Non manco mai a Contemporanea, il festival teatrale del Metastasio di Prato. Quest’anno il tempo era poco, i giorni stretti, le scadenze stringevano. Ma una serata, a Prato la dovevo proprio spendere. In cartellone c’era Gisèle Vienne. Un nome che qui in Italia non è noto a molti. Ma a dire il vero, è un fenomeno europeo. Vi racconto perché.

Pupazzi, manichini, bambole
Nemmeno io la conoscevo, prima che qualcuno me ne parlasse e me la raccomandasse. L’artista che non ti aspetti. Disturbante. Perturbante. Fuori dagli schemi. Erano frasi che mi rimbalzavano nella testa e che volevano trovare conferma.
Di Gisèle Vienne, franco-austriaca, sapevo che aveva studiato filosofia e si era formata alla più importante scuola francese per burattinai, École Nationale Supérieure des Arts de la Marionnette. Che i suoi compagni di lavoro preferiti erano pupazzi, manichini, bambole, figure di umana verosimiglianza, spesso a grandezza naturale. Che il terreno su cui le piaceva esprimersi era quel margine indistinto che separa l’animato dall’inanimato, e crea negli spettatori sensazioni di inquietudine e agitazione emotiva. Cose che amo.

Nel mondo terrificante di Gisèle
In L’etang (Lo stagno) – lo spettacolo a cui ho assistito a Prato, a Contemporanea – le aspettative hanno trovato conferma. L’antropologia insegna che a volte pupazzi e bambole sono creature del maligno, quantomeno soprannaturali. E non è certo necessario che vi ricordi quanta cinematografia abbia giocato con bambole assassine.
Gisèle Vienne non lavora certo sul versante dell’horror. Ma la sensazione che quelle sue creature appartengano a un altro mondo, parallelo al nostro, opaco, oscuro, terrificante, sembra tornare ogni volta nei suoi lavori, amplificata da una strabiliante fuga dal realismo. Che lei ottiene forzando all’estremo le luci e le componenti sonore. Effetti presenti anche in L’etang.

Stranianti le luci (con cromatismi superbi, degni di certa fotografia recente, o dei migliori scatti che mi capita di vedere su Instagram). Iperbolici i suoni e la musica (a Parigi, ho saputo, in occasione del suo Showroomdummies #4 agli spettatori venivano consegnati tappi per le orecchie, utili per attutire quell’estremismo).
Senza contare poi il rallentamento che, per tutta la durata dello spettacolo, Vienne impone ai movimenti dei suoi personaggi. Movenze quotidiane – camminare, sedersi, rannicchiarsi – ma così allentate, ritardate, che ci spostano su un altro mondo, dove la percezione sembra avere regole diverse.
Allo stesso modo, a farci sentire altrove, è l’effetto di ventriloquismo che le due performer di L’etang gestiscono con speciale perizia (sono soltanto due, ma i loro personaggi sono molti). Un effetto che ci allontana ancora di più dal piano della realtà. E apre l’accesso a un’ultra-realtà, che è la dimensione in cui Gisèle Vienne lavora.

Total white
A mettermi in allarme del resto è stata già la primissima scena. Nel total white delle quinte, del fondale, del pavimento, spicca il letto disfatto di adolescente, sopra e attorno al quale incombono figure di altri adolescenti, vestiti come tutti gli adolescenti, ma immobili, congelati nel tempo e nello spazio.
Così che, nell’impatto di quella immagine iniziale, riesce difficile capire se si tratti di attori perfezionisti o di creature inanimate. Tanta cura è posta nella verosimiglianza. Ad uno ad uno, i manichini verranno presi in braccio e portati via, affettuosamente, famigliarmente, da un assistente. Ma la percezione che si tratti di cadaveri, giovani vite interrotte, resterà fino alla conclusione del dramma.
Perché dramma è il soggetto da cui muove L’etang: un testo dello scrittore svizzero-tedesco Robert Walser ( 1878-1956). Drammoletto anzi, che spia la pulsione di morte di un adolescente il quale simula il suicidio nello stagno del titolo. Per vedere l’effetto che fa, si potrebbe dire, ironizzando. In realtà è questione di relazioni amare tra una madre e un figlio, scarti affettivi, disamori.
Lo spettacolo vi instilla il sospetto di abusi emotivi e dinamiche famigliari disturbanti (ma non troppo, se vi è mai capitato di leggere i testi dei giovani drammaturghi contemporanei).

Morte per acqua
Sui margini di questa mendace morte adolescenziale, dunque, Gisèle Vienne muove i fili della sua creazione. Che ad ogni secondo di silenzio, a ogni accenno di dialogo, ad ogni minuscolo movimento, lascia lo spettatore su un altro margine: quello dell’ansia e dell’ignoto che si spalanca sotto a ciò che è visibile, però non fa parte di questo mondo. Vi sta sopra, vi sta sotto. Indecifrabile con gli strumenti del buon senso. O della narrazione.

Vederla ancora
È stato proprio là, nel finale di intimo coinvolgimento, che ho fatto di Gisèle Vienne un mio nuovo idolo. Da consigliare, com’era già successo con me, a chi del teatro volesse esplorare la faccia opaca, non quella rassicurante.
Alcuni lavori di Vienne sono passati già in Italia, in Biennale a Venezia già nel 2018, per esempio, e poi a Centrale Fies, al festival FOG Triennale di Milano. Ma sempre un po’ di sbieco, come se l’estraneità al mainstream nazionale, li rendesse un po’ troppo difficili per gli italiani. Solo Short Theatre, qualche settimana fa, a Roma le ha dedicato una prima e corposa”personale”.

Vi lascio alle immagini di una delle sue più recenti creazioni (proprio Showroomdummies #4, andato in scena al Festival d’Automne 2021 a Parigi).
Forse mette anche a voi, come ha messo a me, la voglia di vederla ancora.
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L’ETANG (Lo stagno)
basato sulla storia originale di Robert Walser
ideazione, direzione, scene, drammaturgia Gisèle Vienne
eseguito da Adèle Haenel & Henrietta Wallberg
luci Yves Godin
design del suono Adrien Michel
musica originale Stephen F. O’Malley & François J. Bonnet
concezione dei burattini Gisèle Vienne
produzione DACM / compagnia Gisèle Vienne
coproduzione Nanterre-Amandiers CDN, Théâtre National de Bretagne, Maillon, Théâtre de Strasbourg – Scène européenne, Holland Festival, Amsterdam, Fonds Transfabrik – Fonds franco-allemand pour le spectacle vivant, Centre Culturel André Malraux (Vandoeuvre-lès-Nancy), Comédie de Genève, La Filature – Scène nationale de Mulhouse, Le Manège – Scène nationale de Reims, MC2 : Grenoble, Ruhrtriennale, Tandem Scène nationale, Kaserne Basel, International Summer Festival Kampnagel Hamburg, Festival d’Automne à Paris, Théâtre Garonne, CCN2 – Centre Chorégraphique national de Grenoble, BIT Teatergarasjen, Bergen, Black Box Teater, Oslo
visto a Prato, a Contemporanea Festival