Un pensiero, proprio oggi, è giusto dedicarlo a Tinin Mantegazza, classe 1931, scomparso poche ore fa.
Fin da questa mattina, oltre che la sua morte, la Rete racconta l’intera sua vita e i suoi miracoli. Soprattutto i suoi pupazzi. A cominciare dal mirabolante Uccello Dodò, che fu una delle ragioni del successo, in tv, di L’albero azzurro.

Come i gatti, di vite Tinin ne aveva parecchie. Sette, almeno, dice il titolo della mostra che il Museo Civico di Bagnacavallo gli aveva dedicato lo scorso anno. Illustratore, pittore, scenografo, scrittore, regista, Tinin si muoveva agile tra teatro, giornalismo, televisione, nell’animazione culturale e, sopratutto negli anni ’80, nell’organizzazione teatrale.
Con 250 disegni originali, dipinti, pupazzi, fotografie, filmati e documenti, la mostra di Bagnacavallo ripercorreva le tappe della sua vita e definiva i risvolti del suo impegno creativo e anche politico.

Il mio ricordo, personalissimo se volete, va proprio agli anni Ottanta. Quelli, dopo le esperienze dell’animazione teatrale, sono il momento in cui si sviluppa, potente, in tutta Italia il Teatro Ragazzi.
E Tinin Mantegazza, che assieme a Roberto Piaggio, guida il Festival Internazionale del Teatro Ragazzi a Muggia, è colui che mi apre le strade dell’editoria. Mi invita a scrivere per il Catalogo di una edizione del Festival e mi fa così scoprire l’altra faccia del giornalismo. Da allora non ho smesso.

Questo breve post è una maniera leggera – forse spensierata, com’era lui – per ringraziarlo di quella apertura, che ha deciso ciò avrei fatto dopo, per almeno quattro decenni.
Ha scritto da qualche parte Gino Paoli: “Quello che fa differenza tra un artista e un uomo normale è una sorta di curiosità, di stupore e di ironia assolutamente infantile. Con queste doti o questi difetti, questi pregi o queste deficienze, Tinin si guarda intorno e ti fa scoprire l’altra faccia della luna“.

Una breve nota bio
“Dagli anni ’50 Tinin (Agostino) Mantegazza (Varazze, 1931) collabora con le redazioni de La Notte e del Corriere dei Piccoli ed apre anche una piccola galleria d’arte, La Muffola, dove accanto alle mostre di artisti come Luzzati, Pericoli, Rossello, Ceretti e altri si esibiscono giovani attori e cantanti quali Enzo Jannacci, Giorgio Gaber, Paolo Poli, Cochi e Renato e Bruno Lauzi, fino all’esperienza dello storico Cab ’64. Con la moglie Velia Mantegazza inizia a costruire pupazzi e ad animarli in forme originali per spettacoli teatrali e televisivi, fondando anche il Teatro del Buratto, oltre alla collaborazione con Enzo Biagi e alla direzione di importanti eventi e istituzioni culturali come il Festival del Teatro Ragazzi a Muggia (Trieste). Non mancano testimonianze del suo impegno di critica sociale e politica, del suo ruolo di animatore dei primi anni del cabaret milanese, nonché delle sue realizzazioni più note al grande pubblico, come il celebre sig. Toto o il pupazzo Dodò del programma RAI per ragazzi L’Albero Azzurro. Mantegazza è scomparso a Cesenatico, dove viveva, il 31 maggio 2020″.
E leggi anche questo ritratto di un po’ di tempo fa.
Muggia è una città in provincia di Trieste. Nel secolo scorso vi si svolgeva un festival, interamente dedicato al Teatro per Ragazzi. Era un festival grande, ricco. Nel 1984 in 9 giorni ci sono stati 63 appuntamenti, tra spettacoli, laboratori, incontri, ecc.
Lo dirigeva un uomo geniale: Tinin Mantegazza, pittore, illustratore, scenografo, scrittore, cabarettista.
Quel festival era il momento di incontro, di riflessione, di divertimento, per tutti noi che bazzicavamo intorno al teatro ragazzi, in quegli anni propositivo, propulsivo e allegro.
E nel 1984 sono arrivata a Muggia anche io. Lavoravo in teatro già da 10 anni, ma Tinin mi ha insegnato come si fanno i Festival. Perché lui non era solo il direttore artistico. Faceva i sopralluoghi, accoglieva ospiti, compagnie, dava le direttive per gli aspetti tecnici, inventava e realizzava soluzioni dell’ultima ora, all’occorrenza spostava sedie, zigzagava con un vecchio motorino per prendere a notte inoltrata le ultime padellate di pesce fritto e nutrire lo staff, e si occupava della grafica, in un’epoca in cui non c’erano i computer. Si faceva una cosa divertente che si chiamava menabò: tutto un lavoro di ritaglio e coccoina per comporre il manifesto, il programma di sala.
Si rideva un casino, perché Tinin era un gran raccontatore di barzellette.
C’era ancora la Jugoslavia, e a volte qualche attore facendo il bagno al mare, o camminando su per le colline, sconfinava, e ce lo andavamo a riprendere dall’altra parte.
Era un festival internazionale. Le compagnie stavano ben oltre il giorno della loro rappresentazione, perché era l’occasione per tutti di guardare, studiare, confrontarsi.
La giornata cominciava al mattino al bar di piazza Marconi. Insieme alla colazione accese discussioni sugli spettacoli visti il giorno prima.
Tinin se n’è andato ieri. E’ stato un privilegio lavorare con lui.
copio poche righe dalla presentazione di Tinin nel programma di sala del 1984: “… A Muggia si respira un’aria che difficilmente si trova negli ambienti del teatro mondano, è un’aria di teatro come modo di vivere, come modo di essere, come strumento per esprimersi e per essere più colti, più preparati: migliori. E’ l’aria dell’eccezionalità dell’evento che è la somma di tanti eventi, è l’aria della festa che riguarda tutti, nessuno escluso.
Appuntamento di un movimento artistico che tende sempre di più a incidere nella modificazione in divenire della struttura culturale della nostra società…”
E’ a quella concezione di teatro che sono rimasta ancorata, nel bene e nel male.
Sabina de Tommasi