Dopo numerose edizioni italiane, il piglio di un’altra attrice d’eccellenza riporta in scena uno dei grandi testi di Bertolt Brecht e il suo punto di vista sul business della guerra

In tutte le edizioni di Madre Courage che ho visto, nell’ultima scena, la più famosa, questa donna oramai sfinita, curva, piegata dalle disgrazie che ha patito, si mette a trascinare da sola il proprio carro. Ostinata come un mulo, riprende a viaggiare con le sue povere mercanzie per le strade di un’Europa in guerra perenne. “Spero di farcela da sola, col carro. Devo riprendere il mio commercio”. Così dimostra quanto voleva dimostrare Bertolt Brecht: di non aver imparato nulla.
Sostengo – se mi permettete – che per mettere in scena Madre Courage e i suoi figli bisogna mettere in scena pure il carro. Potrà suonare conservativo. Anche presuntuoso. Cosi come Eduardo sosteneva che, senza presepio, il Natale non è Natale.

Madre Courage, la sua vita, il suo business
Ma Madre Courage e il suo carro sono una cosa sola. La Courage, più che per i propri figli, vive per quel carro. E infatti per difenderlo, per conservarlo, li perde a uno a uno, i figli. L’impulsivo Eilif, l’onesto Schweizerkas, la muta Kattrin. Poi, senza avere imparato nulla, si rimette in cammino. La sua vita è il suo business, i suoi affari, il suo carro. È per questo che Courage, misera affarista di guerra, maledice la pace. È il 1938 quando Brecht ne fa il ritratto.
Ecco: nella nuova edizione di Madre Courage e i suoi figli che Paolo Coletta ha diretto per il Teatro Metastasio di Prato, Società per attori e Napoli Teatro festival , quel carro io me lo aspettavo. Ma non si vede mai. Sinceramente: non ho capito perché. Se ne sta, forse, nascosto dietro un fondale a specchio dove regista e scenografo aprono una misteriosa voragine, un buco nero dentro al quale brilla un inquietante punto di luce rossa. Anche questa non l’ho capita.

Con e contro Brecht
Avessi capito di più anche altre cose, ci fossero meno difettucci, mi sarei forse entusiasmato per questa ripresa di uno dei grandi testi di Brecht. Secondo molti il più importante e il più rappresentativo del teatro europeo del Novecento. Perché il piglio con cui Maria Paiato indossa il personaggio è lo stesso, e al tempo stesso è diverso, da ciascuna delle Madri Courage che, almeno in Italia, l’hanno preceduta: da Lina Volonghi a Piera Degli Esposti, da Mariangela Melato a Maddalena Crippa, a Isa Danieli. Tutte donne forti, tutte attrici in grado di andare verso e contemporaneamente contro Brecht.
Paiato interpreta (con intensità e fermezza: questo lo sa chi l’ha vista almeno una volta, calarsi in panni, in qualche occasione anche maschili). Paiato canta (e canta bene quei song inventati da Paul Dessau per sdrammatizzare i momenti drammatici). Paiato incarna quel ruolo da “iena dei campi di battaglia” (così la definisce il Cappellano) che nella fortuna di questo testo sa diventare anche “tigre dei palcoscenici”.

L’ambiguità del drammaturgo
Il suo segreto, probabilmente, è assecondare l’ambiguità con cui Brecht impastava i suoi personaggi. Maestro, qui come altrove, nell’arte della dialettica.
Il teatro epico, lo straniamento – le formule brechtiane che si studiano a scuola – rappresentavano i suoi principi ideologici. Ma poi, con astuzia e sensibilità, il drammaturgo tradiva anche se stesso (oltre che le proprie donne) costruendo effetti emotivi fortissimi. Come Courage, che davanti al cadavere del figlio morto, finge di non riconoscerlo. Come Kattrin, che ostinatamente batte sul suo tamburo per dare l’allarme. E si becca una pallottola in testa.
Aiuta quindi, anche per i tanti pezzi musicali riarrangiati con efficacia dallo stesso regista, andare a rivedere questo testo. Anche perché, a differenza della Courage, qualcosa si impara.
Proprio ciò che voleva Brecht. Che ieri come oggi, nelle guerre, spesso invocate, sostenute e combattute da molti, sono poi pochi quelli che ci guadagnano.
E sicuramente noi non siamo, e mai non saremo, tra quelli.

Dimenticavo di dirvi che questa Madre Coraggio l’ho vista a Prato, al Metastasio, il teatro con le poltrone comode d’Italia.
MADRE CORAGGIO E I SUOI FIGLI
di Bertolt Brecht (traduzione Roberto Menin)
con Maria Paiato
e con Mauro Marino, Giovanni Ludeno, Andrea Paolotti, Roberto Pappalardo, Anna Rita Vitolo, Tito Vittori, Mario Autore, Ludovica D’Auria, Francesco Del Gaudio
regia e drammaturgia musicale Paolo Coletta
musica Paul Dessau
scene Luigi Ferrigno
costumi Teresa Acone
luci Michelangelo Vitullo
produzione Società per Attori e Teatro Metastasio di Prato; in collaborazione con Fondazione Campania dei Festival, Napoli Teatro Festival Italia