Scritto nel 1967 dall’autore inglese, Landscape / Paesaggio è stato allestito nel piccolo teatro di Buti (Pisa) da una coppia di attori che del pinteresque style conoscono i segreti: tutte le strettoie, tutte le aperture.

Ci vuole pazienza per arrivare fin lassù. Devi lasciare Firenze, raggiungere Pontedera e quindi prendere la strada delle colline, dove la piccola e media industria toscana lascia spazio a paesaggi e paesi antichi.
Il teatro di Buti – ti spiega Google Maps – sorge in via Fratelli Disperati 10. Decidi tu se è un buon segno. Nel suo smagliante color mattone, il “Francesco di Bartolo” è una piccola sala, raccolta, intima, duecento posti, i palchetti, il soffitto decorato, una storia italiana di compagnie filodrammatiche e Maggi cantati, che si perde nell’Ottocento.

Pinter breve misterioso affettuoso
Sono salito parecchie volte a Buti. Perché Giovanna Daddi e Dario Marconcini, che di quella sala sono un po’ i numi tutelari, hanno anche un’affinità speciale con un autore che conosco bene: Harold Pinter.
In quel teatro li ho visti allestire i testi brevi e misteriosi che il drammaturgo inglese aveva scritto negli anni ’60 e ’70. Quando più stretto e più affettuoso si era fatto il suo rapporto con Samuel Beckett. Se per Beckett si può usare l’aggettivo affettuoso.
Lavori come questo Landscape / Paesaggio (scritto nel 1967) e poi Silenzio, Notte, Monologo, Voci di famiglia, fin dal titolo, sono rappresentativi di quella stagione di teatro, astratta, elusiva, lontana dalle soluzioni facili e dai lieti finali.
Voci che emergono dal buio, vicende da immaginare mentalmente, momenti di pausa. Un teatro lento. Scritto da Pinter mentre attorno a lui si scatenava la Swinging London psichedelica. I contrasti di quell’irripetibile momento.
Marconcini e Daddi prediligono quei testi. Perché la frequentazione intensa che hanno avuto con il cinema di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet, li ha abituati alle sottrazioni, ai silenzi, al rigore. Dentro ai quali iniettano una famigliare ironia.
Intendo dire: nel loro Paesaggio (che dopo l’anteprima a Pistoia, nel circuito teatrale toscano, ha debuttato adesso a Buti) ci trovi tutto il Pinter che sai: la sua sfuggente poesia sentimentale, il linguaggio asciutto e deciso, le tensioni che covano sotto le ceneri del parlato. Proprio come hanno saputo ben dire i giudici di Stoccolma, che nel 2005 gli attribuirono il Nobel per la letteratura.

Fotografia di un interno con coppia
Ma ci trovi anche il vissuto dei due attori. Per garantire colori autunnali al testo, Marconcini e Daddi hanno ad esempio disperso in palcoscenico foglie ingiallite e ruggini raccolte davanti a casa. E del loro salotto domestico con i bei quadri, i libri accatastati, i comodi divani, hanno scattato la foto che fa da scenografia.
Un cortocircuito di scena e vita che si espande e invade il testo, dove si incrociano due monologhi paralleli. Una coppia in un interno.

Seduta di spalle a destra la donna rievoca un’avventura erotica al mare, la sabbia, la pelle, il suo desiderio di avere un bambino.
Seduto di spalle a sinistra l’uomo delinea un mondo maschile, fatto di caccia, di cani, di birra e pub inglesi.
Di questi universi distanti, a sé stanti, Pinter aveva fermato solo le sensazioni. Il calore del sole, il piacere di immergersi nell’acqua, il sesso tanto desiderato e trasfigurato nel ricordo. E viceversa, il rancido delle cantine, il sottobosco fangoso, la cacca delle anatre e del cane.
Paesaggio di ricordi
Si gireranno a un certo punto verso il pubblico, i due attori, quando una storia, o una sua traccia almeno, comincerà a essere intuita. Marito e moglie, forse. In una casa di campagna, forse. Domestici tuttofare al servizio di qualcuno. Ricordi comuni affioreranno. Ma sempre distanti e tangenziali, come se gli uomini, rudi e marziali, venissero proprio da Marte e le donne da Venere. Intanto Gino Paoli canterà Il cielo in una stanza.
Pinter è arguto e acrobatico nella sua scrittura. Se qualcuno domandasse perché mai i due personaggi si chiamano Beth e Duff, basterà mettere davanti la parolina Mac, per farsi qualche idea. O perlomeno, per stare al gioco.
Pinter inoltre lascia una certa libertà all’immaginazione. Così nel loro gioco di famiglia, Marconcini e Daddi completano Paesaggio con una suite finale, che trasforma lui in Matamoro, il capitano spaccone della Commedia dell’Arte, e lei nella figura austera e inesorabile della Morte. Antico canovaccio di farsa e al tempo stesso morality play molto inglese, che apre spazi agli interrogativi. E sarà il malinconico The Lass of Aughrim a condurre adesso la musica.

Malinconia finale che conferma un’idea. che Paesaggio sia – per Pinter e anche per loro – un gioco teatrale di ricordi, onirica collezione di momenti che non se ne vanno dalla memoria.
E in ciascuno di noi, disegnano, anno per anno, decennio per decennio, un personale e segreto paesaggio interiore.

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PAESAGGIO
di Harold Pinter, con farsa finale
con Giovanna Daddi e Dario Marconcini
regia Dario Marconcini
allestimento e luci Maria Cristina Fresia, Riccardo Gargiulo
produzione Buti Teatro