Torna in scena per qualche giorno a Trieste Quell’anno di scuola. È l’allestimento teatrale che Alessandro Marinuzzi, regista, ha tratto da un romanzo di Giani Stuparich. Le irrequietezze e i turbamenti di una generazione, ieri come oggi

Sono tanti i motivi che si affacciano dalle pagine di Un anno di scuola, romanzo dello scrittore triestino Giani Stuparich, pubblicato nel 1929.
Senza nascondere la traccia autobiografica, e trasfigurandola forse solo nei nomi, Stuparich rievoca quella manciata di mesi in cui lui stesso – studente vent’anni prima dell’ultima classe di un liceo – e i suoi compagni avevano vissuto il passaggio da una agiata e tranquilla adolescenza alle responsabilità adulte.
Bildungsroman, romanzo di formazione, sarebbe la semplice formula d’inventario. Se non che, a farne un’opera davvero particolare, sono il tempo e i luoghi che inquadrano proprio “quell’anno di scuola”.
Trieste nel 1909 e l’eccitato paesaggio storico che in queste zone preparava la prima guerra mondiale si intrecciano con l’irrequietezza di ragazzi non ancora ventenni, spinti a scoprire, in tempi difficili, l’attrazione del diventare adulti e le impazienze del sesso.
Un anno di scuola è così lo studio su uno snodo di esperienze che, molto più di altre, lasciano un segno profondo per tutto il resto della vita.

Un nuovo respiro per Stuparich
Negli anni Settanta Franco Giraldi, regista di cinema e di televisione ne aveva tratto per la Rai un film tv in due puntate. Con un leggero scivolamento temporale – il 1909 diventava il 1914, apposta per precipitare nella fatidica giornata del 28 giugno, quella dell’attentato di Sarajevo – Giraldi accentuava l’intreccio delle pulsioni: esaltazione politica, esuberanza giovanile, turbamenti ormonali.
Un nodo storico, ma anche emotivo, che aveva decretato il successo e l’interesse per quel titolo, che finalmente usciva dal pur interessante scaffale della letteratura triestina del primo Novecento. Riconoscendo a Stuparich un respiro non solo locale.
Di Un anno di scuola, anche per ragioni personali, si era innamorato molto tempo fa Alessandro Marinuzzi, regista e formatore teatrale. Lui stesso aveva partecipato, giovanissimo attore, alla realizzazione del film. E ora, con il supporto di due teatri stabili – quello del Veneto e quello del Friuli Venezia Giulia – ha tentato la traduzione teatrale del romanzo.

La macchina del tempo
Impresa ambiziosa per diverse ragioni. Primo, per la matrice narrativa e anche psicologica del materiale di partenza. Secondo, perché non è facile trovare interpreti credibili, con i quali dar vita a una classe di studenti ingenui e baldanzosi quel che basta. E con la macchina del tempo spedirli indietro quasi di un secolo.
L’operazione è riuscita, molto bene anche, a giudicare soprattutto dalla risposta del pubblico. Le repliche previste nella sala Bartoli del Politeama Rossetti di Trieste lo scorso autunno hanno registrato ogni sera il tutto esaurito. E si dovuto pensare ad aggiungerne altre, adesso a gennaio (fino a domenica 15).
Ai due impedimenti cui accennavo – la matrice letteraria del racconto, la scelta degli interpreti – Quell’anno di scuola oppone soluzioni eccellenti. La scrittura teatrale (elaborata dallo stesso Marinuzzi assieme a Davide Rossi) destruttura la pagina, i periodi, le frasi, e li ridistribuisce tra gli attori, in un eccitato accavallarsi di battute. La parola viva vince, modellata su una pratica che del Pasticciaccio di Gadda aveva fatto un capolavoro di palcoscenico (grazie a Luca Ronconi, certo) e che aveva fatto scoprire anche a teatro Ragazzi di vita di Pasolini (con la regia di Massimo Popolizio).

Gli interpreti, provenienti dall’esperienza collettiva di Teseo, progetto di formazione del Teatro Stabile del Veneto, incarnano vivacemente quella minuscola comunità. Anche perché la regia e gli essenziali elementi scenici di Andrea Stanisci non li costringono a far rivivere un’epoca, ma ne liberano il potenziale contemporaneo di immediatezza, entusiasmi e disillusioni.
A loro, che sono otto, si aggiunge la perizia di due attori dello Stabile del Friuli Venezia Giulia (Ester Galazzi e Riccardo Maranzana) a cui la regia affida i ruoli maturi del professore e della madre di uno dei ragazzi.

Una femmina in una classe maschile
Va ricordato che in quell’anno, il 1909, a Trieste le porte degli istituti scolastici superiori si erano aperti anche alle ragazze. Tra i maschi rumoreggianti di quella ‘ottava ginnasio’ la scrittura di Stuparich mette a fuoco il fascino di Edda.
Bella, determinata, capace, Edda Marty è la prima a iscriversi a quella scuola, ben decisa ad affrontare l’esame di maturità e poi l’università.
È storia documentata: la ragazza in realtà si chiamava Maria Prebil e i suoi compagni di classe erano i giovani rappresentanti della classe agiata di una Trieste ancora austro-ungarica e emporiale.

Irredentismo
Nelle pagine dello scrittore, i trasalimenti sentimentali, nonché erotici della scolaresca maschile, si impastano con l’afflato politico di una generazione infatuata di irredentismo, pronta a immolarsi, come effettivamente succederà, per il ricongiungimento di Trieste alla patria Italia. Ne moriranno parecchi.
Nelle scene dello spettacolo di Marinuzzi, fedeli il più possibile al romanzo, si legge certo tutto questo. Il finale dipinge anzi la catastrofe della guerra imminente.
Ma occhi contemporanei vi leggono molto di più.
Scostato il velo carducciano e nazionalista attraverso il quale Stuparich ritraeva alcuni dei suoi compagni, ciò che si vede è il naturale, biologico slancio di una generazione non ancora ventenne che vuole progettare il futuro, che prova a costruirlo nell’impazienza e nell’ansia.

Costruire il futuro
Proprio ciò che vediamo espresso oggi negli studenti che con le parole e i libri di Greta Thunberg, hanno provato a disegnare i loro Fridays for Future. E si slanciano avanti, maldestramente a volte, per dare la svolta a un percorso che, altrimenti, sembra di nuovo avviato alla catastrofe. Chissà se bellica, chissà se ambientale.
Su questa incertezza, sulle paure e sulle speranze, più che sulla rievocazione storica, mi pare che lo spettacolo di Alessandro Marinuzzi indirizzi i pensieri del suo pubblico.
Che ogni sera lascia la sala emozionato, anche commosso, accompagnato da un valzerino che alcuni di voi, lettori scaltri, riconosceranno.
Perché proviene da uno spettacolo di Tadeusz Kantor. Che ha un titolo fatto apposta per ritrarre quegli studenti di ginnasio che cent’anni fa la Storia aveva maldestramente avviato verso il fronte: La classe morta.

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QUELL’ANNO DI SCUOLA
elaborazione drammaturgica Alessandro Marinuzzi, Davide Rossi
tratto da “Un anno di scuola” di Giani Stuparich
editore Quodlibet per gentile concessione di Nefertiti Film
progetto drammaturgico e regia Alessandro Marinuzzi
con gli attori della Compagnia Stabile del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia Ester Galazzi e Riccardo Maranzana
e con gli attori e le attrici della Compagnia Giovani (progetto TeSeO) del Teatro Stabile del Veneto Meredith Airò Farulla, Riccardo Bucci, Davide Falbo, Chiara Pellegrin, Emilia Piz, Gregorio Righetti, Andrea Sadocco, Daniele Tessaro
elementi scenici e costumi Andrea Stanisci
assistente alla regia Davide Rossi
fotografie di scena Serena Pea
produzione TSV – Teatro Nazionale, Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
Spettacolo ben strutturato, con personaggi convincenti nelle loro sfaccettature. Il tema trattato è importante da vari punti di vista e rapportato al giorno d’oggi e alla possibile rilettura delle stesse problematiche, ci fa riflettere sull’evoluzione o involuzione nella quale viviamo. Brillanti gli attori e ben caratterizzati, con una regia che non molla mai e ci lascia soddisfatti della chiave di lettura proposta
Grazie per l’interessante commento.