Quattro nonni, quattro nipoti. Così Rimini Protokoll racconta sogni, speranze, illusioni a Cuba

Granma. Metales de Cuba. Per due serate in scena a Bologna, la più recente creazione del gruppo tedesco Rimini Protokoll, coproduzione di nove istituzioni internazionali, tra cui Emilia Romagna Teatro Fondazione.

Trombones en La Habana (ph. Mikko Gaestel Expander)

Mi è piaciuto subito, il titolo. Ma solo alla fine ho capito perché. Perché in tre parole riassume ed esaurisce uno spettacolo e un progetto, i più recenti tra quelli di Rimini Protokoll. Granma. Metales de Cuba è la creazione che nel corso di tre anni ha portato Stefan Kaegi e il suo gruppo di lavoro a Cuba.

Granma è il nome del piroscafo con il quale, nel 1956, partiti dal Messico, Fidel Castro e un’ottantina di esuli cubani raggiunsero una spiaggia dell’isola. E da là diedero il via a una tra le più longeve rivoluzioni del secolo passato.

Lo sbarco dei rivoluzionari cubani sulla spiaggia di Las Coloradas, 2 dicembre 1956

Ma Granma, in quell’inglese che anche a Cuba si mastica volentieri, vuol anche dire grandmother, nonna. E di nonne e nonni cubani parla lo spettacolo che nel titolo contiene ancora un’altra cosa: los metales, cioè gli ottoni: quattro sontuosi tromboni.

Nonni e nipoti

Milagro, Daniel, Christian e Diana sono quattro giovani cubani, tra i 24 e i 34 anni. Ciascuno di loro ha avuto un nonno o una nonna che ha dato il proprio sostegno alla rivoluzione castrista. Chi nei modi più semplici e quotidiani, cucendo vestiti, o suonando in un’orchestra. Chi investito di un ruolo politico e ufficiale. Quattro nipoti, perciò, raccontano quattro nonni. Ne ripercorrono la storia e gli ideali. Li confrontano con la propria storia e i propri ideali. Sempre che esistano ancora, gli ideali.

Granma (ph. Dorotea Tuch)

Sulla sinistra, in palcoscenico, un podio. Come quello dei discorsi ufficiali, pronunciati al microfono davanti a migliaia di persone. Ce ne sono infinti, trascritti negli annali della storia di Cuba. A destra, una macchina da cucire, di quelle di un tempo, a pedale. A turno i quattro nipoti si danno da fare e cuciono il lungo nastro di stoffa che dal 1956, l’anno che diede il via alla Rivoluzione, si estende fino al nostro decennio, nel quale, la rivoluzione a Cuba, è sopratutto quella turistica.

Su tre schermi, si srotolano intanto fotografie e filmati, grazie ai quali conoscere i quattro vecchi e al tempo stesso la storia e la rivoluzione di Cuba viste con gli occhi di chi le ha fatte, credendoci fino in fondo. Quello sguardo che Carlo Ginzburg e gli storici francesi ci hanno insegnato a definire microstoria, piena di indizi oltre che di documenti ufficiali.

Granma (ph. Ute Langkafel)

Le microbigradas

Grazie a Diana, che aveva il nonno musicista, i quattro hanno formato una microbrigada, formula che per cinque decenni è stata il modello di lavoro cooperativo a Cuba. Sotto la guida di un professionista, chi non è affatto esperto comincia, esegue e porta a termine un lavoro. Grazie alle microbrigadas, a L’Avana si sono costruite case, palazzi, strade. Si sono portate quasi ovunque acqua ed elettricità. Si sono avviate aziende e ospedali. Loro, i quattro nipoti, una microbrigada, hanno imparato a suonare uno strumento: il trombone.

E della musica di questi ottoni, los metales, e di canzoni, si riempie via via lo spettacolo. Oltre che di frequenti lanci di baseball, il più diffuso sport cubano. In cui si impegnano però gli spettatori, che tirano in palcoscenico palle fatte di stracci, come quelle con cui si sono divertite generazioni di ragazzini sull’isola. E la mazza è una bottiglia di plastica.

Granma (ph. Dorotea Tuch)

Gli esperti del quotidiano

Con Granma, Kaegi e il suo team tornano a quel prototipo di lavoro teatrale che ha fatto conoscere Rimini Protokoll, e li ha fatti diventare campioni di un teatro post-drammatico. Il portare in scena non interpreti, ma Experten des Alltags, esperti del quotidiano. Persone che possano restituire al pubblico la propria esperienza in un particolare campo, settore, nicchia del mondo, nella quale è stato pensato il progetto.

Meno clamoroso di Shooting Boubaki (2002, cinque tredicenni con la pistola in mano), meno estremo di Nachlass (2016, dove lo spettatore si confrontava direttamente con l’avvicinarsi della morte), Grandma mette però in primo piano e delicatamente ritraccia il solco che c’è tra l’utopia e la vita. Tra l’ideale e la pratica, tra la speranza e la sua realizzazione: l’immaginario ideale democratico che l’Europa progressista riconobbe nella rivoluzione cubana: una delle più iconiche del ‘900, con i suoi eroi mediatici (Fidel e “Che” Guevara), ma soprattutto con i suoi working class heroes.

Cioè sarte, suonatori di trombone, donne e uomini che presero in mano le armi, tagliarono la canna da zucchero, soffrirono, si sacrificarono. Motivati e fiduciosi. Sognatori. Forse non con lo stesso sogno che porta oggi, sul bellissimo lungomare di L’Avana – il Malecón, spazzato dalle onde – le orde del turismo globale. Meglio o peggio di ieri, chissà, sembra sottolineare lo struggimento dell’ultimo filmato di Granma.

Il filmato di una storia scritta nei libri, tanti, ma riscritta da questi nipoti. Perché le leggi dell’ereditarietà insegnano che è tra la loro generazione e quella dei nonni – non quella dei genitori – che si stabiliscono le affinità più forti.

Se vuoi vedere com’è stato costruito Granma, metales de Cuba, vai qui.

Granma Rimini Protokoll 2.jpg
Granma (ph. Dorotea Tuch)

Granma. Metales de Cuba
un progetto di Rimini Protokoll, concept e regia Stefan Kaegi, drammaturgia Yohayna Hernández e Ricardo Sarmiento
con Milagro Álvarez Leliebre, Daniel Cruces-Pérez, Christian Paneque Moreda, Diana Sainz Mena
ricerca a Cuba Residencia Documenta Sur, coordinata da Laboratorio Escénico de Experimentación
produzione Rimini Apparat e Maxim Gorki Theater Berlin, in coproduzione con Emilia Romagna Teatro Fondazione, Festival d’Avignon, Festival TransAmériques, Kaserne Basel, Onassis Cultural Centre-Athens, Théatre Vidy-Lausanne, LuganoInscena-Lac, Zürcher Theaterspektakel, con il contributo di German Federal Cultural Foundation, Swiss Arts Council Pro Helvetia e Senate Department for Culture and Europe in collaborazione con Goethe Institut Havanna.

Spettacolo in lingua spagnola sopratitolato in italiano (135 minuti)

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