Cadeva lo scorso 25 marzo, la data supposta in cui avrebbe preso avvio il viaggio ultraterreno di Dante Alighieri, del quale si celebra quest’anno anche il 700esimo anniversario della morte.
Nel Dantedì* diventa anche visibile la corsa all’arrembaggio che accompagna le ricorrenze e la mancanza di idee.

Un anniversario è una cosa che fa spavento. Non tanto perché ricorda il decimo, il centesimo, il millesimo anno dalla nascita o dalla morte, o da chissà che. Quanto perché sull’anniversario tutti si buttano a pesce, non avendo idee migliori che occuparsi di qualcuno di cui molti altri si occupano. Potenza del gregge.
Sei poi una istituzione prodiga e danarosa ci mette pure dei soldi, siamo davvero alla pesca miracolosa. Partecipano tutti. Proprio tutti. L’arrembaggio.
Parlo di Dante, avete capito. Così come avrei potuto parlare di Leonardo Da Vinci nel 2019, o di Pier Paolo Pasolini nel 2022.
L’anniversario dantesco è quello della morte – ve l’hanno detto a scuola, 1321 – settecento anni. L’istituzione danarosa nello specifico caso è il Mibact , che attorno a Dante700 ha montato un’impalcatura economica e organizzativa, degna di un kolossal. Potete trovare in rete il valore dei contributi finanziari e il numero dei patrocini che il comitato, voluto dal ministro Franceschini e istituito presso il Mibact, ha assegnato ai 322 progetti pervenuti già entro dicembre 2019 per celebrare degnamente Dante. Qui invece trovate l’elenco completo di tutte le iniziative che in Italia si sono rincorse, si rincorrono, si rincorreranno.
Intendiamoci, la Divina Commedia è un kolossal. Per come è stata concepita e composta. Per l’impianto filosofico, religioso, immaginario che la regge. Per il ruolo del suo autore nella definizione della lingua italiana. Ma anche ai kolossal, l’inflazione nuoce.
Genova per noi
Ho letto per esempio il comunicato stampa in cui Rai Radio3 e il Teatro di Genova (l’attuale direzione artistica di è di David Livermore) annunciavano il loro progetto dantesco. E la mente mi è subito corsa all’indietro.
Torino, teatro Carignano, giugno 1898: “Quando Adelaide Ristori apparve, un po’ incurvata dagli anni, con la sua cuffietta di merletto e cominciò i versi di quel sublime Canto Quinto, in cui è la potenza di tutte le tragedie e di tutte le passioni umane, la voce, dapprima incerta e fioca, ritrovò l’antica, vibrante vivezza ed essa fu ancora una volta l’interprete magnifica” . Poi va da sé che “il pubblico, affascinato, le decretò un trionfo”.
Che altro può ricordare l’iniziativa dantesca del Teatro Nazionale di Genova, se non l’anziana attrice, con la cuffietta di merletto, ingobbita da una carriera transoceanica, alle prese con Paolo e Francesca, proprio negli anni in cui nasceva il cinema.
Dante è morto da 700 anni, Adelaide ci ha lasciati più di un secolo fa, il cinema è diventato un’altra cosa. Ma la formula dell’iniziativa è rimasta sempre la stessa: la temibile Lectura Dantis.

Operazione recupero: cento giorni con Dante
“Cento giorni insieme alla Divina Commedia e agli attori che hanno fatto la storia del teatro italiano” dice il comunicato. “Il 25 marzo 2021 prende il via il progetto promosso da Rai Radio 3 e dal Teatro Nazionale di Genova in occasione delle celebrazioni dantesche. Sono state recuperate dagli archivi del Teatro le registrazioni delle letture teatrali effettuate a Genova tra il 1984 e il 1986 nel corso di un’iniziativa che per la prima volta proponeva in teatro la lettura integrale della Divina Commedia, affidando i singoli canti ad attori come Arnoldo Foà, Aroldo Tieri, Eros Pagni, Ferruccio De Ceresa, Ugo Maria Morosi, Roberto Herlitzka, Gabriele Lavia, Mariano Rigillo, Massimo De Francovich, Giuseppe Pambieri, Tino Carraro, Paolo Poli, Giulio Bosetti e molti altri”.
All’arrembaggio, appunto. Il progetto di Genova prevede la lettura di tutti i canti di Inferno, Purgatorio e Paradiso. E il riascolto, anche, delle voci di Nando Gazzolo, Gabriele Ferzetti, Mario Feliciani, Renato de Carmine e molti altri attori (e di attrici nessuna) che trovarono in quegli anni accoglienza a Genova.
Decisamente l’Italia, o quanto meno il Paese immaginato dai progettisti teatrali di quella città, non è un Paese per giovani.




Aspra e forte
Sul più recente numero della rivista Hystrio, abbiamo pubblicato un dossier nel quale discutiamo di questa prevedibile rincorsa.
Di un mio articolo – dedicato all’aspra e forte impresa di portare in scena Dante e la Divina Commedia – mi limito qui a dire che è stata sempre un bel problema. E faccio solo due nomi recenti : Tiezzi/Lombardi e Romeo Castellucci.
La maniera più scontata, banale, spiccia, per occuparsene è sempre stata, invece, quella della Lectura Dantis. Non in tutti i casi, naturalmente. Anche qui un solo un nome : Carmelo Bene. Anzi due: Roberto Benigni.
Ma che si pensi a Dante, oggi, esattamente come ci si pensava nel 1898, come esercizio di virtuosismo d’attore, mi fa ancora più detestare gli anniversari.


(le illustrazioni per Hystrio sono di Irene Bonefacic e Mattia Basso)
* Una nota infine. Tremenda è anche la scelta (voluta dal comitato di esperti) di quella intitolazione: Dantedì.
Dantisti, filologi e sovranisti della lingua in genere devono averla pensata a lungo per evitare le tentazioni dell’anglomania. Figuriamoci se si poteva chiamare Dante Day. Vien da osservare però, che la costruzione del neologismo è anglosassone (l’italiano come si deve avrebbe preferito “giornata dantesca”) e che il dì è solo la parte luminosa del giorno. Alle 19, domani, festa finita.