Arsenico e vecchi merletti. Che poi tanto vecchi non sono

Qualche sera fa a teatro ho rivisto la commedia di Joseph Kesserling, con il titolo diventato famoso. Interpretata da Anna Maria Guarnieri e Marilù Prati, con la regia di Geppy Gleijeses, Arsenico e vecchi merletti è nel mezzo di una travagliata tournée, piena di inciampi covid e recite annullate. In queste serate (fino a mercoledì 23 febbraio) è al Politeama Rossetti di Trieste.

È una commedia, non si discute. Strampalata, ovviamente démodé. Eppure… 

Marilù Prati e Anna Maria Guarnieri in Arsenico e vecchi merletti

Parlare di fine vita

Non prendetemi per visionario. Ma la storia di queste due anziane signore che si occupano di qualcuno che è avanti con l’età, abbandonato, solo, e si fanno in quattro per accompagnarlo al fine vita, con dolcezza e dignità, a me questa vicenda non pare solo una commedia famosa perché al cinema la interpretava Cary Grant e l’ha diretta Frank Capra.

Visto come è andata finire una settimana fa la faccenda del referendum sul fine vita consapevole, mi veniva spontaneo l’altra sera, mentre sul palcoscenico si sviluppava la trama di Arsenico e vecchi merletti, pensare che siamo rimasti parecchio indietro, se non addirittura arretrati, sui temi del fine vita, se già nel 1939, in un’America prossima alla guerra, qualcuno pensava che l’eutanasia fosse un tema di cui si poteva parlare al pubblico dei teatri, magari con il pretesto di una storia comica. 

Ma sotto il meccanismo comico, il tema c’era, eccome. E c’è ancora. Tolto l’intrigo inventato dall’autore Kesserling per far ridere, si è facilmente portati e riflettere su ciò che motiva quelle due anziane signore a prendersi cura e a accompagnare, con spirito di carità cristiano, chi non ha dove andare, se non quel bed&breakfast del buon congedo, chiamiamolo così. Ma possiamo anche dire hospice.

Loro avrebbero certo firmato

Oggi, Abby e Martha Webster – i due personaggi che reggono tutto il lavoro – farebbero sicuramente parte di uno dei tanti comitati che si stanno battendo per il referendum. E assieme a 1,2 milioni di persone avrebbero senza alcun dubbio firmato, per poter dare la parola ai cittadini su questo tema e – come dicono i promotori – “arrivare a una legge che renda tutti liberi di decidere sulla propria vita. Fino alla fine“.

Consegna degli scatoloni con 1,2 milioni di firme di richiesta del referendum

Detto questo, che non è poco, c’è da aggiungere che quel vecchio marchingegno di Joseph Kesserling, prima copione di teatro (nel 1939) poi sceneggiatura per il cinema (nel 1944), regge tutto sommato bene i suoi ottant’anni, anche grazie all’interpretazione di due formidabili signore del palcoscenico: Anna Maria Guarnieri e Marilù Prati

La prima, dal carattere più schivo, non si concede spesso alle interviste e vive la sua grande carriera in modo defilato, con elegante understatement. La seconda è invece un vulcano. Nell’intervista apparsa sul quotidiano Il Piccolo di Trieste qualche giorno fa, me ne ha raccontate mille.

Marilù Prati. L’intervista

Basta fare un nome. Basta evocare un genere. Qualunque sia, lei c’era, lei lo ha praticato. Il teatro e il cinema, la tradizione e l’avanguardia, certe commedie scollacciate e la drammaturgia politica di Harold Pinter, gli spot televisivi e Luca Ronconi. Inoltre, tra i grandi, anche Eduardo De Filippo, Carlo Cecchi, Federico Fellini, Mario Monicelli.

Attrice, cantante, autrice, regista, Marilù Prati è uno scrigno di esperienze. E non smette mai di metterle a frutto. Come fa adesso, protagonista in questi giorni, assieme a Anna Maria Guarnieri, di Arsenico e vecchi merletti.

Titolo di successo, la gente se lo ricorda facilmente grazie al film del 1944, firmato Frank Capra, con Cary Grant. Le storia delle due adorabili vecchiette con tanti scheletri nell’armadio. Anzi in cantina: il luogo dove via via seppelliscono gli anziani inquilini del loro bed&breakfast accompagnandoli al fine vita con il sorriso e un delizioso liquorino. Corretto all’arsenico.

(ph. Fiorenzo Niccoli)

Dibattito etico a parte, è una tournée travagliata, questa del vostro spettacolo.

“Piena di fermate e di riprese, sospensioni, cambi nel cast, spettacoli annullati in 13 città a causa dell’epidemia. E anche del fatto che nostri due personaggi… hanno una certa età. Sono arrivata qualche mese fa per sostituire Giulia Lazzarini, ammalata, e poi Rosalina Neri, e qualche guaio di salute l’ho passato anch’io. Il tutto è ripagato però da uno spettacolo amato da ogni platea che abbiamo incontrato, e che continuerà anche durante la prossima stagione”. 

Pubblico entusiasta, dice chi l’ha potuto già vedere.

“Kesselring, l’autore, ha inventato una formidabile macchina di intrighi, la compagnia è bella, siamo tutti bravi. Poi ho il piacere di lavorare assieme a Anna Maria Guarnieri, attrice schiva ma di una generosità grandissima. Io stessa, con la mia parrucchetta grigia, mi diverto un mondo a interpretare una delle due velenose ziette”.

A quale delle sue numerose esperienze d’attrice è ricorsa per dar corpo al personaggio?

“Ho lavorato con Mario Ricci e Adriana Asti, con Ronconi e Monicelli, ma gli spettacoli fatti con Carlo Cecchi e Eduardo De Filippo, io li porto sempre con me. Sono un’attrice che ama il versante comico, ma la serietà e la dignità che ho appreso Eduardo rimangono delle costanti, anche se faccio ridere. E giuro che qui si ride tanto. Quando si riaprono le luci in sala, sopra le mascherine, vedo occhi felici e soddisfatti”.

Con Eduardo è lei stata protagonista in tv di “Na santarella”. Qual è il ricordo più affettuoso che ha dell’uomo?

“Eravamo a Napoli, al Teatro San Ferdinando, facevamo ‘Gli esami non finiscono mai’, una tenitura lunghissima, tre anni. Io ne avevo poco più di venti, lui 70. Ogni tanto concedeva a noi giovani attori di entrare nel suo camerino, per una chiacchiera, un giudizio. Una sera che ero da lui, aprì una minuscola cassaforte che conteneva un’ancor più minuscola bottiglia di whisky. Versò un piccola dose in un bicchiere. ‘Vedi, ogni sera prima dello spettacolo mi faccio un caffè e un baby. Serve a scaldare la voce’. Non l’ho dimenticato mai”.

[parzialmente pubblicato sul quotidiano IL PICCOLO di Trieste del 18 febbraio 2022]

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ARSENICO E VECCHI MERLETTI
di Joseph Kesselring
traduzione di Masolino D’Amico

regia di Geppy Gleijeses
liberamente ispirata alla regia di Mario Monicelli

con Anna Maria Guarnieri e Marilù Prati
e con Maria Alberta Navello, Leandro Amato, Totò Onnis, Luigi Tabita
e Tarcisio Branca, Bruno Crucitti, Francesco Guzzo, Daniele Biagini, Lorenzo Venturini
scene di Franco Velchi
costumi di Chiara Donato
musiche di Matteo D’Amico
artigiano della luce Luigi Ascione
produzione Gitiesse Artisti Riuniti

Tiago Rodrigues, Ginevra, la Croce Rossa. Teatro e soccorso umanitario

Sì, lo farò, nella misura del possibile. Lo diciamo a volte per mettere le mani avanti. Nella misura dell’impossibile, dice invece il regista Tiago Rodrigues. E lo fa, parlando di soccorsi umanitari. Il debutto italiano dello spettacolo, domani 18 febbraio a Teatro Contatto a Udine.

Dans la mesure de l'impossible - Tiago Rodrigues (ph. Magali Dougados)
Dans la mesure de l’impossible (ph. Magali Dougados)

Nella misura del possibile. Lo diciamo quando siamo decisi a fare qualcosa, ma già mettiamo le mani avanti, perché conosciamo anche i limiti del nostro fare: le complicazioni, gli impedimenti, gli ostacoli.

Con Dans la mesure de l’impossible, titolo della nuova creazione teatrale, Tiago Rodrigues ci vuole invece dire che gli ostacoli ci possono abbattere, e che i limiti vanno superati. Se c’è la necessità di farlo. Nei momenti di crisi, bisogna farlo. Nella misura dell’impossibile.

Quarantacinque anni, nato a Lisbona, attore, autore, regista, Rodrigues è un uomo di teatro. Ma è anche uno che conosce il mondo, i mondi. Qualche mese fa è stato nominato direttore artistico del Festival di Avignone il più rinomato tra i festival di teatro al mondo. Lo sarà ufficialmente dal 1 settembre 2022, con un mandato di 4 anni. Su QuanteScene! ho parlato molte volte di lui.

Da un po’ Rodrigues ha preso alloggio a Ginevra – dicono le note che presentano Dans la mesure de l’impossible – e ha intervistato coloro che lavorano nelle due più importanti associazioni umanitarie, quelle che mettono in campo decine di migliaia di persone in tutto il mondo: la Croce Rossa e Medici Senza Frontiere. Ha raccolto le loro parole, in francese e in inglese. Poi si è messo a scrivere nella sua lingua, il portoghese.

 

Dans la mesure de l'impossible - Tiago Rodrigues (ph. Magali Dougados)
Dans la mesure de l’impossible (ph. Magali Dougados)

 

La realtà delle emergenze

Dans la mesutre de l’impossibile è quindi uno spettacolo che affronta il tema delicato e spinoso degli aiuti umanitari nelle zone di crisi. È il tentativo di capire il lavoro dei professionisti e dei volontari sanitari. Affonda nella realtà delle emergenze, la documenta, la sottopone agli occhi, all’attenzione, all’emotività degli spettatori. 

Ho voluto occuparmi dei problemi degli uomini e delle donne che vanno e tornano da zone d’intervento critiche, pericolose” spiega Rodrigues. “Quali sono le ragioni che li hanno spinti a fare di questo principio una professione? E cosa succede quando tornano indietro, nelle nostre comode zone di pace?

Nato da una proposta della Comédie de Génève / Ginevra, realizzato grazie a un cordata internazionale di teatri, subito dopo le repliche nella città della Croce Rossa, Dans la mesure de l’impossible arriverà a Udine, prima tappa italiana, il 18 e il 19 febbraio 2022, nel cartellone del CSS – teatro stabile di innovazione – che di quella cordata fa parte.

CSS Udine - Tiago Rodrigues

Quattro domande a Tiago Rodrigues

In vista del debutto, abbiamo posto al regista alcune domande.

Sono questi due anni di epidemia che l’hanno spinta a occuparsi di situazioni di emergenza, zone di crisi, aiuti umanitari?

L’idea che sta dietro a Dans la mesure de l’impossible è precedente all’epidemia. Mi era capitato di parlare con persone che lavoravano nel settore degli aiuti umanitari e sono rimasto profondamente colpito dalla loro esperienza. Penso che lavorare tra pericoli, conflitti, sofferenze e catastrofi abbia permesso loro di acquisire uno speciale punto di vista sul mondo. E abbia anche avuto un impatto molto personale sulle loro vite”.

Certo la pandemia ha cambiato il modo in cui la sua ricerca si è sviluppata.

Era previsto che viaggiassi attraverso alcune regioni del mondo e li osservassi mentre sono all’opera. Molti di questi itinerari sono stati cancellati. Tuttavia, invece di annullare o differire il progetto, ho sentito che farlo ora era ancora più importante. Se queste persone sono costrette a lavorare in situazioni difficili, mi sono detto, perché non dovrei farlo anch’io? Così ho deciso di partire dalle interviste e dagli incontri che ho fatto e sono soddisfatto, perché questo permette davvero di guardare il mondo attraverso i loro occhi”.

Si può perciò parlare Documentary Theatre, teatro documentario?

Non è teatro documentario, lo potremo definire invece teatro documentato. Non c’è mai stata l’intenzione di scrivere un saggio o un reportage sul fenomeno. Ciò che facciamo non riguarda gli aiuti umanitari nel loro complesso, come se fossero una foresta. Ci occupiamo solo di trenta alberi, trenta storie di soccorso, ciascuna basata sul racconto di un operatore“. 

Dans la mesure de l'impossible - Tiago Rodrigues (ph. Magali Dougados)
Dans la mesure de l’impossible (ph. Magali Dougados)

 Che metodo avete seguito lei, drammaturgo e regista, e i cinque performer che sono in scena?

Siamo partiti da eventi e interviste reali, ma ci siamo poi mossi verso una dimensione più teatrale. All’approccio giornalistico abbiamo aggiunto la scena, gli strumenti narrativi, manipolando il linguaggio, cambiando l’ordine degli eventi, organizzando le emozioni. Interpretando la realtà con la sensibilità del teatro. È un lavoro, questo, in cui ci sono attori che raccontano storie che sono state raccontate loro da coloro che le hanno vissute. A volte le parole sono esattamente quelle dette. Altre volte se ne distaccano, liberamente. E non è facile per lo spettatore, distinguere“.

Agli spettatori dunque che cosa chiedete? Cosa vi aspettate da loro?

La sola cosa che, sempre, mi aspetto dagli spettatori è che riconoscano che il mio lavoro è importante per qualcuno. È chiaro: ci tengo a emozionare il pubblico, cerco di condividere con loro cose che hanno importanza per me, propongo un diversa maniera di osservare parte delle nostre vite, provo a fare delle domande. Non è detto che funzioni per tutti. Ma va bene così, nella misura in cui si capisce che questo lavoro è importante almeno per qualcuno. Ci sono un sacco di esperienze artistiche che non mi toccano profondamente, e tuttavia posso riconoscere che, a qualche persona hanno cambiato la vita“.

[una versione corta di questo articolo è stata pubblicata sul quotidiano IL PICCOLO di Trieste il 16/2/2022]

 Il trailer dello spettacolo: https://www.theatre-contemporain.net/video/tmpurl_fi1BKUFS

Per altre informazioni e prenotazioni, vai al sito di CSS – Udine.

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DANS LA MESURE DE L’IMPOSSIBLE

testo e regia Tiago Rodrigues
traduzione Thomas Resendes
interpreti Adrien Barazzone, Beatriz Brás, Baptiste Coustenoble, Natacha Koutchoumov, Gabriel Ferrandini (musicista dal vivo)
scene Laurent Junod
composizione musicale Gabriel Ferrandini, suono Pedro Costa
costumi Magda Bizarro
assistente alla regia Lisa Como

una produzione Comédie de Genève 
in coproduzione con Odéon – Théâtre de l’Europe – Paris, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Teatro Nacional D. Maria II – Lisbonne, Équinoxe – Scène nationale de Châteauroux, CSS Teatro stabile di innovazione del FVG – Udine, Festival d’Automne à Paris, Théâtre national de Bretagne – Rennes, Maillon Théâtre de Strasbourg – Scène européenne, CDN Orléans – Val de loire, La Coursive Scène nationale La Rochelle
con l’aiuto di CICR – Comité international de la Croix-Rouge

spettacolo in francese, inglese e portoghese, sottotitolato in italiano

18 e 19 febbraio 2022, Teatro Palamostre, Udine
25, 26, 27 maggio 2022, Piccolo Teatro, Milano

 

Harold e Maude. La New Age degli anni ’70 diventa teatro

Ci sono film che alla prima uscita sembrano filmetti. Poi, inesorabilmente, diventano titoli di culto. È il caso di Harold e Maude, apparso nel 1971 e felicemente impresso nella memoria di tutti coloro che in questi 50 anni lo hanno visto. Magari per caso, ma ne sono rimasti colpiti.
Trasformarlo in uno spettacolo teatrale è un’impresa. Ma ci si può provare.

Ariella Reggio e Davide Rossi in Harold e Maude – La Contrada
Ariella Reggio e Davide Rossi in Harold e Maude – La Contrada (ph. Mario Bobbio)

Prova infatti a farlo Diana Höbel, attrice e in questo caso regista, che ha proposto l’idea al Teatro La Contrada di Trieste. Höbel sapeva di avere il materiale adatto.
Un’attrice di grande simpatia e versatilità, con l’età giusta, Ariella Reggio. E un giovane attore, Davide Rossi, disincantato quel che basta, per interpretare la parte di un ragazzino che, dopo aver a lungo flirtato con la morte, comincia a amare la vita.

Partiamo dal titolo. Harold ha 18 anni, coltiva uno spiccato humor nero, funerario e macabro. Simula suicidi e frequenta volentieri i cimiteri. Maude di anni ne ha invece 80, anzi quasi ottanta, ma della vita riesce a apprezzare tutto. Proprio tutto, compresa la morte, che non le fa affatto paura.

In occasione di un funerale qualsiasi scatta la scintilla. Si annuseranno, si conosceranno, si appassioneranno, si innamoreranno. Lui le farà una proposta di matrimonio.

Per sintonizzarvi sulla vicenda, intanto, ecco un trailer del film.

Un film del 1971

A srotolare indietro cinquant’anni di pellicola, fa impressione pensare quanto quel film anticipasse i tempi.

Se a due anni dal ’68, il pensiero New Age cominciava a diffondersi, Maude ne è il vivace emblema. Si nutre di filosofie orientali, è attenta all’ambiente, mangia e beve biologico. A ottant’anni se ne frega del body-shaming e pensa che la terza età non sia un castigo.

Anche Harold, con quell’arietta scostante e certe punte di autismo, è un precursore. Uno che silenziosamente si ribella al conformismo, all’ipocrisia, alla pressione sociale che lo circondano. Senza prendere la via delle droghe psichedeliche o dell’India. Per protesta Harold si rifugia invece in sé e nelle proprie ossessioni mortifere. Prelude quasi all’hikikomori odierno.

Un’altra breve sequenza:

Che tutto ciò si manifesti in un film, decisamente divertente, del 1971, con la colonna sonora incisivissima di Cat Stevens, lascia oggi un piacevole senso di nostalgia.

O di rimpianto per una cinematografia più spigliata e libera di quella “correttamente inclusiva” che passa oggi, soprattutto attraverso il digitale. 

Del resto il regista del film, Hal Ashby, fan dei Rolling Stones, convintamente vegetariano e hippy, capello lungo e spinello eterno, aveva cercato di catturare nel film il proprio desiderio di futuro. Sconfessato subito dal nixonismo e dal reaganismo degli USA che verranno.

Oggi, nel tempo di Greta e del bio

Non stupisce che oggi, ai tempi di Greta e del bio, lo stile allora eccentrico e ambientalista di Maude, sia una pratica diffusa.

La incarna in modi davvero credibili Ariella Reggio, icona teatrale del nord-est italiano, esperienze di scena e di set con Giorgio Strehler e con Woody Allen, a proprio agio tanto negli spot pubblicitari tanto nella cinematografia dei nuovi autori, spiritosa e disinvolta sui social. Una che del mondo vuole conoscere tutto.

Così com’è credibile Davide Rossi: lui e il suo funebre abituccio nero, sembrano tagliati apposta per il taciturno e scostante carattere di Harold. Che la relazione affettiva con Maude, incoraggerà verso un diverso abbraccio alla vita.

Harold e Maude  - locandina

Il realismo leggero di un film come Harold e Maude si presta con qualche difficoltà ai limiti della scena. E si immagina quante soluzioni siano state escogitate nel lavoro di regia da Diana Höbel, in quelli dello scenografo (Andrea Stanisci) e del musicista (Claudio Rastelli) per assicurare ai due personaggi l’affetto del pubblico.
Che tuttavia si manifesta, aiutato pure dalle figure di contorno (la madre di Harold, lo psicologo, il prete, il poliziotto… le istituzioni insomma) inevitabilmente spinte verso la macchietta.

Ma il gusto per una vita da vivere senza rinchiudersi nelle gabbie del conformismo, la scomparsa della barriera delle età, il senso liberatorio e libertario della vicenda, alla fine restano intatte.

Il poliziotto: Signora, la patente, prego.
Maude: Non ce l’ho, io non credo nelle patenti.

Certo ci sarebbe piaciuto veder arrivare in palcoscenico Maude-Reggio alla guida di una potente Moto Guzzi V7 (come succedeva nel film, o almeno di una scoppiettante Gilera). Vroomm vroomm
Ma sappiamo quali sono i limiti del teatro. Del resto, nemmeno Aida si fa più con gli elefanti. E forse non si è mai fatta.

Davide Rossi e Ariella Reggio in Harold e Maude – La Contrada (ph. Mario Bobbio)

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HAROLD E MAUDE
di Colin Higgins
adattamento e regia Diana Höbel
con Ariella Reggio, Davide Rossi, Marzia Postogna, Maurizio Zacchigna, Valentino Pagliei, Enza De Rose e Omar Giorgio Makhloufi
musiche Claudio Rastelli
scene e costumi Andrea Stanisci
disegno luci Bruno Guastini
produzione La Contrada – Teatro Stabile di Trieste

dal 10 al 20 febbraio 2022, al Teatro Bobbio di Trieste, poi in tournée