È stato appena pubblicato e verrà presentato presentato oggi 12 e domenica 16 novembre, durante Vie Festival a Bologna, il volume Summa critica. Il teatro di Maria Grazia Gregori, pubblicato da Ubulibri.
Il volume raccoglie una selezione degli articoli che la giornalista milanese ha scritto nel corso di una lunga carriera. Ma anche parecchi materiali biografici. Un ritratto al vivo di questa donna, che è stata punto di riferimento per il teatro italiano ed è scomparsa un anno e mezzo fa, nell’aprile 2021.

La signora del teatro
Al suo cognome da nubile e longobardo – Astolfi – ci teneva tantissimo. Ma erano altri tempi, e allora per tutti lei era Maria Grazia Gregori, firma molto stimata, e molto ambita, nel mondo del teatro. Ci teneva anche ad abbreviarsi in m.g.g., rigorosamente minuscolo, quando scriveva articoli più brevi.
Emmegigì, la chiamavamo perciò. E assieme a lei formavamo un bel gruppo di criticoni, una specie di compagnia di giro, sempre pronti a viaggiare, in macchina, in treno, inseguendo spettacoli in festival e teatri, per scriverne poi su riviste e giornali. Che allora erano solo di carta.
Dagli anni Settanta e fino al 2014, quando L’Unità cessò le pubblicazioni, Maria Grazia era la firma milanese di quel quotidiano, e con la scomparsa di Aggelo Savioli, la firma tout court. Avrebbe continuato poi in Rete – lei che dal digitale manteneva una sovrana distanza – sul sito Delteatro.it , invitata a scrivere là da Renato Palazzi.
In quella compagnia di giro, un gruppo per lo più affannato, spesso sbrindellato, con le valigie sempre in mano, lei era invece la Lady. Una signora vera. Per eleganza e autorevolezza. Per la determinazione con cui svolgeva il proprio lavoro e la puntualità che caratterizzava il suo modo di fare.
Non solo era puntuale: era sempre in anticipo. Nell’arrivare a teatro, certo, ma anche sui tempi. Una critica lungimirante, una Summa critica, come spiega, se letto per bene, il titolo del volume che le ha dedicato Ubulibri (a cura di Leonardo Mello, pp. 240, 18 euro).

Maria Grazia Gregori: quante storie!
Dentro di me porto un bagaglio di storie che riuscirebbero a comporre cento ritratti affettuosi e spiritosi di m.g.g. Ma nel volume è lei stessa raccontarsi in una lunga intervista nella quale delinea la propria storia, le amicizie, le passioni. Intervista che bisognerebbe leggere e rileggere, per recuperare immagini e motivi da un mondo giornalistico che non esiste più. Oppure esiste ancora.
Per esempio. Siamo all’inizio degli anni Settanta, la giovane Maria Grazia Gregori è alla sua prima intervista importante. Incontra Paolo Grassi, fondatore del Piccolo di Milano. “Lui rimase entusiasta – racconta lei a distanza di anni – e fece una telefonata a Claudio Petruccioli, che allora era il direttore della sezione milanese del giornale su cui avrei poi scritto per quarant’anni. Petruccioli mi disse: “Mi si dice che vorresti scrivere di teatro. Ma tu sai che non guadagneresti una lira?”.

Insomma, certe cose non sono granché cambiate da allora. Altre invece sì. Moltissime.
Siccome questo post si intitola STORIE, come gli altri della stessa serie, ci sarebbero divertenti episodi che abbiamo vissuto assieme e che vorrei rievocare. Certo non posso farlo per il più clamoroso fra tutti, visto che quella volta purtroppo non c’ero. Ma, nella nostra compagnia di giro, è stato ripetuto così tante volte che vale la pena ricostruirlo.
A Mosca, a Mosca…
Mosca, Unione Sovietica, 1989. Sono i mesi della perestrojka e manca poco al momento fatidico che cambierà le mappe dell’Europa. Grazie a un’iniziativa di Emmecinque, Eti e Unione degli Scrittori Sovietici, il nuovo teatro italiano è presente in una mostra allestita al teatro Taganka. Maria Grazia non può mancare, e con lei molti dei suoi colleghi.
Una sera, lei, il marito Italo Gregori, il mio amico Gianfranco e qualcun altro ancora, decidono di cenare in un ristorante del centro, scelto per il menù esclusivamente russo. Al momento di andarsene, viene loro presentato il conto. In dollari statunitensi. Maria Grazia si rifiuta. Giornalista dell’Unità, quotidiano ufficiale del PCI, lei esige di pagare in rubli: “Siamo in Unione Sovietica e la valuta sovietica è il rublo”.
Il cameriere fa un passo indietro e si mette a confabulare con il direttore del locale. Che arriva accigliato: “Qui non si accettano rubli”. Lei, piccata, ripete: “Siamo in Unione Sovietica e la valuta sovietica è il rublo”, e dalla borsa tira fuori un pacchetto di banconote, sovietiche. Che l’uomo prende in mano, appallottola rabbioso e lancia per aria, come se fossero carta straccia. Non va troppo lontano dalla verità, per dirla tutta, ma l’espressione del volto non lascia presagire alcunché di buono. Si è arrivati oramai all’alterco, però c’è anche il rischio che a breve spuntino le pistole. Così gli italiani se ne vanno, testa bassa e gambe levate, dopo aver pagato in dollari. Con Maria Grazia incazzata che per strada rimprovera tutti: “In rubli, in rubli, in rubli dovevamo pagare”.
Il rigore, l’ansia, l’abitudine
Era un esempio, tanto per far capire il carattere. Al rigore, comunque, Maria Grazia Gregori associava l’ansia e l’abitudine. Al binario del treno – un altro esempio – era sempre pronta un’ora prima. A dormire, o pranzo, o a cena, si andava solo nei posti di cui era sicura, riverita, affezionata cliente. Dal sopraffino Da Enzo, a Modena, per esempio, e all’hotel Canalgrande. E quando a Milano mi voleva far mangiare la milanese, non si poteva sfuggire a Rigolo a Brera.
La mia città, Trieste per lei era una specie di santuario, visto che c’era nato Giorgio Strehler, al primo posto, assieme a Luca Ronconi, tra i registi di cui lei si era instancabilmente occupata. E sui quali aveva scritto fiumi, oltre a un fondamentale volume: Il signore della scena (per Feltrinelli).

È un caso, ma guarda il caso, che io sia nato nello stesso giorno in cui è nato Luca Ronconi (qualche decennio prima, eh!). Così un 8 marzo, Maria Grazia si è presentata a casa mia per festeggiare me e, a distanza, Ronconi. E ovviamente ha voluto anche rivisitare le ceneri di Strehler nel cimitero di Sant’Anna, che dista solo un centinaio di metri.
Peccato che, nonostante marzo, fossimo ancora in pieno inverno, con un gelo e una bora che portava via le tegole. Ebbene, a quel pellegrinaggio, Maria Grazia non ha voluto in nessun modo rinunciare. E imbacuccati, assieme a Italo, come se fossimo al Polo Nord, siamo usciti a piedi per il doveroso tributo alla tomba di Strehler, suo artista d’affezione.
Fermi là, davanti al quella lastra grigia, non so se per la bora, o per l’affetto, c’erano sicuramente delle lacrime a solcarle il viso.
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Per ricordare lei e Renato
L’associazione Ubu per Franco Quadri e il festival Vie, dedicano a Maria Grazia Gregori e al suo collega Renato Palazzi due appuntamenti a Bologna: oggi mercoledì 12 ottobre e domenica 16 ottobre .

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Questo post fa parte della serie STORIE, i miei incontri con uomini e donne straordinari. Non è difficile trovare in QuanteScene! anche gli altri post, dedicati a Harold Pinter, Kazuo Ohno, Milva, Ingvar Kamprad (mr Ikea, in altre parole), Eimuntas Nekrošius, il Living Theatre, … Basta cliccare.