Di festival mi occupavo ai tempi del Patalogo. Me li aveva affibbiati Franco Quadri, che con Ubulibri pubblicava quell’annuario teatrale: il più importante strumento dell’editoria teatrale italiana, summa di tutto ciò che passava stagione dopo stagione sulle scene del nostro Paese, e non solo.
Come uno scolaretto, per ogni festival di teatro, nazionale o internazionale, compilavo ogni anno una scheda. Le informazioni e i titoli di maggior rilievo in quell’edizione, qualche fotografia, uno strillo di stampa. Li studiavo ad uno ad uno. Internet non esisteva ancora: era tutto lavoro fatto a mano, e a distanza.

Una parola, parecchi sensi
La distanza, in questo momento, è quella che separa i festival di oggi da quelli di cui mi occupavo allora, anni ’80 e ’90.
Il termine è sempre lo stesso – festival – ma del tutto cambiata è la loro funzione nel sistema teatrale. Certamente anche il loro senso.
Come si siano evoluti e trasformati è ben raccontato nei libri che Mimma Gallina ha pubblicato per FrancoAngeli (a cominciare dal pionieristico Organizzare teatro a livello internazionale). Dal ruolo storico di vetrine eccellenti (aspetto che dal dopoguerra in poi si conserva soprattutto in ambito centroeuropeo, in particolare nell’area di lingua tedesca), oggi i festival si impegnano direttamente nell’ideare, realizzare e portare a debutto gli spettacoli. Cosa che ne fa, in particolare in Italia, un fattore importante nel processo produttivo.
Proprio a queste trasformazioni pensavo tornando da Milano, dopo quattro giorni a Hystrio Festival, festival neonato, quest’anno alla prima edizione. Un long weekend che mi ha ricuorato sulle sorti del teatro italiano più giovane.
Alle stesse trasformazioni mi riprometto di pensare tra qualche giorno. Quando in treno tornerò da Bologna dopo gli appuntamenti di Vie Festival, che di edizioni ne conta invece una trentina (è cominciato nel 1994 e si chiamava Le vie dei festival) ed è un punto di riferimento stabile dell’autunno teatrale italiano.
Simili ma diversi
Sono festival entrambi. Vie ha sempre avuto uno sguardo rivolto al panorama internazionale e ai grandi maestri. Hystrio Festival è ai primi vagiti, ma mostra un possibile forte respiro italiano e generazionale (nello specifico, guarda all’under 35).
Vie si squaderna per una decina di giorni in diverse località emiliane: si concentra a Bologna e Modena, ma approda anche in teatri più piccoli, a Cesena, a Vignola. Il supporto finanziario e organizzativo è quello di uno tra i maggiori teatri nazionali, ERT Emilia Romagna Fondazione.

Hystrio Festival è un invece indipendente, slegato da realtà produttive, compatto, concentrato. Si è manifestato in un solo weekend, una ventina di eventi tutti ospitati nelle tre sale del milanese Teatro Elfo Puccini, alle quali va aggiunto l’affollato bistrot del pianoterra, cuore battente di incontri, saluti, chiacchiere, discussioni, idee. Relazioni umane che, oltre gli spettacoli, restano un elemento essenziale in ogni festival.

Il programma di Hystrio Festival.
Con la sua programmazione (affidata a una selector di grande esperienza internazionale, Barbara Regondi), Vie compete con gli altri festival italiani che nel corso del tempo hanno maturato questa missione ( la sezione DMT dal vivo della Biennale di Venezia, RomaEuropa, Contemporanea a Prato, Mittelfest…).
Ideato come espansione del Premio Hystrio, costruito pezzo per pezzo, collettivamente, dallo staff redazionale della rivista, la manifestazione milanese punta invece alla valorizzazione di una giovane generazione italiana che scrive il teatro (molti testi inediti sono stati verificati scenicamente grazie all’apporto dell’associazione Situazione Drammatica) e con le proprie forze lo realizza.

Plasticità
Modelli molto diversi quindi, che evidenziano la plasticità di un’etichetta stabilmente inserita tra i punti cardine dei finanziamenti allo spettacolo dal vivo (ma ci sono voluti decenni), sia in ambito nazionale (FUS) sia locale (bandi regionali).
Anche se ministero e assessorati regionali non sempre si sono dimostrati capaci di una lettura puntuale di questa evoluzione. Lo dimostrano i casi recenti e penalizzati di manifestazioni come Terreni Creativi a Albenga, in Liguria, e Primavera dei teatri a Castrovillari, in Calabria. Casi per i quali la collocazione geografica (sono entrambi espressioni di una provincia culturale lontana dagli snodi forti di Lombardia e Emilia) rappresenta certo un punto di forza, ma al tempo stesso un tallone di debolezza finanziaria. Che solo una caparbia resistenza dei loro organizzatori, e alcuni sacrifici gravi, sono riusciti in qualche modo a rimediare.

Il programma di Primavera dei Teatri a Catanzaro e Castrovillari
Sopravvivenza
Si può quindi essere quindi metropolitani oppure localizzati, tematizzati, panoramici, lauti o stringati. Ma decisiva resta la funzione che ogni festival svolge in alternativa alle programmazioni, sempre più standard, sempre più omologate, della stabilità teatrale e dei circuiti regionali. Incapaci, o più probabilmente impossibilitati dal rapporto con i propri pubblici, a stare dietro alla evoluzione del settore.

Il programma di Terreni Creativi ad Albenga
Evoluzione che, tuttavia, è la sola possibilità di sopravvivenza dentro la crescita generazionale dei nuovi italiani, che il teatro riesce a intercettare con grande difficoltà, con enormi sforzi. Un pubblico di ventenni e di trentenni: millennials che a teatro ci vanno a fatica, indifferenti o addirittura a disagio di fronte a un linguaggio per la gran parte novecentesco e obsoleto.
Di Hystrio Festival, potete leggere qui diversi resoconti: da KLP Teatro a PAC PaneAcquaCulture, da Gagarin Magazine a 2duerighe. Di Vie, che comincia il 7 ottobre, tornerò a parlare su QuanteScene! tra qualche settimane. A presto.
Grazie Roberto per queste informazioni. LV
Grazie Luisa per il commento.