Franco Quadri. Millecarte e millemiglia

Ma cosa ci faccio io a Bochum? si chiedeva Franco Quadri sulla strada che da Berlino lo portava a Colonia, attraverso una Ruhr di miniere e teatri da scoprire. Da là avrebbe spedito alcuni dispacci teatrali, corrispondenze del tutto inedite nella pur viva scena italiana di allora. Anni Settanta, sperimentazione, terzo teatro, teatro dei gruppi italiani. Ma lui, molto più avanti, già scrutava quel che succedeva a Wuppertal, dove una certa Bausch Philippina, detta Pina…

Ma cosa ci faccio io a Bochum?

Cartografo, nomade del teatro, si è detto, e si è più volte ripetuto, nel simposio di sabato 29 maggio, al DamsLab dell’Università di Bologna.
Si volevano sì rammentare i dieci anni dalla sua scomparsa, avvenuta il 26 marzo del 2011. Ma al di là del memorial, si voleva provare anche a lanciare uno sguardo diverso sul ruolo che Quadri ha avuto nella trasformazione della cultura teatrale in Italia.

In definitiva: indagare la sua eredità oggi, un decennio dopo. Con l’aiuto di molti fra coloro che gli sono stati accanto, lavorando con lui, per lui, nel suo multitasking giornalistico, critico, editoriale, ma soprattutto di esploratore attivista e movimentatore. Molti di loro continuano a farlo ancora oggi, attraverso l’Associazione Ubu per Franco Quadri, che ha voluto far nascere l’iniziativa di sabato, ideata e curata da Piersandra Di Matteo e Gerardo Guccini.

Franco Quadri identità

Lavorare con lui, per lui

Impegnati entrambi nell’introdurre al DamsLab bolognese le tante voci che – del Quadri giornalista, del Quadri editore, del Quadri attivatore e inventore – hanno illuminato i versanti, sempre nel segno di un nomadismo teatrale (“la lente dell’erranza” ha detto qualcuno) che si potrebbe anche tradurre in curiosità del nuovo, capacità di creare reti, lungimiranza di editore, audacia nello sperimentare eventi. 

Jacopo Quadri, il figlio, ha recuperato lettere private. Anna Banettini, suo tramite giornalistico a Repubblica, ha esibito biglietti e note scarabocchiate su bloc notes d’hotel. Fausto Malcovati, slavista eccellente, ha confessato le frustrazioni del traduttore. Gianni Manzella, altro nomade delle scene, ha messo insieme viaggi e pellegrinaggi. Roberta Carlotto, già direttore di RadioTreRai, ha rievocato i trascorsi radiofonici. E Leonardo Mello, al suo fianco in Ubulibri, ha delineato alti e bassi di convivenza redazionale.

Patalogo
alcune copertine del Patalogo

Chi sarà l’autore?

Citatissima sempre è stata Renata Molinari che, nei colophon del Patalogo, Quadri affettuosamente qualificava suggeritrice. Con sorriso modesto e sornione, Molinari ha introdotto nel suo intervento una ulteriore chiave di lettura. Fertile di conseguenze oggi che il pensiero teatrale viaggia su binari 2.0 (se non 3.0, 4.0, e così via all’infinito). Si è domandata cioè Molinari: di un testo, di uno spettacolo, di una recensione, di una pubblicazione, chi è veramente l’autore? La domanda implica una co-autorialità tra chi scrive, chi legge, chi assiste, chi studia, chi ricorda. E diventa presupposto inevitabile di pratiche e di pensieri che si evolvono.

Proprio come si evolvono le possibilità di lettura di quel data data-base predigitale che è stato il Patalogo, trentadue annuari di documentazione e ricognizione sul teatro italiano e internazionale tra il 1979 e 2009, che ora nel tempo analitico dei big data possono essere diversamente indagati. Non solo nella linearità cronologica della carta, ma anche con carotaggi digitali e strumenti relazionali, utili di rivelare concomitanze, influenze, correlazioni imprevedibili

A questa nuova lettura della serie dei Patalogo (e anzi, di tutto l’Archivio Franco Quadri, 350 metri lineari oggi “condizionati” in sei centinaia di scatoloni, conservati in località Morimondo presso la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori) ha messo mano una generazione di studenti-studiosi (dell’Università La Sapienza di Roma, guidati da Marta Marchetti) bravi a trovare tra quelle carte tutto quello che si può trovare. E anche ciò che non si può.

Nelle movenze da antica divinità orientale, Ermanna Montanari ha ridato vita all’aneddotica dell’empatia, mostrando un biglietto datato 1988. E corroborato da quello spedito recentemente da Robert Wilson, il quale certificava: “Franco Quadri was totally unique. He was an invaluable citizen of the world“. Nomade e inestimabile cittadino del globo.

Robert Wilson per Franco Quadri

Il premio Franco Quadri 2021

In occasione dell’incontro è stato anche comunicata l’assegnazione del premio Franco Quadri 2021 a Jean-Paul Manganaro.

Questa la motivazione:

Guardando al Quadri viaggiatore e studioso delle lingue, nonché traduttore illuminato e pellegrino delle arti, l’Associazione Ubu per FQ assegna il settimo Premio Franco Quadri a Jean-Paul Manganaro, intellettuale corsaro che intreccia, nel suo percorso di traduttore, saggista e critico, il teatro e la letteratura, il cinema e la filosofia, a braccetto con artisti e pensatori geniali come Carmelo Bene e Gilles Deleuze, in primo luogo, ma anche Pierre Klossowski e Roland Barthes, fino a Michel Foucault, che hanno frequentato la sua casa parigina e assieme ai quali ha contribuito ad alimentare una stagione di maestri.

Artefice di più di duecento traduzioni di autori italiani in Francia (specialmente per Gallimard e Seuil), e di ruggenti francesi in Italia – tra cui Antonin Artaud e lo stesso Deleuze – Manganaro sperimenta il potere taumaturgico della letteratura e pratica la traduzione come immedesimazione, esercitando una sfrontatezza linguistica tra alto e basso e accogliendo la voce del testo per trasformarla in un altro organismo sonoro.

Con una raffinata componente di divertimento e una intuitiva capacità di invenzione dedica la propria vita italo-siculo-francese (con una parte di cuore nell’isola greca di Patmos) ad accompagnare la parola da un mondo all’altro, in un corpo a corpo con la lingua degli autori che ha scelto, sempre alla ricerca di un cambio di registro, da Gadda e Calvino, a Pasolini e Consolo e Tabucchi e Mari, fino alla profonda passione per il “deserto luminoso” di Dolores Prato. E non senza ampie aperture al teatro, che gli deve, su tutti, la traduzione delle Opere di Carmelo Bene, oltre al suo ruolo determinante di consulente letterario e drammaturgico per François Tanguy col Théâtre du Radeau e Maguy Marin, e alla diffusione, tramite Les Solitaires Intempestifs, dei testi di Antonio Tarantino e Lina Prosa.

Ai lettori italiani – anche la Ubulibri e il Patalogo vantano sue collaborazioni – ha regalato monografie su Bene, Calvino, Gadda e Fellini, percorso, quest’ultimo, di trasfigurazione tra la materia dei fllm e le ossessioni, dentro cui egli procede come in un’intima esplorazione tra echi, revenants, reminescenze ed eterni ritorni. Il processo empatico di Manganaro raggiunge il suo apice quando egli compie l’impresa sublime e lirica di scrivere “un’autobiografia di Liz Taylor”, gesto decisivo nella conquista del firmamento patafisico.

Ci ha lasciati Giuliano Scabia, angelo e diavolo, il nostro maestro delle oche

21 maggio 2021. Stamattina nella sua casa di Firenze se n’è andato Giuliano Scabia, poeta, scrittore e sperimentatore totale di teatro. 

” Tutto l’universo si regge per gioco, nient’altro che per gioco. Velocità, equilibri, gravitazione, rotazione. È un gioco. Io non avrei mai pensato di fare un cavallo con i matti, né di andare a cercare l’uomo selvatico, né di scrivere dei testi teatrali. Il futuro viene di gioco in gioco, di avventura in avventura. Ma siamo noi che lo costruiamo”. 

Così mi aveva detto Giuliano Scabia, qualche anno fa, al compleanno per i suoi 80 anni, quando il suo teatro vagante lo aveva portato tra i giovani dell’Accademia Nico Pepe a Udine. Per loro aveva congegnato i Sei Canti dell’infinito andare, annunciati poi con tamburi e apparizioni nelle piazze di Mittelfest a Cividale.

Giuliano Scabia

A me però viene da ricordarlo ancora giovane, trentenne, quando con il tamburo a tracolla annuncia la liberazione dei matti e la fuga di Marco Cavallo dal manicomio di San Giovanni, oltre i cancelli verso le strade di Trieste.

Quell’avventura, vissuta con Franco e Vittorio Basaglia, Peppe Dell’Acqua, Franco Rotelli, diede una nuova immagine alla follia, ai matti, alla psichiatria. Ciò che faceva Michel Foucault negli stessi anni.

1973. Giuliano Scabia suona il tamburo e Marco Cavallo esce dal comprensorio psichiatrico di San Giovanni a Trieste.

A questo link, inoltre uno dei molti post dedicati a Scabia su questo blog, alla sua scrittura, a Nane Oca.

Eccellenti. Rosalind e le altre. Donne oscurate e ladri di Nobel

Di Rosalind Franklin, biochimica britannica, molti conoscono il caso e le frustrazioni. Abbastanza note sono pure le storie di scienziate come Mileva Marić e Lise Meitner. Oppure quella incredibile di Hedy Lamarr, attrice e anche pioniera del wireless. Ma le altre?

Rosalind Franklin foto 51
foto n.51

Rosalind Franklin. Era sua la foto numero 51. Era sua l’idea dell’elica. Ed è lei che per prima intuì la struttura del Dna. Ma la foto numero 51, “una delle più belle fotografie a raggi X mai scattate“, era stata poi trafugata. E il premio Nobel per la Medicina 1962 era andato ai suoi tre colleghi uomini, Watson, Crick, Wilkins. 

Storie come quelle di miss Rosalind Franklin, “la donna capace di studiare il Dna come un uomo“, non sono rare nella storia della scienza. Le hanno anche vissute la fisica Lise Meitner, la chimica Alice Ball, l’astrofisica Jocelyn Bell, la matematica Katherine Johnson. Solo nell’ultimo decennio, grazie agli studi sulla diseguaglianza di genere, ne sono emerse decine e decine. E non riguardano solo casi eclatanti come il furto dei premi Nobel, ma la vita di tutti i giorni nel campo della ricerca scientifica.

Matilda, le donne e le Stim

L’oscuramento del contributo femminile nel campo delle Stim (i campi di Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Matematica) ha un nome. Si chiama “effetto Matilda“. Ne ho parlato in altre occasioni su questo blog. In particolare per il caso di Mileva Marić, la prima mogie di Albert Einstein (vedi qui a febbraio 2020 e qui a dicembre).

Ma anche oggi: quante giovani ricercatrici si vedono scippare il risultato di un lavoro dai loro stessi mentori e supervisori, accademici e professori, che lo pubblicheranno poi a proprio nome. Quante donne impegnate in università e istituti specializzati vedono minacciata la propria carriera dai responsabili (per lo più maschi) del progetto. E non raramente capita che subiscano avance, quando non si tratta di molestie.

Le eccellenti 1 - Marcela Serli
(ph. Vito Lorusso)

Donne eccellenti, donne oscurate

Di loro – donne passate, presenti, future – si occupa il lavoro teatrale di Marcela Serli, dal titolo inequivocabile, Le eccellenti.

A questo spettacolo – coprodotto da Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Teatro della Tosse Genova e Fattoria Vittadini Milano, con un formula cara alla regista e drammaturga italo-argentina Serli – partecipano molte donne non abituate al palcoscenico, ma a proprio agio piuttosto in laboratori, università, studi di ricerca.

Ricercatrici quindi, e professoresse, docenti, responsabili di team, imprenditrici, cui la diseguaglianza di genere assicura stipendi spesso inferiori a quelli dei loro colleghi maschi, e prospettive di carriera assai più accidentate, allorché ambiscano com’è giusto, ai ruoli apicali. Il famoso soffitto di cristallo, per dirlo con una frase già molto consumata.

Chiara, Domenica, Saveria, Anna, Pamela, Lorenza, Laura, Veronica e Caterina. Sono loro (con voci a volte incrinate dall’emozione per lo stare sotto i riflettori, una volta tanto) che raccontano i percorsi difficili della propria carriera, le delusioni, le insoddisfazioni, oppure gli spunti che le hanno convinte a reindirizzare il proprio lavoro. Ad esempio diventare imprenditrici, creatrici di un’azienda che lancia mini-satelliti nello spazio. Eccellenza italiana.

Le eccellenti 2 - regia Marcela Serli
(ph. Vito Lorusso)

Paradosso delle donne eccellenti

Dice però l’ideatrice di questo progetto teatrale, Marcela Serli, in una frase dal senso volutamente paradossale: “Non si potrà parlare di uguaglianza quando le donne di talento avranno le stesse opportunità degli uomini di talento. L’uguaglianza si realizzerà solo quando ad essere visibili saranno pure le donne mediocri, perché fin troppo evidente è la visibilità dei maschi mediocri“. Eggià: ce ne sono tanti.

Le eccellenti - Marcela Serli come Lise Meitner in Le eccellenti (ph. Vito Lorusso)
Marcela Serli come Lise Meitner in Le eccellenti (ph. Vito Lorusso)

Giannola e le altre

Il debutto dello spettacolo, ieri sera al Politeama Rossetti di Trieste, è stato preceduto da un incontro di altrettante eccellenze femminili, che si sono affermate in altri campi. Da Giannola Nonino (l’immagine più convincente del successo mondiale della grappa) a Barbara Franchin (visionaria ideatrice del contest internazionale di giovani creatività Its), a Serena Zacchingna (biologa molecolare all’Università di Trieste, impegnata nella ricerca sulle cellule cardiache) e Cristina Bacchini (top manager di Generali Assicurazioni, esperta di analisi del rischio). 

A condurre l’incontro, è stata la giornalista e anchorwoman Rai, Marinella Chirico, che con l’eccellenza dell’interloquire, le ha spronate a parlare di sé, tralasciando il ruolo dei loro mariti. 

Perché non succeda che il famoso luogo comune “Dietro a un grande uomo c’è sempre una grande donna” possa essere ribaltato. E valga semmai il detto che si attribuisce a Luciana Littizzetto: “Dietro a un grande donna, c’è sempre una grande colf“. Battutaccia.

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LE ECCELLENTI 
progetto, regia e drammaturgia di Marcela Serli
con in scena:
Cinzia Spanò, Noemi Bresciani, Marcela Serli. Margherita Baggi, Camilla Collet, Piercarlo Favro
e le ricercatici Chiara Ameglio, Domenica Bueti, Saveria Capellari, Anna Gregorio, Pamela Martinez Orellana, Lorenza Masutto, Laura Nenzi, Veronica Ujcich
e Caterinaa Bonetti
promosso da CUG dell’Università degli Studi di Trieste, CUG della SISSA-Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati
prodotto dal Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia, Teatro della Tosse e Fattoria Vittadini

in scena al Politeama Rossetti di Trieste fino al 23 maggio

Sai perché il Teatro Miela si chiama Teatro Miela?

No? Allora leggi questo post, che parla dell’edizione 2021 di SatieRose (un progetto che da 30 anni, a Trieste, celebra il compleanno di Erik Satie) e mi dà lo spunto per parlare di Miela Reina, alla quale quel teatro è dedicato.

Miela Reina - Prefigurazione d'un avvenimento
Miela Reina – Prefigurazione d’un avvenimento

Che cosa penseresti di un’artista che si occupa di avventure domestiche e ipotesi avveniristiche? Che ama le buste della posta (ma solo quella aerea), e poi le forbici, i fiammiferi, i paracadutisti? Di una donna che scala il muro della villa di Pablo Picasso in Costa Azzurra, inventano là per là proverbi cinesi?

Miela Reina (particolare fiammifero)
Particolare-fiammifero da una tavola di Miela Reina

Penseresti che c’è del genio, in tutta questa sregolatezza. E avresti visto giusto. Così come vedeva giusto Gillo Dorfles. Della giovane Miela Reina, Dorfles scriveva:

“In un periodo nel quale le esperienze teatrali d’avanguardia non avevano ancora assunto quegli sviluppi che avrebbero avuto negli anni successivi [si riferisce alla metà degli anni Sessanta] le operazioni tentate da Miela si devono considerare precorritrici”.

Miela Reina- La piantagione
Miela Reina- La piantagione

Non sapremo mai che cosa questa artista, proiettata nel futuro, avrebbe potuto offrire a una dimensione plurale dell’arte (era pittrice, grafica, scenografa, fumettista, e tante altre cose). Non lo sapremo, perché Miela Reina morì nel gennaio del 1972, a soli 36 anni.

Miela al Miela

Dice Corrado Premuda, che assieme a Alessandro Marinuzzi (regista) e Sara Alzetta e Francesco Facca (attori), ha dedicato al lavoro artistico di Reina la prima serata del minifestival SatieRose: “Il mondo si divide in due. Una minoranza, che ben conosce e ha approfondito l’universo di Miela. Una maggioranza, ma molto vasta, che nemmeno sa chi sia”.

Sono gli stessi che non sanno perché mai il Teatro Miela si chiama così. La sala è situata a Trieste, sul sedimento di un vecchio cinema annesso alla Casa del Lavoratore Portuale, con la sua tipica e razionalistica architettura anni Trenta.

Miela. E non miele. Non è uno sbaglio di ortografia.

Nel restituire lo spazio alla città, trent’anni fa, i signori Bonawentura, trecento mecenati con in tasca una busta contenente un milione di lire a testa (i soldi che avrebbero dato il via alla ristrutturazione) dovevano decidere il nome da dare alla sala, ripensata dall’architetto Roberto Dambrosi e allora nuova di zecca. All’unanimità i Bonawentura scelsero Miela, forse per prolungare oltre la sua scomparsa i segni virtuali che Reina aveva lasciato.

Il logo di Gianfranco Pagliaro per il Teatro Miela a Trieste (1990)

Avanguardia domestica

Dedicata a lei, la serata di ieri, venerdì 14 maggio, ha visto al Miela l’allestimento di Domestica avanguardia, la lettura pubblica delle tavole a fumetti di Storie Elisabettiane, l’intervento in video o dal vivo di molti che hanno intrecciato il proprio percorso al quello di Reina.

Tra di loro, l’architetto Luciano Semerani, il musicologo Carlo de Incontrera, il fotografo Mario Sillani Djerrahian, le cui discipline da sole bastano a far intuire l’orizzonte su cui si muoveva quella donna geniale e poliedrica.

A definire di più quell’orizzonte, sempre nell’ambito di SatieRose, sarà l’appuntamento di domenica 16 maggio notte (ore 23.45) , in prossimità del compleanno di Erik Satie (che si festeggia il 17). Il violoncellista Francesco Dillon si impegnerà in una bizzarra partitura ideata da Miela Reina (mazzo di carte) e Carlo de Incontrera (composizione), e intitolata La pazienza del violoncello. In molte lingue infatti, pazienza significa anche solitario con le carte.

Se a quell’ora sarete svegli, la pagina Facebook del Teatro, o il suo canale YouTube vi permetteranno di seguire in diretta l’evento. E alla fine, di spegnere con un soffio virtuale (alle 00.00) le candeline della torta. Buon compleanno, Satie.

Miela Reina – Cuore Bretzl

E se poi, volete sapere anche qualcosa di più su SatieRose e il compleanno del musicista più eccentrico dell’ (altro) secolo, date un’occhiata ai post delle serate Satie nel 2019 e nel 2020.