È un momento d’oro per Cesare Lievi. L’editore Morcelliana ha appena pubblicato in un volume dieci suoi lavori (Teatro, 512 pp. 35 euro) e un secondo è già in preparazione. Tra due settimane la sua regia del Trovatore verdiano debutterà, diretta da Zubin Metha, al Maggio Musicale Fiorentino. A Salò, sul lago di Garda, una mostra ripercorre gli allestimenti realizzato da lui e dal fratello Daniele, scenografo, per i teatri italiani e di lingua tedesca. Nel vortice. Il filo, una sua nuova raccolta di poesie, esce nella collana “Giallo Oro” di PordenoneLegge.
Se non bastasse, sarà lui stesso infine, proprio questa sera (ore 21), a parlarne in pubblico con il direttore della manifestazione letteraria pordenonese, Gian Mario Villalta. (vedi qui).

Quei ragazzi sul Garda
Drammaturgo, poeta, regista, Cesare Lievi potrebbe – volendo – festeggiare tra pochi mesi cinquant’anni di teatro. Ne aveva solo 21, quando, nel 1973, a Gargnano, un piccolo porto sulla riva lombarda del Garda, lui e il fratello Daniele, insieme a un gruppo di ragazzi del paese, si improvvisarono teatranti e provarono a riscrivere Quanto costa il ferro? di Bertolt Brecht. “Eravamo un po’ immaturi – ricorda – ma sapienti: era l’istinto a muoverci“.
Sarà ancora quello stesso istinto, oppure la sapienza, che lo porta adesso, molti decenni dopo, a mettere in scena Il trovatore, lo snodo più famoso del Verdi “spagnolo” (assieme a Ernani e Don Carlo) che debutta il 29 settembre al Maggio Fiorentino, con la direzione orchestrale di Zubin Metha (vedi la locandina). “È un groviglio di pulsioni quello che voglio mettere in scena – dice ancora – Verdi ha creato una fiaba nera, disperata, ma vitale, che mostra quanto la nostra interiorità sia spaventosa“.
Due lingue, due mondi
Per raccontare Cesare Lievi non basta quindi una voce della Treccani (vedi qui): ci vorrebbe almeno un volume. Ne è infatti uscito uno, qualche anno fa, Teatro da fare (vedi qui), che attraverso le domande di Lucia Mor Wuhrer, docente di lingua e letteratura tedesca, ricostruisce il rapporto tra i due mondi, quello italiano e quello tedesco, che i fratelli Lievi hanno fin da ragazzi frequentato.
Ma per conoscerlo ancora meglio il mio suggerimento è di ascoltarlo, com’è capitato a me, percorrendo insieme, le sale e i corridoi del MuSa, il museo di Salò, che fino al 30 novembre prossimo riserva la propria ala espositiva al lavoro di scenografo (e non solo) del fratello Daniele. Disegni e visioni per investigare e illuminare interpretazione e regia. E viceversa.

Carte segrete
Carte segrete <> Teatro, visioni dice il titolo della mostra, ideata da Cesare e curata da Bianca Simoni, che in più di 150 opere ripercorre il breve e intenso lavoro di Daniele nei teatri italiani e tedeschi, dalla fine degli anni Settanta al 1990.
È in quell’autunno che, a soli 36 anni, l’artista scompare lasciando che il fratello prosegua da solo il percorso che si era avviato proprio dal lago di Garda, a pochi chilometri da Salò. Nel 1978 i due Lievi, trentenni, alla guida di un gruppo di amici, in una caserma in disuso nel piccolo paese di Gargnano, avevano inventato il Teatro dell’Acqua.
“Un teatro che in realtà era uno stanzone, sei metri per dodici, muri incombenti, due porte laterali, uno spazio per il palco condiviso con gli spettatori, un luogo di trasformazioni” ricorda il Lievi regista. Nel giro di pochi anni il teatro sul lago, le sue misure anguste, lasceranno spazio a sale ben più titolate e sterminati palcoscenici: quello di Heidelberg, l’Oper di Francoforte, il Burgtheater di Vienna. In Italia, i due fratelli lavoreranno alla Biennale, alle Orestiadi di Gibellina, e via via scaleranno anche la Scala a Milano, per un Parsifal diretto da Riccardo Muti, che è l’ultima intuizione dello scenografo, nell’anno stesso in cui muore, il 1990.

Maghi del Garda
Zauberer des Gardasee, maghi del Garda, li aveva definiti la stampa tedesca in quel decennio. Le carte segrete esposte a Salò aiutano a capire o meglio a intuire, così enigmatiche come sono, quale fosse il loro rapporto. Non tanto quello famigliare, ma l’incrocio speciale che nei Brüder Lievi si stabilisce tra due ruoli. E attraverso influssi reciproci e progressivi arriva a definire l’architettura visiva e drammaturgica dei loro spettacoli. E non finisce là, perché con flusso inverso, dal palcoscenico alla carta, la rappresentazione si riconverte poi alle due dimensioni della grafica e si arricchisce di sviluppi cromatici, cariche emozionali, valori pittorici. Per un ripensamento, magari. O per fissare nel tempo il segno che invece, al chiudersi del sipario, era stato, come sempre succede a teatro, un sogno.
“Perché Carte segrete? Cosa dicono, o tentano di dire? E soprattutto: se sono segrete perché le esponiamo?” si domanda il Lievi regista, mentre mette a confronto un disegno, la fotografia dello spettacolo, e il successivo ripensamento pittorico del Lievi scenografo.
“Daniele agiva sulle fotografie con matite colorate e pennarelli, fotocopiava parte del materiale documentario, lo ritagliava, lo modificava, lo trasformava cromaticamente con altra carta, imbevuta di trielina, componeva disegni o quadri, e chiamava tutto questo carte segrete“.

Una drammaturgia a posteriori
Ecco perché i fogli, le tele, i fogli di taccuino ordinati e messi in mostra, rifiutano con decisione l’etichetta di bozzetto, che poi vorrebbe dire schizzo, abbozzo, appunto grafico. “Una parola che Daniele ha sempre detestato è proprio quella” dice. Ecco perché le Carte si ostinano a non essere tavole tecniche e progetti esecutivi, ma nei loro bizzarri intrecci, nel collage informale (in cui tuttavia si squadra una porta, si delinea una linea di prospettiva) hanno una luce di lampo, una sollecitazione che riforma in termini non consueti, originali, il rapporto tra scenografia e regia. E aggiunge stimoli per una drammaturgia a posteriori.
“Come se Daniele mirasse a una definizione sempre più precisa di ciò che sono un testo teatrale e la sua rappresentazione – spiega Lievi regista – ma dall’altro rincorresse un’idea di rappresentazione assoluta, sapendo pur bene che non può essere raggiunta, né da una singola opera né dal più fitto e operoso degli accumuli”.
“E se scruti a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te” è uno degli aforismi celebri di Friedrich Nietzsche, che nel 1880 soggiornò a Riva del Garda.

Dalle profondità del Garda nasce anche il binomio Lievi. Da Passaggi nel filo (1980) e dal Barbablù da Georg Trakl, apparso nell’edizione 1984 della Biennale, fino alle grandi avventure borghesi nei teatri di lingua tedesca (La donna del mare, Sonata di fantasmi, Il nuovo inquilino), fino al romanticismo della Caterinetta di Heilbronn a Basilea e al Parsifal maestoso della Scala (1990).
Con gli occhi di chi ha vissuto di fronte allo stesso paesaggio scrutato da Nietzsche, anche il lavoro dei due maghi del lago è stata una messa in abisso.
[parte di questo post è stata pubblicata sul numero 3/2022 della rivista Hystrio]
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CARTE SEGRETE <> TEATRO, VISIONI
una mostra ideata da Cesare Lievi e curata da Bianca Simoni
organizzata dal Comune di Salò – Assessorato alla Cultura in collaborazione con il MuSa – MuSa – Museo di Salò, Via Brunati 9 – Salò (BS)
dal 9 Aprile 2022 al 30 Novembre 2022
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Cesare Lievi
TEATRO
prefazione di Peter Iden
introduzione di Gianfranco Capitta
Collana Scholè – Morcelliana Edizioni, 2022
pp.512, 35 euro