Alfa Romeo Jankovits. Un sogno aerodinamico a 160 all’ora

Al centro di questa storia c’è un’automobile. L’Alfa Romeo 6C 2300 Aerodinamica Spider. Meglio però chiamarla Alfa Romeo Jankovits. Attorno ci sono gli Anni Trenta, il confine orientale d’Italia, Fiume e il Quarnaro. E poi la sete di velocità, il miracolo del design che traduce la forma in bellezza, la furia montante della guerra e i suoi esiti mesti.

Alfa Romeo Jankovits 1

Come le storie, anche i sogni sono belli da raccontare. Se poi li racconti molte volte, possono pure diventare veri. Questa è la vera storia dei fratelli Eugenio (Gino) e Oscar Ferruccio (Uccio) Jankovits, meccanici e sognatori.

A narrare per filo e per segno la vicenda dei due Jankovits sarà uno spettacolo, che debutterà nel marz02021 a Rijeka-Fiume (Croazia) al Teatro Ivan pl. Zajc, prodotto dalla compagnia del Dramma Italiano.

Intanto, una lettura scenica – o per restare nel tema, un prototipo – verrà presentato questa sera a Science in the City, il programma di spettacoli e iniziative che a Trieste anticipa Esof 2020, l’Euroscience Open Forum internazionale in programma tra il 2 e il 6 settembre. L’Alfa Romeo Jankovits è stato scritto da Laura Marchig, Tommaso Tuzzoli ne ha curato drammaturgia e regia.

Alfa Romeo Jankovits - locandina

Tra Fiume e Trieste

L’Alfa dei fratelli Jankovits sfreccia dunque sull’asfalto del Quarnaro e imbocca poi le arterie della Storia: gli anni che precedono la seconda guerra mondiale, la competizione nella ricerca tecnologica, le complicate e dolorose vicende del confine orientale d’Italia.

Ingredienti giusti per far riemergere dalla storia, quella vera, le tre generazioni degli Jankovits. Il nonno (Eugen Fabich, imprenditore del legno che fece fortuna nella Fiume italiana del primo dopoguerra), la madre (Iginia, fascinosa e malinconica creatura che si muove tra le ville di Abbazia) e soprattutto loro, Gino e Uccio, impresari del proprio sogno.

Eugenio studia ingegneria. Ferruccio architettura. Come studenti falliscono, ma trionfano come visionari sognatori. In una Fiume anni ’30, attraversata da poche automobili, vetture di ricchi e di arricchiti, Gino e Uccio decidono di aprire un garage. Fiuto e lungimiranza. L’autorimessa Lampo, in via Ciotta 27, è un lussuoso beauty center per autovetture, 100 posti macchina, concessionaria esclusiva Alfa Romeo per l’intera regione. Avrà subito successo. È dolce la vita per chi ha i soldi. 

Alfa Romeo Jankovits - Autorimessa Lampo

Ma l’ambizione dei due giovani Jankovits è più ardita, l’aspirazione punta più in alto. Le contemporanee imprese di Tazio Nuvolari li eccitano. Vogliono mettersi in corsa anche loro. Il progetto nasce nell’officina della Lampo alla metà degli anni ’30. L’impegno economico e la sfida sono altissime. Anticipare Porsche, Union, Mercedes Benz, nella costruzione di una vettura sportiva che superi tutte le altre per prestazioni e bellezza. Utilizzare il potente motore 6C 2300, prototipo per le vetture da corsa dell’Alfa Romeo. Modellare una nuova creatura meccanica. Aerodinamica, filante, seducente. Linee mai viste prima. Un profilo sportivo che mantiene però l’eleganza di un’automobile da strada.

i fratelli Gino e Uccio Jankovits - Fiume
I fratelli Jankovits a bordo del loro prototipo (senza carrozzeria)
Alfa Romeo Jankovits - disegni 1935

Occhi di lucertola

Voglio che assomigli a un animale, a un incrocio fra una mantide e un primate, con gli occhi da lucertola…“. Lo sterzo al centro. Il telaio ribassato. 160 chilometri all’ora. Un bolide con la targa: FM 2757. Fiume, città di frontiera, è un incubatore di idee in quegli anni. L’automobile è il futuro. 

Alfa Romeo Jankovits 3

Ci vollero 5 anni per progettarla, 4 per costruirla. Bastò una guerra per azzerare il sogno. Gino finì sul fronte russo. Uccio a Livorno, artiglieria contraerea. A Fiume, all’officina Lampo, prima gli ufficiali nazisti, poi gli ufficiali di Tito. La stessa arroganza, lo stesso potere. Distruggere il sogno e la libertà di sognarlo.

Gli Jankovits tornano a Fiume. La città asburgica in cui sono nati, ora è jugoslava. La ricchezza adesso è un problema. È il 1946. Da sotto il telone, che per tutti quegli anni di guerra l’ha nascosta, i due fratelli tirano fuori la loro Alfa. E azzardano un nuovo disperato progetto. Sottrarla alla Jugoslavia comunista e portarla a Trieste italiana, o meglio alleata. È la vigilia di Natale, i posti di blocco sono ridotti. le guardie di frontiera saranno ubriache. Imboccano la tortuosa strada che taglia l’Istria. Una fuga a 160 km all’ora. A fari spenti nella notte. Tanto per evitare le pallottole della Storia. Che li sfiorano. Ma l’Alfa, con pneumatici bucati e qualche proiettile nella carrozzeria, è oramai a Trieste.

Sopravvivere da esuli non è facile, non basteranno i gioielli che nonna Fabich ha loro affidato. Dovranno vendere anche il sogno. L’auto passa di mano, probabilmente a un ufficiale americano. Comincia allora un altro viaggio, misterioso e malinconico.

Raccogliere i fili

In L’Alfa Romeo Jankovits, il testo che Marchig e Tuzzoli hanno messo a punto, a raccogliere i fili della lunga saga degli Jankovits, a rovistare tra le carte di famiglia, è Enrico, il discendente, figlio di Gino, nipote di Uccio.

“Nessuno può dire cosa sia realmente accaduto dopo la vendita” spiega Enrico. “Nel dopoguerra l’auto passò negli Stati Uniti. E poi? In giro per il mondo: America, Irlanda, Inghilterra, Italia, Germania, cambiando proprietari e padroni. Nel 1979, un nostro parente che abitava a Trieste, leggendo la rivista Quattroruote, riconobbe l’auto dai disegni. L’articolo raccontava di un curioso veicolo visto a Ballymena presso il concessionario nord irlandese dell’Alfa Romeo”. 

Qui comincia un’altra storia, ancora da scrivere. “Papà, morì nel 1993, zio Ferruccio nel 2000, prima che il restauro dell’auto terminasse – aggiunge Enrico – il mondo è carogna!“.

Alfa Romeo Jankovits - l'automobile restaurata

Il restauro dell’Alfa Romeo Jankovits è stato completato nel 2004 ( raccontata da Enrico, la storia è anche qui). Il progetto è degli anni ’30, ma sembra un modello contemporaneo. Più elegante, più sontuosa, meno aggressiva delle vetture e dei suv che sfrecciano oggi sulle nostre strade. Perché dentro quell’auto c’è la Storia. E c’è il sogno che 70 anni dopo si è realizzato.

[questo articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2020 sul quotidiano IL PICCOLO di Trieste]

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ALFA ROMEO JANKOVITS
di Laura Marchig
drammaturgia e lettura scenica a cura di Tommaso Tuzzoli
con Bruno Nacinovich, Mirko Soldano, Andrea Tich, Elena Brumini, Serena Ferraiuolo

produzione Teatro Nazionale Croato Ivan pl. Zajc Fiume /Golden Show srl – Impresa Sociale / Tinaos 
con il sostegno della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia 
in collaborazione con il Rossetti – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia | ESOF | Umjetnička organizacija Fedra art projekt – Rijeka / Associazione Stato Libero di Fiume – Udruga Slobodna Država Rijeka

lettura scenica 
31 agosto 2002 (ore 21). Teatro Franco e Franca Basaglia, via Edoardo Weiss – Trieste
3 settembre (ore 20.30). Comunità degli Italiani di Fiume 
4 settembre (ore 21). Festival internazionale del Teatro da Camera Leone d’oro – Umago

debutto (in lingua italiana)
marzo 2021. Teatro Nazionale Croato Ivan pl. Zajc – Rijeka-Fiume

Un paese, la pagnotta, la tovaglia a quadri: in “Pan de’ mia” diventano un film

Il sole è appena sorto. I raggi del primo mattino svegliano l’uomo che ha passato la notte sui tetti. Disperata, una ragazza corre per le vie del borgo in cerca di qualcosa che lo possa sfamare. Bussa a tante porte, ma pochi sono disposti a darle del pane secco e un po’ di formaggio. Il sole intanto comincia a picchiare duro su quell’uomo in fuga.

Sono le immagini che aprono Pan de’ mia. Il film-teatro che ha visto la luce (del proiettore) pochi giorni fa ad Anghiari, nel bel mezzo della Toscana.

Pan de' mia. Tovaglia a quadri 2020. Il manifesto.

Per capire di più, bisogna ripassare la storia

Anghiari deve la sua fama principalmente a Leonardo Da Vinci. Basta sporgersi dalle mura, dalla contrada del Poggiolino, per ammirare la piana che quasi seicento anni fa – nel giugno del 1440 – vide i soldati di Firenze e quelli di Milano sfidarsi in una famosa battaglia. Che Leonardo pittore rese ancor più celebre e misteriosa. Soprattutto perché quell’opera imperfetta non esiste più.

Per chi si occupa di teatro, Anghiari è nota anche altrimenti. Non saranno seicento, ma sono 25 certamente gli anni che hanno visto tutto il paese (in provincia di Arezzo, a picco sulla Val Tiberina) radunarsi all’aperto, ogni agosto al Poggiolino, attorno a lunghe tavolate vestite da sgargianti tovaglie a quadri.

Tovaglia a quadri si intitola appunto la manifestazione che dal 1996, mette d’accordo teatro e cibo, turisti e concittadini, allestendo spettacoli in cui, tra una portata e l’altra, il paese e suoi abitanti si specchiano e si raccontano. Spettacolo contemporaneo, che non rinuncia alla tradizione antica di un teatro povero e popolare (vedi il mio post del 2018). Come succede ad esempio nella vicina Monticchiello. Ma con un’aria più impavida, scanzonata e golosa, l’essenza di certo spirito toscano.

Pubblicato una decina di anni fa, un bel libro ripercorre queste storie di Anghiari e di tovaglie, scritte tutte e tutte portate in scena da Andrea Merendelli e Paolo Pennacchini. Quest’anno se ne sarebbe aggiunta un’altra ancora. Se pandemia e limiti conseguenti non avessero decretato che no, Tovaglia a quadri 2020 non si poteva fare. Almeno così come si era fatta fino ad ora.

Tovaglia a quadri - Teatro di Anghiari
Nel borgo del Poggiolino le tovaglie a quadri delle precedenti edizioni

In ogni sacco di male, c’è un grammo di bene

Così la manifestazione, riservata ogni anno solo a un migliaio di spettatori commensali, è diventata un film.

Il sapore del cibo si può soltanto immaginare adesso, ma il pubblico si è idealmente allargato a tutto il globo. Visto che a Sidney come a L’Avana, basta acquistare un biglietto (www.tovagliaquadri.com ) per godersi in streaming la nuova storia che Merendelli (anche regista), Pennacchini e gli abitanti di Anghiari hanno congegnato. E che come ogni anno si ispira all’avvenimento che più ha colpito l’immaginario e l’immaginazione . Non solo di quel paese. Di tutto il Paese. Del mondo intero. Vuoi che non sia la pandemia?

Il gioco di parole è chiaro

Pane e pandemia si incrociano lungo insoliti labirinti narrativi e la storia dell’uomo in fuga (quello che il paese sospetta sia stato contagiato dal virus) si incrocia quella del concorso per la miglior pagnotta sfornata dal forno artigianale, che ancora opera nel centro storico. Pandemia. Pan de’ mia. Il pane che ho fatto io.

Diversamente da quel teatro dal vivo, di tavola, di strada e di comunità, che alternava portate e cantate, e che ha fatto la fortuna di Tovaglia a quadri, la forma del film, le singole inquadrature, i ritmi di montaggio, permettono adesso di sviluppare i personaggi. E di catturarne meglio, uno per uno, il dettaglio di carattere, la parlata viva, il ruolo che svolge nella comunità. E che spesso non è lontano dal ruolo che veste nella Anghiari di tutti i giorni.

La pandemia diventa insomma un’opportunità. Il film scavalca sì l’effimero e l’irripetibile di quelle poche giornate d’agosto, in cui ci si sedeva attorno ai tavoli, gomito a gomito, per mangiare, ascoltare e divertirsi . Ma consegna la minuscola comunità anghiarese a una storia più lunga, e anche più globale: una storia di cinema.

Che proprio il cinema saprà conservare. Molto meglio di come (non) fu conservato il dipinto murale di Leonardo. Molto più a lungo di quanto si conservano formaggio e pane: che è cibo di tutti, non solo mio, e è filo conduttore di Pan de’ mia.

PAN DE’ MIA – Il trailer

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PAN DE’ MIA – I crediti

una produzione del Teatro di Anghiari – Tovaglia a quadri
in collaborazione con Associazione Pro Anghiari
un film di Andrea Merendelli e Paolo Pennacchini
con il contributo di Comune di Anghiari, Regione Toscana, Mibact
main sponsor: Busatti

Con Pietro Romanelli, Federica Botta, Stefania Bolletti, Rossano Ghignoni, Alessandro Severi, Marta Severi, Ada Acquisti, Maris Zanchi, Palmiro Martinelli, Giuseppe Ricceri, Pierluigi Domini, Sergio Fiorini, Andrea Finzi, Andrea Valbonetti, Fabrizio Mariotti, Kim Mingo, Primo Jack Ventura, Giulio Corridore, Armida Kim, Alberto Marconcini, Ilaria Lorenzini, Catia Talozzi, Vittorio Valbonetti, Elisa Cenni, Teresa Bevignani, Bianca Van Zandbergen, Mario Guiducci, Gabriele Meoni, Ermindo Santi.

Soggetto e sceneggiatura Andrea Merendelli e Paolo Pennacchini
Direzione di produzione Massimiliano Bruni
Direzione della fotografia Gabriele Bianchini
Assistenza alla regia Samuele Boncompagni
Montaggio Gabriele Bianchini
Assistenza sul set Filippo Massi
Operatore camera Rossano Corsi
Organizzazione tecnica Stefan Schweitzer
Fonici Jacopo Andreini, Enrico Zoi
Sound design Giacomo Calli
Scenografie e costumi Armida Kim, Emanuela Vitellozzi
Assistenza tecnica Matteo D’Amore, Filippo Massi, Eleonora Santi
Segreteria di produzione Alessandra Stanghini
Assistenza di produzione Miriam Petruccioli
Runner Mario Tanzi
Regia Andrea Merendelli