Bambole che turbamento. L’ultra realtà di Gisèle Vienne

Non manco mai a Contemporanea, il festival teatrale del Metastasio di Prato. Quest’anno il tempo era poco, i giorni stretti, le scadenze stringevano. Ma una serata, a Prato la dovevo proprio spendere. In cartellone c’era Gisèle Vienne. Un nome che qui in Italia non è noto a molti. Ma a dire il vero, è un fenomeno europeo. Vi racconto perché.

Gisèle Vienne

Pupazzi, manichini, bambole

Nemmeno io la conoscevo, prima che qualcuno me ne parlasse e me la raccomandasse. L’artista che non ti aspetti. Disturbante. Perturbante. Fuori dagli schemi. Erano frasi che mi rimbalzavano nella testa e che volevano trovare conferma.

Di Gisèle Vienne, franco-austriaca, sapevo che aveva studiato filosofia e si era formata alla più importante scuola francese per burattinai, École Nationale Supérieure des Arts de la Marionnette. Che i suoi compagni di lavoro preferiti erano pupazzi, manichini, bambole, figure di umana verosimiglianza, spesso a grandezza naturale. Che il terreno su cui le piaceva esprimersi era quel margine indistinto che separa l’animato dall’inanimato, e crea negli spettatori sensazioni di inquietudine e agitazione emotiva. Cose che amo. 

Gisèle Vienne - Puppets

Nel mondo terrificante di Gisèle

In L’etang (Lo stagno) – lo spettacolo a cui ho assistito a Prato, a Contemporanea – le aspettative hanno trovato conferma. L’antropologia insegna che a volte pupazzi e bambole sono creature del maligno, quantomeno soprannaturali. E non è certo necessario che vi ricordi quanta cinematografia abbia giocato con bambole assassine.

Gisèle Vienne non lavora certo sul versante dell’horror. Ma la sensazione che quelle sue creature appartengano a un altro mondo, parallelo al nostro, opaco, oscuro, terrificante, sembra tornare ogni volta nei suoi lavori, amplificata da una strabiliante fuga dal realismo. Che lei ottiene forzando all’estremo le luci e le componenti sonore. Effetti presenti anche in L’etang

L'Etang - ph. Mathilde Darel
L’Etang – ph. Mathilde Darel

Stranianti le luci (con cromatismi superbi, degni di certa fotografia recente, o dei migliori scatti che mi capita di vedere su Instagram). Iperbolici i suoni e la musica (a Parigi, ho saputo, in occasione del suo Showroomdummies #4 agli spettatori venivano consegnati tappi per le orecchie, utili per attutire quell’estremismo).

Senza contare poi il rallentamento che, per tutta la durata dello spettacolo, Vienne impone ai movimenti dei suoi personaggi. Movenze quotidiane – camminare, sedersi, rannicchiarsi – ma così allentate, ritardate, che ci spostano su un altro mondo, dove la percezione sembra avere regole diverse.

Allo stesso modo, a farci sentire altrove, è l’effetto di ventriloquismo che le due performer di L’etang gestiscono con speciale perizia (sono soltanto due, ma i loro personaggi sono molti). Un effetto che ci allontana ancora di più dal piano della realtà. E apre l’accesso a un’ultra-realtà, che è la dimensione in cui Gisèle Vienne lavora.

Gisèle Vienne - L'Etang - ph. Estelle Hanania
L’Etang – ph. Estelle Hanania

Total white

A mettermi in allarme del resto è stata già la primissima scena. Nel total white delle quinte, del fondale, del pavimento, spicca il letto disfatto di adolescente, sopra e attorno al quale incombono figure di altri adolescenti, vestiti come tutti gli adolescenti, ma immobili, congelati nel tempo e nello spazio.

Così che, nell’impatto di quella immagine iniziale, riesce difficile capire se si tratti di attori perfezionisti o di creature inanimate. Tanta cura è posta nella verosimiglianza. Ad uno ad uno, i manichini verranno presi in braccio e portati via, affettuosamente, famigliarmente, da un assistente. Ma la percezione che si tratti di cadaveri, giovani vite interrotte, resterà fino alla conclusione del dramma.

Perché dramma è il soggetto da cui muove L’etang: un testo dello scrittore svizzero-tedesco Robert Walser ( 1878-1956). Drammoletto anzi, che spia la pulsione di morte di un adolescente il quale simula il suicidio nello stagno del titolo. Per vedere l’effetto che fa, si potrebbe dire, ironizzando. In realtà è questione di relazioni amare tra una madre e un figlio, scarti affettivi, disamori.

Lo spettacolo vi instilla il sospetto di abusi emotivi e dinamiche famigliari disturbanti (ma non troppo, se vi è mai capitato di leggere i testi dei giovani drammaturghi contemporanei). 

Robert Walser - Commedia copertina
Il volume raccoglie alcuni drammoletti di Walser

Morte per acqua

Sui margini di questa mendace morte adolescenziale, dunque, Gisèle Vienne muove i fili della sua creazione. Che ad ogni secondo di silenzio, a ogni accenno di dialogo, ad ogni minuscolo movimento, lascia lo spettatore su un altro margine: quello dell’ansia e dell’ignoto che si spalanca sotto a ciò che è visibile, però non fa parte di questo mondo. Vi sta sopra, vi sta sotto. Indecifrabile con gli strumenti del buon senso. O della narrazione.

L'Etang - ph. Estelle Hanania
L’Etang – ph. Estelle Hanania

Vederla ancora

È stato proprio là, nel finale di intimo coinvolgimento, che ho fatto di Gisèle Vienne un mio nuovo idolo. Da consigliare, com’era già successo con me, a chi del teatro volesse esplorare la faccia opaca, non quella rassicurante

Alcuni lavori di Vienne sono passati già in Italia, in Biennale a Venezia già nel 2018, per esempio, e poi a Centrale Fies, al festival FOG Triennale di Milano. Ma sempre un po’ di sbieco, come se l’estraneità al mainstream nazionale, li rendesse un po’ troppo difficili per gli italiani. Solo Short Theatre, qualche settimana fa, a Roma le ha dedicato una prima e corposa”personale”.

Gisèle Vienne e Claudia Cannella per Jerk alla Biennale 2018
Gisèle Vienne e Claudia Cannella discutono di Jerk alla Biennale 2018

Vi lascio alle immagini di una delle sue più recenti creazioni (proprio Showroomdummies #4, andato in scena al Festival d’Automne 2021 a Parigi).

Forse mette anche a voi, come ha messo a me, la voglia di vederla ancora.

– – – – – – – – – – – – – 
L’ETANG (Lo stagno) 
basato sulla storia originale di Robert Walser
ideazione, direzione, scene, drammaturgia Gisèle Vienne
eseguito da Adèle Haenel & Henrietta Wallberg
luci Yves Godin
design del suono Adrien Michel
musica originale Stephen F. O’Malley & François J. Bonnet
concezione dei burattini Gisèle Vienne
produzione DACM / compagnia Gisèle Vienne
coproduzione Nanterre-Amandiers CDN, Théâtre National de Bretagne, Maillon, Théâtre de Strasbourg – Scène européenne, Holland Festival, Amsterdam, Fonds Transfabrik – Fonds franco-allemand pour le spectacle vivant, Centre Culturel André Malraux (Vandoeuvre-lès-Nancy), Comédie de Genève, La Filature – Scène nationale de Mulhouse, Le Manège – Scène nationale de Reims, MC2 : Grenoble, Ruhrtriennale, Tandem Scène nationale, Kaserne Basel, International Summer Festival Kampnagel Hamburg, Festival d’Automne à Paris, Théâtre Garonne, CCN2 – Centre Chorégraphique national de Grenoble, BIT Teatergarasjen, Bergen, Black Box Teater, Oslo

visto a Prato, a Contemporanea Festival

Premio Rete Critica 2022. Il momento magico.

Le 23.59 di questa sera sono il termine ultimo per votare. Con le loro preferenze, le testate che aderiscono a Rete Critica decidono oggi quali saranno gli artisti, le compagnie, i progetti che tra qualche mese, al Teatro Bellini a Napoli, concorreranno, da finalisti, all’assegnazione del Premio Rete Critica 2022.

I selezionati Premio Rete Critica 2022

Undicesima edizione

Di Rete Critica ho già parlato altre volte su QuanteScene! Anche perché QuanteScene! fa parte di Rete Critica. Che è un gruppo informale (parecchio informale) di persone che scrivono online, sulle quelle testate e quei blog che negli ultimi 20 hanno trasformato il modo di pensare il teatro. Il digitale modifica il pensiero. Il pensare modifica lo scrivere. La scrittura sul teatro modifica il teatro. A cascata.

Da più di dieci dieci anni, Rete Critica incarna questa trasformazione, e prova a raccontarla, attraverso la scrittura, e non solo. Anche con il suo Premio, che ogni anno, alla fine dell’autunno, ridisegna il panorama annuale del teatro più interessante, e indica, nel corso di una discussione collettiva, anch’essa parecchio informale, il nome di un artista, di una compagnia, di un progetto che, per quell’anno, sembra o sembrano, rappresentare una tensione al nuovo, ricercata e espressa nel territorio del teatro italiano.

Un territorio mobile

O fluttuante se preferite. Fatto di formazioni in crescita, compagnie che hanno investito su se stesse e ce l’hanno fatta, artisti solitari che ci provano, esordienti e generosi tentativi di esserci, magari qualche affondamento. Un mondo comunque da osservare e da valorizzare.

Con un lavoro attento, spesso molto accurato, le testate di Rete Critica si sono date da fare in questi mesi. Dopo incontri (quello avvenuto a luglio al Mittelfest di Cividale, per esempio), dopo discussioni (su Whatsapp, ma anche dal vivo), dopo segnalazioni, proposte e ripensamenti, insieme, sono arrivate a disegnare il panorama teatrale di quest’anno. Parziale, ovviamente, come parziale è ogni sguardo. Particolare, perché ogni scelta, in ogni testa, è il frutto di una diversa enciclopedia. Interessante, perché il nuovo potrà anche essere fragile, ma non è mai banale.

Insomma, abbiamo fatto un bel lavoro di esplorazione, e ora ci rimbocchiamo le maniche per mostrarvelo.

anticipazioni dal Premio Rete Critica 2022

Motivi e scelte

In questa tabella trovate le scelte fatte da ogni testata e le motivazioni che hanno portato a quelle preferenze. Tutti gli artisti e i gruppi che hanno ottenuto due preferenze sono passati alla seconda fase, quella della selezione.

I selezionati, i preferiti – chiamiamoli così – cioè quelli con almeno due segnalazioni, sono i seguenti (in ordine alfabetico).

Seconda fase
Premio Rete Critica 2022

Carrozzerie N.O.T

Chille de Balanza

Collettivo MINE

Collettivo Onar

Compagnia Fettarappa/Guerrieri

Controcanto Collettivo

Dance Well – movement research for Parkinson

Malmadur

Nessuno Resti Fuori Festival

Spettatoreprofessionista

Teatro 19

Teatro dei Borgia

Tovaglia a Quadri

A questo punto, tra questi tredici, bisogna andare a scegliere i tre che arriveranno alla finale del 5 e 6 novembre, a Napoli. 

Ecco perché oggi, adesso, le poche ore che ci separano dalle 23.59, sono il momento magico. Quello in cui si forma la rosa – voi la chiamate short list? – dei finalisti. 

Li incontreremo, tutti e tre, al Teatro Bellini, che quest’anno ospita il Premio. E discutendo, nella seconda serata, decideremo chi sarà il vincitore 2022.

Il tempo stringe

Il momento è magico proprio per questo: il tempo stringe, la short list pure, e l’appuntamento finale si avvicina. Se coinvolge magari anche voi, o vi appassiona, o semplicemente vi interessa, sappiate che QuanteScene! starà sul pezzo – piace tanto questa espressione ai giornalisti – e vi racconterà sviluppi e esiti del Premio Rete Critica 2022.

Appuntamento ai prossimi post.

Lirica, poesia, teatro. La golden hour di Cesare Lievi

È un momento d’oro per Cesare Lievi. L’editore Morcelliana ha appena pubblicato in un volume dieci suoi lavori (Teatro, 512 pp. 35 euro) e un secondo è già in preparazione. Tra due settimane la sua regia del Trovatore verdiano debutterà, diretta da Zubin Metha, al Maggio Musicale Fiorentino. A Salò, sul lago di Garda, una mostra ripercorre gli allestimenti realizzato da lui e dal fratello Daniele, scenografo, per i teatri italiani e di lingua tedesca. Nel vortice. Il filo, una sua nuova raccolta di poesie, esce nella collana “Giallo Oro” di PordenoneLegge.

Se non bastasse, sarà lui stesso infine, proprio questa sera (ore 21), a parlarne in pubblico con il direttore della manifestazione letteraria pordenonese, Gian Mario Villalta. (vedi qui).

Cesare e Daniele Lievi - Caterinetta di Heilbronn
Carta segreta per Caterinetta di Heilbronn di Heinrich von Kleist

Quei ragazzi sul Garda

Drammaturgo, poeta, regista, Cesare Lievi potrebbe – volendo – festeggiare tra pochi mesi cinquant’anni di teatro. Ne aveva solo 21, quando, nel 1973, a Gargnano, un piccolo porto sulla riva lombarda del Garda, lui e il fratello Daniele, insieme a un gruppo di ragazzi del paese, si improvvisarono teatranti e provarono a riscrivere Quanto costa il ferro? di Bertolt Brecht. “Eravamo un po’ immaturi – ricorda – ma sapienti: era l’istinto a muoverci“.

Sarà ancora quello stesso istinto, oppure la sapienza, che lo porta adesso, molti decenni dopo, a mettere in scena Il trovatore, lo snodo più famoso del Verdi “spagnolo” (assieme a Ernani e Don Carlo) che debutta il 29 settembre al Maggio Fiorentino, con la direzione orchestrale di Zubin Metha (vedi la locandina). “È un groviglio di pulsioni quello che voglio mettere in scena – dice ancora – Verdi ha creato una fiaba nera, disperata, ma vitale, che mostra quanto la nostra interiorità sia spaventosa“.

Due lingue, due mondi

Per raccontare Cesare Lievi non basta quindi una voce della Treccani (vedi qui): ci vorrebbe almeno un volume. Ne è infatti uscito uno, qualche anno fa, Teatro da fare (vedi qui), che attraverso le domande di Lucia Mor Wuhrer, docente di lingua e letteratura tedesca, ricostruisce il rapporto tra i due mondi, quello italiano e quello tedesco, che i fratelli Lievi hanno fin da ragazzi frequentato.

Ma per conoscerlo ancora meglio il mio suggerimento è di ascoltarlo, com’è capitato a me, percorrendo insieme, le sale e i corridoi del MuSa, il museo di Salò, che fino al 30 novembre prossimo riserva la propria ala espositiva al lavoro di scenografo (e non solo) del fratello Daniele. Disegni e visioni per investigare e illuminare interpretazione e regia. E viceversa. 

locandina MuSa 2022

Carte segrete


Carte segrete <> Teatro, visioni 
dice il titolo della mostra, ideata da Cesare e curata da Bianca Simoni, che in più di 150 opere ripercorre il breve e intenso lavoro di Daniele nei teatri italiani e tedeschi, dalla fine degli anni Settanta al 1990. 

È in quell’autunno che, a soli 36 anni, l’artista scompare lasciando che il fratello prosegua da solo il percorso che si era avviato proprio dal lago di Garda, a pochi chilometri da Salò. Nel 1978 i due Lievi, trentenni, alla guida di un gruppo di amici, in una caserma in disuso nel piccolo paese di Gargnano, avevano inventato il Teatro dell’Acqua.

“Un teatro che in realtà era uno stanzone, sei metri per dodici, muri incombenti, due porte laterali, uno spazio per il palco condiviso con gli spettatori, un luogo di trasformazioni” ricorda il Lievi regista. Nel giro di pochi anni il teatro sul lago, le sue misure anguste, lasceranno spazio a sale ben più titolate e sterminati palcoscenici: quello di Heidelberg, l’Oper di Francoforte, il Burgtheater di Vienna. In Italia, i due fratelli lavoreranno alla Biennale, alle Orestiadi di Gibellina, e via via scaleranno anche la Scala a Milano, per un Parsifal diretto da Riccardo Muti, che è l’ultima intuizione dello scenografo, nell’anno stesso in cui muore, il 1990. 

Cesare e Daniele Lievi - La morte di Empedocle - Carta segreta
Carta segreta per La morte di Empedocle di Friedrich Hölderlin 

Maghi del Garda

Zauberer des Gardasee, maghi del Garda, li aveva definiti la stampa tedesca in quel decennio. Le carte segrete esposte a Salò aiutano a capire o meglio a intuire, così enigmatiche come sono, quale fosse il loro rapporto. Non tanto quello famigliare, ma l’incrocio speciale che nei Brüder Lievi si stabilisce tra due ruoli. E attraverso influssi reciproci e progressivi arriva a definire l’architettura visiva e drammaturgica dei loro spettacoli. E non finisce là, perché con flusso inverso, dal palcoscenico alla carta, la rappresentazione si riconverte poi alle due dimensioni della grafica e si arricchisce di sviluppi cromatici, cariche emozionali, valori pittorici. Per un ripensamento, magari. O per fissare nel tempo il segno che invece, al chiudersi del sipario, era stato, come sempre succede a teatro, un sogno. 

“Perché Carte segrete? Cosa dicono, o tentano di dire? E soprattutto: se sono segrete perché le esponiamo?” si domanda il Lievi regista, mentre mette a confronto un disegno, la fotografia dello spettacolo, e il successivo ripensamento pittorico del Lievi scenografo.

“Daniele agiva sulle fotografie con matite colorate e pennarelli, fotocopiava parte del materiale documentario, lo ritagliava, lo modificava, lo trasformava cromaticamente con altra carta, imbevuta di trielina, componeva disegni o quadri, e chiamava tutto questo carte segrete“.

Daniele Lievi - Carta segreta
Carta segreta

Una drammaturgia a posteriori

Ecco perché i fogli, le tele, i fogli di taccuino ordinati e messi in mostra, rifiutano con decisione l’etichetta di bozzetto, che poi vorrebbe dire schizzo, abbozzo, appunto grafico. “Una parola che Daniele ha sempre detestato è proprio quella” dice. Ecco perché le Carte si ostinano a non essere tavole tecniche e progetti esecutivi, ma nei loro bizzarri intrecci, nel collage informale (in cui tuttavia si squadra una porta, si delinea una linea di prospettiva) hanno una luce di lampo, una sollecitazione che riforma in termini non consueti, originali, il rapporto tra scenografia e regia. E aggiunge stimoli per una drammaturgia a posteriori

“Come se Daniele mirasse a una definizione sempre più precisa di ciò che sono un testo teatrale e la sua rappresentazione – spiega Lievi regista – ma dall’altro rincorresse un’idea di rappresentazione assoluta, sapendo pur bene che non può essere raggiunta, né da una singola opera né dal più fitto e operoso degli accumuli”.

E se scruti a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te” è uno degli aforismi celebri di Friedrich Nietzsche, che nel 1880 soggiornò a Riva del Garda. 

Daniele e Cesare Lievi a Gargnano,  1987 (ph. Andreas Pohlmann)
Daniele e Cesare Lievi a Gargnano, 1987 (ph. Andreas Pohlmann)

Dalle profondità del Garda nasce anche il binomio Lievi. Da  Passaggi nel filo (1980) e dal Barbablù da Georg Trakl, apparso nell’edizione 1984 della Biennale, fino alle grandi avventure borghesi nei teatri di lingua tedesca (La donna del mare, Sonata di fantasmi, Il nuovo inquilino), fino al romanticismo della Caterinetta di Heilbronn a Basilea e al Parsifal maestoso della Scala (1990).

Con gli occhi di chi ha vissuto di fronte allo stesso paesaggio scrutato da Nietzsche, anche il lavoro dei due maghi del lago è stata una messa in abisso.

[parte di questo post è stata pubblicata sul numero 3/2022 della rivista Hystrio]

– – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – –
CARTE SEGRETE <> TEATRO, VISIONI
una mostra ideata da Cesare Lievi e curata da Bianca Simoni
organizzata dal Comune di Salò – Assessorato alla Cultura in collaborazione con il MuSa – MuSa – Museo di Salò, Via Brunati 9 – Salò (BS)
dal 9 Aprile 2022 al 30 Novembre 2022 

– – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – –
Cesare Lievi
TEATRO
prefazione di Peter Iden
introduzione di Gianfranco Capitta
Collana Scholè – Morcelliana Edizioni, 2022
pp.512, 35 euro

Centoventimila: e non accorgersene

Vabbè, mi ero preso una settimana di vacanza e non me ne sono accorto.

Oggi però, con lo sguardo perso sul mare di fronte a me, più che sul display, scopro che in questi 5 anni di glorioso servizio, QuanteScene! è riuscito a totalizzare la bella sommetta di 120.000 visite al blog. Traguardo raggiunto l’altro ieri.

centoventimila

Centoventimila. Come sempre non so se sia un risultato straordinario, oppure nella media: ignoro quanta visibilità raggiungano gli altri blog di teatro. Direi però che QuanteScene! un bel tot di lettori li macina.

In sostanza, ne sono soddisfatto: fiero che ogni giorno una quarantina di persone circa approdi a QuanteScene! per leggersi qualche notizia su ciò che capita nei teatri.

Report QuanteScene del 10/9/2022

Tra gli articoli più letti restano sempre quello su ‘quel che resta di Marco Cavallo e di Giuliano Scabia’ (qui), quello sulla Ferriera dI Trieste (qui), i due sulla Kleine Berlin e Tarvovskij (qui e qui) . E poi Sciarroni, l’Ikea, Lucia Calamaro

… e naturalmente il piccolo manuale divulgativo su vent’anni di teatro in italia. Lo dovrei aggiornare però.

La durata media di ciascuna sessione, su centoventimila visite, supera poi i 3 minuti. Il che vuol dire che i miei lettori, non solo mi guardano, ma mi leggono proprio. 

Grazie, quindi. Grazie e tutti insieme al prossimo traguardo.

Claudio Tolcachir, teatro come vocazione

Fra i registi della sua generazione, quella dei quarantenni, è il più riconoscibile, il più sensibile, il più seduttivo. Uno dei più mondiali. Claudio Tolcachir, argentino di Buenos Aires, teatrista.

Con questa parola in America latina si indica chi in teatro sa fare tutto: l’attore, l’autore, il regista, il tecnico, qualsiasi cosa sia necessaria. Un bravo teatrista a volte diventa poi anche un bravo maestro di teatro. Nel suo Paese e altrove. È il caso di Tolcachir.

Claudio Tolcachir (ph Alice BL Durigatto / Phocus Agency)
Claudio Tolcachir (ph Alice BL Durigatto / Phocus Agency)

La Scuola dei Maestri, 30esima edizione

Con tale qualifica, maestro, il regista argentino conduce la 30esima edizione dell’Ecole des Maîtres, il corso di perfezionamento internazionale per attori da poco iniziato a Villa Manin a Passariano (UD). L’antica e monumentale villa veneta, la sua foresteria, il parco, sono la sede principale che il promotore CSS di Udine ha riservato alla sessione italiana del progetto.

Nelle prossime settimane l’Ecole si svilupperà in altri tre Paesi – Belgio (Liegi), Portogallo (Lisbona e Coimbra), Francia (Caen e Reims) – per essere poi nuovamente in Italia al Piccolo Teatro di Milano, dal 17 al 21 settembre.

Ieri 5 settembre, lui e i suoi giovani attori – 16, provenienti da 4 diversi Paesi – hanno presentato in pubblico, negli spazi di Villa Manin, la prima fase del lavoro. 

Claudio Tolcachir tra i 16 attori dell Ecole des Maîtres 2022
Ecole des Maîtres 2002 (ph Alisa Franzil)

Conoscersi per caso a Buenos Aires

Come in certi locali da ballo della Buenos Aires di un tempo, e di quella contemporanea, dove ogni sera sconosciuti si incontrano, si scelgono, si piacciono, ballano assieme e forse di più. Così prende avvio La creazione accidentale. 

È il titolo che Tolcachir ha dato al suo progetto. Un tema che riporta in campo teatrale, in forma quasi pedagogica, le stesse modalità con cui persone di tutte le classi sociali, la sera, o il sabato, la domenica pomeriggio, si ritrovano sulle piste da ballo.

Tango e milonga sono strumenti di fluidità sociale. Gli sguardi, i cenni, un sopracciglio alzato, un cabeceo, sono un universo di codici nascosti, regole e segnali che vanno ben oltre la danza.

La creazione accidentale  - Ecole des Maitres 2022 (ph Alice ML Durigatto / Phocus Agency)
La creazione accidentale (ph Alice BL Durigatto / Phocus Agency)

Così i vecchi motivi di Adolfo Carabelli e Francisco Canaro, meno noti forse dell’onnipresente Carlos Gardel, accompagnano i sedici sconosciuti che in questa sala – che sia da ballo o di teatro – provano a conoscersi, a studiarsi, a piacersi, a rifiutarsi. 

Come tutti gli attori, amano farsi vedere, amano piacere, amano amarsi. E in questo piccolo universo, misurano se stessi, la propria storia, la forza di seduzione, le incertezze e le incapacità.

La creazione accidentale (Ph  Alice BL Durigatto / Phocus Agency) Claudio Tolcachir - Ecole des Maîtres 2022
La creazione accidentale (Ph Alice BL Durigatto / Phocus Agency)

Desideri e ossessioni

Con loro ho condiviso anche le mie domande, i miei desideri, le mie ossessioni” ha spiegato Tolcachir alla fine di questa prima uscita pubblica. Nella quale era facile riconoscere il tema dell’accidentalità. Dell’amore e del caso, avrebbe detto un altro maestro.

Ma quello che accade là, in scena è tutto loro: il loro immaginario, i loro pensieri, le loro ossessioni. Io li ho solo aiutati a tirarle fuori, a metterle a fuoco. Li ho spinti ad essere essi stessi creatori, liberi dall’imperativo dell’efficacia, fiduciosi in sé. E questo si sta rivelando meraviglioso e curativo anche per me. Oggi, nel teatro, tutto ciò è un lusso“. 

La creazione accidentale (Ph  Alice BL Durigatto / Phocus Agency)
La creazione accidentale (Ph Alice BL Durigatto / Phocus Agency)

Gli chiedo: “Si può sostenere che il teatro, in particolare quello sudamericano, in Argentina o in Cile, dove si vivono condizioni economiche e politiche difficili, se non autoritarie come in Brasile, resta proprio per questo un laboratorio sociale?”

Accidentale, imperfetto, pieno di umanità

Per noi latinoamericani il teatro è una necessità – mi dice – è un luogo dove incontrarsi, per capire e approfondire la propria identità. A volte è uno spazio di assemblea, a volte di resistenza. Tutto ciò che nasce per necessità ha sempre in sé una vibrazione che commuove”.

Sulla commozione, sull’empatia, Tolcachir lavora molto. Creazioni come Emilia, o El viento en un violin, anche il più recente Edificio 3 (produzione, lo scorso anno, del Piccolo di Milano) hanno girato il mondo e fatto di lui il rappresentante di una poetica della sensibilità.

Tutto ciò che mi colpisce – mi spiega ancora – si trasforma in teatro. Non saprei dire esattamente da dove mi nasca questo stimolo. Ma ciò che mi serve di più è avere a disposizione uno spazio di libertà e di rischio, come è questo, il lavoro che sto facendo con i giovani attori dell’Ecole”.

E ancora:

Tutto ciò che è accidentale, imperfetto, pieno di umanità, rimane spesso fuori dal lavoro d’attore. Ma è proprio questo materiale, assolutamente personale, quello che mi interessa”.

“Al di là della fiducia personale (una cosa che a me manca) la mia preoccupazione è trovare qualcosa che superi l’idea di teatro soltanto come professione. Non riesco proprio a smettere di pensare al teatro come vocazione“.

Claudio Tolcachir - Ecole des Maitres 2022

– – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – –  
ECOLE DES MAÎTRES 2022
corso internazionale itinerante di perfezionamento teatrale
XXX edizione: 26 agosto – 1 ottobre 2022 

La creazione accidentale
maître Claudio Tolcachir
assistenti Hugo Samek, Nicoletta Oscuro
allievi Viola Carinci, Daniele Cavone Felicioni, Christian di Filippo, Lucia Marinsalta (Italia); Lénaïc Brulé, Sarah Espour, Paul Mosseray, Laura Ughetto (Belgio); Julien Desmarquest, Isabel Aimé Gonzáles Sola, Ana Maria Haddad Zavadinack, Ophélie Trichard (Francia); Ana Baptista, Filipa Carloto Matta, Eduardo Molina, Lúcia Pires (Portogallo)

partner di progetto e direzione artistica 
CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa (Italia) 
CREPA – Centre de Recherche et d’Expérimentation en Pédagogie Artistique (CFWB/Belgio) 
Teatro Nacional D. Maria II, TAGV – Teatro Académico de Gil Vicente (Portogallo) 
Comédie de Caen – Centre Dramatique National de Normandie, 
Comédie, Centre dramatique national de Reims (Francia)
con il sostegno di 
MiC – Direzione Generale Spettacolo, Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia – Direzione centrale cultura, sport e solidarietà, Fondazione Friuli (Italia)