Lik sveikas, Nekrošius. Addio al maestro dagli occhi di neve

È ormai sera quando scrivo questo post, mentre fin dal mattino la notizia della morte di Eimuntas Nekrošius è volata veloce sulle ali dell’informazione globale. 

Oggi, 21 novembre, il più importante regista lituano vivente, avrebbe compiuto 66 anni. È morto invece d’infarto nella notte di ieri, lasciando in chi ha visto anche soltanto alcuni dei suoi spettacoli una scia di immagini che è impossibile dimenticare.

Lik sveikas in lituano significa addio, e a me pare del tutto inutile, a quest’ora, ripercorrere i quarant’anni esatti del suo rapporto con il teatro. Lo hanno fatto oggi, anche assai bene, molti dei miei colleghi mettendo in fila i trenta spettacoli che in una sola arcata disegnano, adesso, per noi, il suo definitivo ritratto d’artista.

Meglio mettere a fuoco qui solo tre immagini: quelle sbalzate nette dalla memoria, appena mi è giunta, di primo mattino, la notizia.

Fotografia di famiglia

Aprile 1989. Il muro più famoso d’Europa deve ancora cadere, ma la glasnost’ gorbaceviana ha cominciato già a sciogliere il piccolo paese baltico dalla rigida tutela sovietica (accadrà nel marzo ’90, e solo nel ’91 l’indipendenza lituana verrà riconosciuta). Sul palcoscenico di Parma Teatro Festival, in quell’aprile di trasformazioni, attori in silenzio attendono emozionati il lampo di un vecchio apparecchio fotografico.

È la scena della fotografia di famiglia di Zio Vanja, la prima regia di Nekrošius che assieme a Pirosmani Pirosmani, arriva in Italia. Il groppo dell’emozione coglie invece noi spettatori, quando dalle bocche dei servi accosciati a terra si solleva il Va’ pensiero verdiano. E di lato si srotola d’improvviso la bandiera nazionale lituana. Giallo, verde e rosso è il pensiero di quella patria «sì bella e perduta» che solo un anno dopo i lituani avrebbero ritrovato.

Tenere le distanze

Agosto 2000. Fa caldo fuori, nella pianura friulana, ma l’antica casa contadina che ospita Nekrošius garantisce il clima che meglio si adatta al maestro, che ha occhi chiari, di neve, se non di ghiaccio. Occhi diamante in cui sembra riflettersi un’anima baltica: taciturna, introversa. Nekrošius è qui come maestro per una sessione dell’Ecole des Maitres, il corso di alta specializzazione per attori, ideato da Franco Quadri e organizzato dal CSS di Udine. Da due settimane lavora con una ventina di giovani attori. Con loro prova Il Gabbiano.

Un po’ discosto, quasi nascosto, riesco a seguire qualche prova. Non ho mai visto un regista di così poche parole. In due, un pomeriggio, otteniamo di intervistarlo, ma è un’intervista per modo di dire: risponde con un sì o con un no a domande che durano ore. Azzardo un mezzo punto interrogativo su una sua futura regia lirica, forse il Macbeth di Verdi . “La musica mi piace molto, la amo. Ma su questo progetto non vorrei dire niente. Sono certo stato incauto nel confessarlo a qualcuno. E’ anche per questo che tengo le distanze, soprattutto coi giornalisti“. Capisco l’uomo e la sua lezione.

Una scena da Il Gabbiano, regia di Eimuntas Nekrošius, 2000

Nella fortezza dell’arte

Maggio 2018. La delegazione italiana che è arrivata a Vilnius in occasione del centenario della prima dichiarazione di indipendenza lituana (quella dall’Impero russo, nel 1918) è rumorosa e allegra. Scherziamo sui nomi dei piatti che abbiamo appena mangiato. Arrivati però davanti alla porta di legno con la scritta Meno Fortas ci zittiamo tutti. Meno Fortas (La fortezza dell’arte) è il nome della compagnia con cui Nekrošius lavora da decenni. Quasi in punta di piedi saliamo le scale. Sembra una cerimonia quella che ci conduce davanti al piccolo palcoscenico, dove immaginiamo sia nata la  maggior parte dei suoi spettacoli.

C’è tanto legno, ma il regista non c’è. Ad accoglierci, a parlare con noi, a mostrarci i video delle più recenti produzioni di Meno Fortas, è un suo collaboratore. Di colpo, ricordo una frase dell’intervista di diciotto anni fa. “Dei miei lavori preferisco non parlare mai”. Ricordo anche il volto severo: un’espressione di ritrosia che allora mi  sembrò un broncio e ora interpreto come un velo di solitudine. Vado a cercare su Google una traccia di quella intervista: “No, non mi sento vicino a nessuno degli artisti che solitamente si citano quando si parla di teatro, o di arte. Mi fido solo della mia opinione e del mio punto di vista. Del mio sguardo sul mondo. Non cerco la vicinanza di nessuno“.

Lik sveikas, addio, Eimuntas.

– – – – – – –

Su questo stesso blog, nello scorso aprile e poi a maggio, due post in cui si parla di Lituania e di uno spettacolo di Nekrošius, Il digiunatore.


Quel che appare sulla scena slovena, oggi

Il finto contadinotto, che ci fa da guida, dice di essere discendente da una storica famiglia di Maribor, i Celigij, fondatori del più antico birrificio locale.

Lassù, nei distretti settentrionali della Slovenia, il luppolo è una delle coltivazioni predominanti e questa passeggiata culturale – organizzata dall’Azienda regionale del Turismo – si rivela alla fine una gustosa scorribanda tra storia della birra, birrerie, bottiglie, boccali.

Però, la ragione che mi ha portato a Maribor – città che vanta pure, chiuso in una preziosa ampolla, il vino più antico del mondo – è assai meno alcolica.

Concorrenti e concorrenza

Da parecchi decenni il festival di teatro di Maribor – Festival Borštnikovo srečanje – è uno dei punti di riferimento della scena slovena, poiché mette in concorso, e in concorrenza, i più importanti teatri nazionali. Proprio come succede in Germania, ai Theatertreffen berlinesi. In anni recenti la manifestazione di Maribor ha però cambiato stile. Messe da parte le formule più ufficiali, si è aperta a spettacoli, iniziative, incontri più orientati all’innovazione (lo raccontavo in un precedente post).

Lo stesso manifesto del festival, con quel volto leggibile da due punti di vista diversi, racconta la trasformazione: il convivere di spettacoli di tradizione (con prevalenza, molto novecentesca, di drammaturgia e qualità interpretative degli attori) accanto a esperienze più contemporanee (centrate sui linguaggi del corpo, a volte intrise dal gusto della provocazione: tentazione spiccata, ma arma oramai spuntata).

Tradizione e innovazione

Provo a spiegarmi meglio, grazie a due spettacoli che ho osservato con più attenzione. Da una parte Il muro, il lago (produzione del Teatro nazionale Drama di Ljubljana). Un tipico testo con i sapori del secondo ‘900, centrato su dinamiche di coppia e sulla diversa versione che un uomo e sua moglie possono dare dello stesso evento. Squilibrato lui, attrice lei, vivono nello stesso appartamento, separati da una parete. Non siamo tra gente normale, sembra dirci l’autore, Dušan Jovanović, classe 1939. E quindi ci sta, quella punta di assurdo, o meglio quel vago mistero pinteriano, che rende meno banale la storia di una coppia banalmente male assortita.

Muro, lago – ph. Peter Uhan

Sull’altro versante, c’è uno spettacolo senza parole e senza una storia da poter riassumere, in quanto mette in fila una successione di eventi, i più disparati, ciascuno risolto in una caduta. Dalle mani dei performer cominciano a cadere fogli di giornale, poi è la volta delle cornici di alcuni quadri, poi una sedia, un ferro da stiro… Il titolo – 365 cadute – è un contatore che va ritroso.  E man mano che il numero dei crolli previsti diminuisce, si innalza il loro valore metaforico. Cadono le speranze. Crolla la fiducia negli amici. Cadono i veli del pudore.

Via Negativa – ph: Marcandrea

I componenti di Via Negativa, formazione tra le più avanzate della scena slovena, amano mostrarsi spesso in mutande, meglio ancora, senza niente addosso. Ma i brividi che fino a qualche decennio fa immaginavamo scorrere lungo la schiena di un pubblico cresciuto nella “socialista e cattolicissima” Slovenia, hanno lasciato il passo – oggi, che anche qua va forte la managerialità – a un segno calligrafico, che fa parte della storia di Via Negativa.

Un teatro autoriale

Tra i poli un po’ sorpassati di tradizione e sperimentazione, la direzione più appropriata, oggi, forse sarebbe quella di mettersi sulle piste, già ben battute in Italia e altrove, di un teatro autoriale. Così come questa formula è intesa adesso e ancora ben rappresentata da una generazione cinquantenne che trova in Emma Dante, Romeo Castellucci, Antonio Latella, i campioni della post-regia, o da Pippo Delbono, che fa spettacolo di sé e della propria straordinarietà. Delbono era infatti ospite di riguardo, in questa edizione 2018 del festival, con due spettacoli (Vangelo e La gioia) .

La gioia – ph. Luca Dal Pia

L’ostacolo, per una nazione geograficamente e linguisticamente non molto estesa, com’è la Slovenia, sta nel fatto che la maggior parte delle forze teatrali – registi e attori – provengono tutti dalla stessa accademia, l’AGRFT di Ljubljana, che con la sua didattica, i suoi docenti, e in definitiva il suo stile, ha sostanzialmente uniformato i modi del fare teatro.

Quando il corpo conta

Penso che alternative verso le quali orientare lo sguardo, ci siano. Una, personalmente, l’avrei trovata.  È nella figura, davvero insolita, fuori dal tracciato, di Marko Mandić, attore 44enne dall’intenso, se non straripante, carisma corporeo. Uno che ha già interpretato i più importanti protagonisti del teatro classico e shakespeariano, e li ha trasformati tutti in qualcosa di radicalmente personale. Uno che vanta una filmografia e una teatrografia lunghissime, ma continua a impegnarsi in sfide e si dedica a imprese che hanno qualcosa di titanico.

Come le sei ore ininterrotte di un duello fisico di scena, intrapreso con Leja Jurišić (entrambi performer e coautori di Skupaj, forse l’appuntamento più interessante di questa edizione del festival).

Skupaj – ph. Matija Lukić

O come si vede in un altro suo spettacolo Viva Mandić e nei due film autobiografici che lo accompagnano. Con le interpretazioni di una carriera, e opportuni sacchi di nylon, l’attore distilla l’essenza del teatro. Che non è un modo di dire, ma un bel bicchiere di sudore, che via via si riempie in un’ora di performance, dando un significato liquido e credibile a quell’espressione – a volte invece astratta e consumata – che è il lavoro dell’attore.

Viva Mandić
Viva Mandić

Ecco infine l’elenco dei premi assegnati dalla giuria.

La pagina Facebook del Festival, con i video, giorno per giorno.