’ambiguo groppo della famiglia assume proporzioni ancora più grandi. Per le pulsioni e la violenza che in quel nucleo si annidano. E che il teatro ha da sempre registrato, facendo della Famiglia l’argomento preferito, il soggetto più frequentato. In tutti i tempi.
Senza che Lidi ne faccia a tutti i costi una tragedia. Si è ispirato anzi alla spensieratezza di Enzo Jannacci, a cui sottotraccia egli dedica lo spettacolo.
Tanto per cominciare, Lidi non esita a smantellare lo storytelling di Ibsen. Infatti, fa morire chi nel testo originale ancora vive (la vedova Alving e la cameriera Regina). Ridà la vita a chi è da tempo stato sepolto (il maschio alfa della situazione: il dissoluto capitano Alving). Oppure riscrive tutto Osvald, il figlio malato. Il quale, lasciato a lungo nella sua condizione di disabile, con sindrome spastica, riserva agli spettatori una sorpresa finale, forse un progetto segreto, che illumina obliquamente tutto il tempo trascorso.
Un posto davvero sinistro, questa famiglia, che si stringe su una panca, unico elemento di scena, alludendo così, parodisticamente, a quei salotti di Ibsen, dove i protagonisti si accomodano per essere attraversati dal proprio passato.

“Gli spettri non sono necessariamente fantasmi. Spettro è la presenza di un passato che continua a vivere in noi, nel presente, in questo flipper che è la nostra testa. Perciò ho chiesto agli attori di non immaginare mai, di non essere mai altrove, di essere sempre presenti. Non abbiamo quasi mai lavorato su scene singole, ma andando sempre avanti, difilato. Perché ciò che mi piace del teatro, è proprio il lavoro che facciamo assieme, io e gli attori“.
Tutto questo si vede, tradotto nel risultato intenso offerto dagli interpreti (nella diposizione della fotografia, Christian La Rosa, Michele Di Mauro, Matilde Vigna e Mariano Pirrello). Tra loro quattro Lidi ridistribuisce le battute dei cinque personaggi del dramma originale.
Ora li fa rimanere seduti, ma sempre in bilico, nella zona d’ombra, dentro la quale noi spettatori riusciamo a intravedere la lotta di vizio e perbenismo, di sangue e convenienza. Ora li costringe sotto una pioggia incessante, che torna come un leit-motiv di tanto Ibsen, “perché tutta la sua vita è stata circondata dall’acqua”. Per questo Lidi si immagina vivano in un acquario.
Ma anche, jannaccescamente, si preoccupa di seminare qua e là gli aghi di un divertimento pungente. Come la mazurca di periferia, che sulle note dei Casadei rimette in ballo le diverse coppie. Come l’estratto radiofonico da “Tutto il calcio minuto per minuto”. O le pinne e la maschera da sub. O la t-shirt feticcio dell’Hard Rock Cafè che indossa Osvald. Tutto giustificato?
“L’importante è sapere di poter sbagliare. Ho messo in conto una percentuale di fallimento. Avrei potuto tentare una regia rassicurante. Ma non adesso, non ora che non ho nemmeno 30 anni, e che grazie al teatro sono riuscito a trovare il coraggio e a vincere la mia indole di ragazzo pigro. Per vedere spettacoli, ho preso aerei, ho visitato luoghi, ho fatto viaggi. Sono uscito da quel mondo emiliano in cui sono nato. E ho cominciato da Ibsen. Forse perché io e lui, tutti e due, siamo nati in provincia“.
SPETTRI
da Henrik Ibsen
adattamento e regia Leonardo Lidi
con Michele Di Mauro, Christian La Rosa, Mariano Pirrello, Matilde Vigna
scene e luci Nicolas Bovey
costumi Graziella Pepe
suono Gup Alcaro
assistente alla regia Isacco Venturini
produzione La Biennale di Venezia