Torna in scena Europeana, il reading che Lino Guanciale ha tratto da un libro pubblicato nel 2001 dallo scrittore praghese Patrik Ourednik. Nel luglio 2021 lo spettacolo era al debutto al Mittelfest di Cividale del Friuli. Riprende ora il proprio percorso, con repliche in Friuli Venezia Giulia (13 gennaio al Verdi di Gorizia, 14 e 15 al Rossetti a Trieste) per approdare poi a marzo 2023 al Piccolo di Milano.

Come eravamo: diversi
In questo anno e mezzo, l’Europa è cambiata. È una diversa Europa. Il perdurare dell’emergenza sanitaria e il prolungarsi del conflitto ai suoi confini orientali sono i motivi più espliciti. Quelli più visibili. Ma tanti altri elementi, tanti comportamenti, anche individuali, ci fanno diversi da come eravamo. Prime fra tutti, la polarizzazione delle opinioni e la semplificazione dei ragionamenti. Che ci fanno più scontrosi. Letteralmente.
In questo senso, rileggere assieme a Lino Guanciale Europeana – libro che mette nel frullatore la storia europea del XX secolo – può aiutarci a mantenere una distanza sana dal presente, a non drammatizzarlo. A capire che l’ironia è uno dei tanti modi, uno dei tanti filtri che abbiamo a disposizione.

Ho pensato: posso dare un contorno agli appuntamenti di questo gennaio, in cui Guanciale è tornato a fare strage di spettatori con una nuova stagione di La Porta Rossa e un’altra di Il commissario Ricciardi. E nella vita reale – che è quel che più conta – dallo scorso novembre nel ruolo di padre.
Vi propongo perciò qui sotto un’intervista a tutto campo fatta allora e pubblicata sulla rivista Hystrio. Anche per le considerazioni che Guanciale fa a proposito della serialità televisiva, quella nostra conversazione mantiene una autorevole attualità. 🙂

L’intervista
È uno degli attori a più alta visibilità seriale. Dodici serie tv negli ultimi dieci anni. Di quelle importanti, e per lo più da protagonista. Poi cinema, corti, radio, spot, libri, clip musicali.
Eppure, nato 42 anni fa [ndr: 44 il prossimo maggio] , tra Toro e Gemelli, in Abruzzo, Lino Guanciale non si è mai sottratto al teatro.
In palcoscenico ci torna ogni volta volentieri. Con fiducia inflessibile in ogni declinazione teatrale. Dai titoloni (esordio in Romeo e Giulietta, regia di Proietti) alle variazioni enigmatiche del post-drammatico (La classe operaia va in Paradiso e molti altri titoli sollecitati da Claudio Longhi) a monologhi e reading che lui stesso confeziona (tra i più recenti quello di devozione al corregionale Ennio Flaiano: Non svegliate lo spettatore).
Chiunque scorra la vasta costellazione web che lo ritrae in forma di interviste, fotografie, backstage, news, curiosità, indiscrezioni, scoprirà però che la definizione che ricorre più spesso è quella di sex simbol.
“Mammamia – mi dice – mi ha fatto sempre paura essere identificato come sex symbol. Ma mi diverte pure, perché quella ‘qualifica’ l’ho guardata sempre dall’esterno e so che non mi riguarda da un punto di vista personale. Riguarda l’immagine dei personaggi che ho interpretato. L’ho capito leggendo Walter Benjamin: nel prodotto che va finire sullo schermo, l’immagine subisce tante di quelle manipolazioni che alla fine non ci si siamo più noi, gli interpreti. All’inverso, ciò che un attore fa su un palcoscenico è sempre e soltanto suo, e dei colleghi con cui a lavora assieme. Per questo il teatro è la vera casa degli attori”.
Però essere sex symbol aiuta.
“La storia dello spettacolo ci parla di attori o attrici sex symbol anche un po’ improbabili. Io sono convinto che la seduttività sia uno strumento tra gli altri per costruire relazioni con il pubblico. Ma bisogna aggiungervi un erotismo un po’ più raffinato, che passi attraverso il canale intellettuale, o una specifica grammatica d’attore, o la proposta di progetti interessanti. Insomma, da sola, la seduttività non basta per aprire le porte della storia del teatro. Tutt’al più si diventa fenomeni pop, nel Settecento come nel Duemila”.

Tanto per capire: il pubblico viene a teatro per vedere Guanciale, o per sentire ciò che Guanciale dice?
“Magari viene per me. Ma poi si appassiona a ciò che interpreto o leggo. Il mio tentativo è sempre quello di mettermi al servizio del testo”.
Nei fan e nelle fan, quelle che seguono il loro beniamino ovunque, c’è anche un surplus di innamoramento.
“Credo sia un problema di tutti quegli attori e attrici a cui è capitato di avere un largo seguito. Il lavoro nel cinema e in televisione accelera il rapporto di fidelizzazione, che magari ricade poi sul teatro, se uno lo fa. Ed è una specie di doping. Ma io non considero la popolarità come un fine. Per me è un mezzo per portare più gente a teatro, per farlo diventare, quello sì, popolare. Non nel senso di commerciale, ma nel senso nobile che a questa parola dava Jean Vilar, colui che aveva ideato il Festival di Avignone”.
Con la recente moltiplicazione dei festival, che coprono oramai ogni forma di scibile umano, la formula dei reading e delle performance al leggio sta diventando infatti sempre più frequente.
“Più che un genere lo considero una dimensione interpretativa. È una formula che amo molto. Ha una sua lunga tradizione. Karl Kraus, per esempio, ci ha costruito sopra la propria fortuna. A me piace il leggio in scena, serve a mettere in evidenza la letterarietà di un libro. È un corpo a corpo con la carta, e provo un vero piacere nel lavorare con i fogli in scena. Alcune pagine invece le gestisco a memoria, impegnato in un altro corpo a corpo, quello con la musica”.

A teatro, Guanciale lavora spesso con i musicisti, i compositori, gli ingegneri del suono. Meglio se dal vivo.
“L’esperienza mi ha insegnato che la musica dal vivo è uno dei mezzi più potenti per mettersi in relazione con il pubblico. Certo non la devi trattare come un tappeto sonoro. Devi farne un impulso per arrivare più a fondo possibile nelle parole che porti sulla scena. Grazie alla musica, anche gli attori, oltre che il pubblico, possono sprofondare nelle parole. Per me è una specie di invasamento”.
Davide Cavuti, musicista e regista, ideatore di suoni, è sempre più spesso un compagno di scena, per esempio nel recente lavoro sulle pagine di Flaiano.
“Nel lavoro con i musicisti dal vivo, specie se improvvisano, ad emergere sono i contenuti tematici dello spettacolo. Lo spettatore è invitato a cogliere non la singola battuta, ma la struttura generativa di ciò che sta ascoltando”.
Vero. Ma poi finito lo spettacolo, uscendo da teatro, quegli stessi spettatori sono là a chiedere l’autografo non al Guanciale che si è impegnato sulle pagine di Lo spettatore addormentato, ma al protagonista di La porta rossa. Con questa serie tv, di grande successo peraltro, saremo alla terza stagione.
“Mi pare che la serialità televisiva sia un fenomeno destinato a perdurare. In fondo è l’erede di tradizioni di storytelling che risalgono all’epica più nobile, al feuilleton ottocentesco. Generi che hanno da sempre catalizzato l’attenzione del pubblico, con la messa in opera di elementi di suspence tra una puntata e l’altra”.
Eggià, con ciò che oggi chiamiamo cliff hanger, Sherazade incantava il sultano delle Mille e una notte e così si salvava la vita.
“Grazie alla serialità, non solo televisiva, l’attenzione dello spettatore viene modulata diversamente. A teatro non è più necessario limitarsi al perimetro canonico dei 90-120 minuti. Ronconi, ma anche Fabre o Latella, sanno bene che l’attenzione non è un fatto legato al tempo, ma a come viene gestito il tempo”.
Però il binge watching, l’abbuffata di serie, il restare per ore e ore, giornate intere, incollati sugli schermi, sciroppando episodio dopo episodio, è devastante. Dal punto di vista della salute, dico.
“Concordo. Ma è una cosa sulla quale andrebbe fatta una riflessione più approfondita, e non solo in negativo. Certe forme di espansione dell’attenzione sono un orizzonte da raggiungere. Non c’è solo chi se ne sta rattrappito per un giorno a letto, c’è anche chi è capace di sprofondare dentro la narrazione, cullandosi in un altro mondo. È un nuovo stato di disposizione all’ascolto che andrebbe studiato. Perché è proprio là dentro che si nasconde il segreto millenario della narrazione”.
[intervista pubblicata sul numero 4/2021 del trimestrale Hystrio]
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EUROPEANA. BREVE STORIA DEL XX SECOLO
di Patrik Ouredik © 2001 Patrik Ourednik
traduzione Andrea Libero Carbone © 2017 Quodlibet srl
diretto e interpretato da Lino Guanciale
regia Lino Guanciale
costumi ed elementi di scena Gianluca Sbicca
musiche eseguite dal vivo da Marko Hatlak, fisarmonica
luci Carlo Pediani
co-produzione Wrong Child Production e Mittelfest2021
in collaborazione con Ljubljana Festival