Claudio Magris traduttore. Parole sotto le parole

“È come se, sotto ogni libro, ce ne fosse sempre un altro”. Garzanti ha da poco pubblicato Traduzioni teatrali (696 pp., 32 euro), il volume in cui Claudio Magris, scrittore e germanista, riscrive nove capolavori “moderni” della scena di lingua tedesca (e norvegese).

Claudio Magris
Claudio Magris

“Ho sempre trovato scandalosa la sottovalutazione del lavoro del traduttore”. Così Claudio Magris nella prima pagina del suo nuovo libro, appena pubblicato da Garzanti nella collana I libri della spiga.

Le 700 pagine che seguono, una dopo l’altra, sono dimostrazione e documento di quella opinione. Nove capolavori “moderni” della scena di lingua tedesca (e norvegese) da lui tradotti, stanno in fila nello spessore cospicuo del volume. Che mette assieme Ibsen, Schnitzler, Büchner, Grillparzer, e aggiunge loro il meno noto Poly Henrion, secondo un ordine dettato dalla biografia stessa del traduttore. 

Sono gli autori su cui Magris ha lavorato, a cominciare dalla metà degli anni Settanta, per la messa in scena di alcuni loro titoli, potendo seguire, a volte personalmente, l’allestimento.

Claudio Magris - traduzioni teatrali - copertina

Le ganasce di Buazzelli

Così le ganasce di Buazzelli, le guance paffute dell’attore che aveva contribuito non poco al successo di Un nemico del popolo di Ibsen, prima traduzione di Magris per il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia (1974), spuntano già nella premessa al libro.

Messe là, davanti alle successive centinaia di pagine, a ricordare quanto sia necessario, o perlomeno auspicabile, per un traduttore teatrale pensare “agli attori e alle attrici che avrebbero detto, avuto nella loro bocca e nell’espressione del loro viso le parole che avrei scritto”. 

E di conseguenza, quanto fosse doveroso per lui seguire le prove, discutere con gli interpreti, vedere quelle parole prendere (letteralmente) corpo, consolidarsi e trasformarsi. In monumenti addirittura, come era successo nella istrionica performance di Tino Buazzelli, protagonista in quel testo ibseniano. 

Tino Buazzelli
Tino Buazzelli (1922 -1980)

Merito dell’attore. Merito del regista (si trattava di Edmo Fenoglio). Merito però anche del germanista che con quella versione (dal tedesco, non dal norvegese) aveva dato avvio alla propria la carriera di traduttore teatrale. 

Nella quale resta decisiva la versione in italiano di Woyzeck di Georg Büchner, “con quelle sciabolate che tagliano la parola e la vita” (nel 1983, per un progetto televisivo di Giorgio Pressburger). Finché, dopo aver tastate e metabolizzate tutte le regole dello scrivere per il teatro, anche Magris diventerà drammaturgo in proprio (con Stadelmann nel 1988).

Un mestiere nell’ombra

Il che pare essere assai più soddisfacente. Se è vero che, sempre dalla prima pagina, egli lamenta: “A parte eccezioni, quella dei traduttori è una categoria trattata spesso iniquamente. Sono per lo più malpagati o pagati con incredibili ritardi, sicché i loro interessi maturati restano troppo a lungo a impinguare le casse dei committenti ovvero degli editori”.

Non è per tornaconto personale che lo dice (gli si augura anzi di far parte di quelle “eccezioni”). Ma è proprio da là, dalla sottovalutazione anche economica del lavoro dei traduttori, che parte la perorazione partecipata e globale che illumina un “mestiere nell’ombra” (definizione di Renata Colorni), la professione “necessaria e impossibile” (come scrivevano molti anni fa due germanisti triestini, Guido Cosciani e Guido Devescovi).

Breviario di scienza della traduzione

Dalla personale esperienza di traduttore e di autore tradotto (che comincia già negli anni Sessanta con le edizioni straniere del glorioso Il mito asburgico nella letteratura austriaca moderna) Claudio Magris trae quindi tutte le considerazioni, gli stralci, le note e l’aneddotica che rapidamente trasformano la sua premessa in un breviario di scienza della traduzione. Comprese le osservazioni sulle dinamiche transculturali che si riveleranno indispensabili per portare le sue pagine in Giappone e in Cina. 

Claudio Magris sulle Rive a Trieste
Claudio Magris sulle Rive a Trieste

La traduzione è empatica. La traduzione afferra alla gola la vita. È come se, sotto ogni libro, ce ne fosse sempre un altro. Parole sotto le parole

E finalmente tocca alle nove traduzioni dal tedesco. Dall’amato Ibsen (Un nemico del popolo, Spettri e John Gabriel Borkmann) al necessario Schnitzler disincantato cantore della Finis Austriae (La contessina Mizzi, Al pappagallo verde e Casanova a Spa), a Büchner (Woyzeck) e Henrion (La bella Galatea), fino a un Grillparzer arcaico ma al tempo stesso borghese (Medea).

Con tante “piccole inevitabili infedeltà materiali, in nome di una fedeltà di sostanza”. Perché – ricorda Magris – il traduttore “è l’unico autentico lettore di un testo”. Cioè, citando Gesualdo Bufalino, “il critico è solamente il corteggiatore volante, l’autore il padre e marito, mentre il traduttore è l’amante“.

[questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano di Trieste, Il Piccolo, del 30 ottobre 2022]

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Claudio Magris, Traduzioni teatrali, Garzanti (696 pp., 32 euro)
ISBN 9788811000129

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