Anna Della Rosa nuova protagonista della versione teatrale di uno dei più noti romanzi della scrittrice sarda. Regia di Veronica Cruciani.

Ci vuole grande forza per essere una buona madre. E più forza ancora – sembra dire Michela Murgia nel suo romanzo Accabadora – ci vuole per essere una seconda madre. Oppure l’ultima.
Murgia, che è originaria di Cabras, Sardegna occidentale, ha scritto Accabadora nel 2009. Accabadora è anche il titolo del film del 2015 del regista sardo Enrico Pau. Dunque è quell’isola, con le sue tradizioni e le sue credenze, a fornire alimento e immaginazione anche allo spettacolo che da Accabadora è tratto. Carlotta Corradi ne ha curato l’adattamento e il taglio drammaturgico. Veronica Cruciani è la regista teatrale. E per Anna Della Rosa, che ne è adesso protagonista (in sostituzione di Monica Piseddu cui era affidato prima il ruolo) quella di ieri alla Sala Bartoli del Rossetti di Trieste è stata la serata del debutto. In una crescente carica di emozione.
Il romanzo della scrittrice e attivista culturale Murgia disegna in controluce – e altrettanto fa lo spettacolo – una figura, se non un mito, della tradizione sarda. Accabadora è colei che pone fine a una vita. Colei che assolvendo a un compito di misericordia, dà morte a chi, non essendo più in grado di vivere, alla morte ambisce. La parola viene da acabar che nelle lingue della penisola iberica sta per finire, terminare.
Il nero non serve a mostrare il dolore : serve a coprirlo
La lunga gonna nera, ampia, uno scialle ancora più nero, il passo veloce di una donna che di notte, furtiva, entra nella stanza dell’agonia. E con un cuscino o qualche altro strumento, si incarica di sciogliere un’esistenza dalla gabbia terminale a cui è incatenata. Oggi si chiama eutanasia.
Studiosi di etnologia e antropologia si sono spesso confrontati sulla reale esistenza di queste donne sarde, femine agabbadore e ultime madri, il cui esercizio appartiene a racconti antichi, non documentabili, frutto forse di fantasia popolare, ma certo radicati nell’immaginario rituale della Sardegna.
Radici rurali che la letteratura può cogliere, com’era capitato a Grazia Deledda, l’autrice di Canne al vento e Premio Nobel 1926. E come capita ora per il romanzo della Murgia, vincitore del Campiello 2010.
Con le sue prove d’attore, e qui d’attrice, il teatro può valorizzare ancora di più queste radici. Un’intensità, nel caso di Anna Della Rosa, di cui la memoria si nutrirà per parecchio tempo. Guidata da Veronica Cruciani, che le ha preparato uno spazio essenziale, geometrico, e fondali color pastello, il suo personaggio viene sbalzato in un controluce narrativo e visivo allo stesso tempo.

Una madre di fatto
“Ricordo due piedi nudi che, camminando, uno alla volta, spuntano dalla gonna“. Dai ricordi di un ragazzina, data in affido a una seconda madre, l’attrice punta a fare emergere le ragioni, le superstizioni, le contraddizioni di una pratica, che infine compete alle madri ultime. La vicinanza lacerante di assassinio e pietà, il groppo indistricabile di sacro e di profano: un privilegio, oramai estinto, delle culture non egemoni, subalterne, popolari. Una liturgia parallela.
Ciò che conta però, in Accabadora, non è tanto l’antropologia, ma una storia che nel finale fa convergere la forza dei sentimenti, il paesaggio delle emozioni, una leggera, insistita, e a volte sottolineata, pronuncia sarda.
E soprattutto, il mistero di gesti impossibili da giudicare: dare la buona morte. Chi è davvero la donna che riceve e accoglie questa bambina in affido? Qual è delle due quella che veramente intuisce “le cose che si fanno e le cose che non si fanno“?

Così si spiega come le donne che clandestinamente sollevano l’anima, recidendo il filo del respiro, siano anche le ultime madri. E anche perché l’indagine sull’oscillare del comportamento umano, non sia compito esclusivo dell’antropologia. Ma del narrare piuttosto, e del teatro.
ACCABADORA
dal romanzo di Michela Murgia edito da Giulio Einaudi Editore
drammaturgia di Carlotta Corradi
regia di Veronica Cruciani
con Anna Della Rosa
scene di Antonio Belardi
costumi di Anna Coluccia
suono Hubert Westkemper
musiche di John Cascone
luci di Gianni Staropoli e Raffaella Vitiello
produzione Compagnia Veronica Cruciani, Teatro Donizetti di Bergamo, TPE – Teatro Piemonte Eurpopa, CrAnPi
con il contributo di Regione Lazio – Direzione Regionale Cultura e Politiche Giovanili – Area Spettacolo dal Vivo
fotografie di Marina Alessi