Pasolini mission impossible. 2) Pilade

Due giorni fa ho scritto un post su Comizi d’amore. Oggi è la volta di Pilade. Tanto per dire quanto – secondo me – il teatro di Pier Paolo Pasolini non si possa redimere dal suo tempo. Nonostante un anno di celebrazioni e ripetizioni dello stesso, consumato mantra. Che ne farebbe un nostro contemporaneo.

Pilade - Emilia Romagna Teatro Fondazione
Pilade – regia Giorgina Pi (2023) – ph Guido Mencari

Non era cosa sua…

Lo giuro. Ci ho provato per anni a farmelo piacere. A leggere e ascoltare di chi ne sapeva più di me. Ad andare a vedere chi lo metteva in scena. Niente. Non c’è stato verso. 

Valoroso regista di cinema, Pier Paolo Pasolini. Chi potrebbe negarlo. Intellettuale lucido. Certo. Spregiudicato opinionista. Ma il teatro proprio no, non era cosa sua. Eppure…

Lo dico dopo che un’ennesima accensione di buona volontà mi ha portato ad assistere a Pilade, all’Arena del Sole a Bologna. Città nella quale peraltro Pasolini era nato, 101 anni fa. Non in Friuli come pensano e scrivono molti. 

Pilade è uno dei sei testi, “le tragedie borghesi” che Pasolini, a letto, convalescente per un’ulcera, scrive in una manciata di mesi, attorno al 1966, e poi variamente rimette a posto, fino alle soglie del 1974. Orgia, Bestia da stile, Pilade, Porcile, Affabulazione, Calderon.

Lui stesso aveva provato a portarne in scena una (Orgia, nel 1968) con esiti – dice chi l’ha vista – disastrosi. Pilade invece, soprattutto per l’impegno dell’autore in una inedita reinvenzione del mito, è sicuramente quella che ha conosciuto più allestimenti.

Pilade - Luca Ronconi - Teatro Stabile Torino
Pilade – regia Luca Ronconi (1993) – ph Marcello Norberth

Come devi immaginarmi

La nuova occasione bolognese viene dal progetto che Valter Malosti (direttore di Ert – Emilia Romagna Teatro fondazione) e Giovanni Agosti si sono proposti di varare, in coda a 12 mesi di reiterate celebrazioni pasoliniane in tutta Italia (i 100 anni dalla nascita), che parevano dover concludersi a dicembre. 

Invece sarà fino a maggio 2023 che le sei tragedie verranno riproposte al pubblico, affidate a una serie di registi e di interpreti, che si sono affermati sulla scena italiana in tempi recentissimi. In modo che lo scarto generazionale possa “fornire una risposta alla attualità inesausta delle sua lezione etica e politica“. Così almeno sta scritto nella presentazione. 

Il titolo del progetto è “Come devi immaginarmi”. L’intenzione dovrebbe essere appunto quella di ri-immaginarlo, e di scavalcare una lettura scolastica e logora del Pasolini etichettato ancora oggi come corsaro cantore di scomparse lucciole. 

Pilade - Emilia Romagna Teatro Fondazione
Aurora Peres è Elettra – ph Guido Mencari

Affrontare Pilade

Lo giuro, di nuovo. Prima di affrontarlo, Pilade me lo sono ristudiato, forte del poderoso volume che i Meridiani Mondadori hanno dedicato al teatro pasoliniano, e degli indispensabili contributi saggistici sviluppati in almeno due decenni da Stefano Casi.

Mi sono pure letto, con attenzione, le note scritte per lo spettacolo dal dramaturg Massimo Fusillo e quelle di Giorgina Pi, che ne è regista. Di lei avevo apprezzato molto, tre anni fa, la scelta di lavorare su un’altra re-invenzione del mito, Tiresias, nella scrittura rap e poetica di Kae Tempest. Che ci fosse ancora lei a lavorare su Pilade, immaginaria prosecuzione dell’Orestea di Eschilo, ci poteva stare.

A Bologna sono davvero arrivato senza pregiudizi. Eppure… anche in questo caso il teatro di Pasolini mi è precipitato addosso. E continua a farmi pensare che meglio è lasciarlo al suo posto, quell’esperimento fatto in tempo di ulcera, in quei formidabili anni Sessanta, quando politica e scrittura d’arte si fronteggiavano in una lotta corpo a corpo, quando consegnare al teatro una profezia civile era probabilmente possibile.

Pilade - Emilia Romagna Teatro Fondazione
Gabriele Portoghese e Valentino Mannias sono Oreste e Pilade – ph Guido Mencari

Narcisismo

Anche se il Manifesto per un Nuovo Teatro (la sua ambiziosa proposta di un Teatro di Parola) era già fuori dal tempo. Anche se era già insopportabile il suo narcisismo. Luca Ronconi spiegava con un guizzo ironico che a Pasolini a piaceva molto “pisciare nel contenitore del personaggio qualcosa di se stesso, che con il personaggio, in quel momento, non ha nulla a che vedere”.

E proprio su Pilade, a Torino, nel 1993, Ronconi ci aveva passato parecchi mesi. E ricordo che nemmeno Antonio Latella in una dismessa fabbrica di pneumatici (2002), nemmeno Archivio Zeta (2015) al cimitero germanico della Futa, ne avevano tirato fuori qualcosa di memorabile.

Anche stavolta, a dispetto delle buone intenzioni che Giorgina Pi e i suoi attori ci mettono, Pilade resta – a mio modo di vedere almeno – un reperto, un po’ mummificato persino, delle speranze e dei tradimenti di quella Storia: un testo inattuale, in certi passaggi poco comprensibile. Francamente tedioso. La verbosità, l’insistenza della disputa e della dialettica, la smania profetica, a teatro procurano ampi sbadigli. A tutti. 

Anche se ci si sforza di trasformare operai, studenti, contadini, rivoluzionari, che popolavano allora quel paesaggio, in un’umanità africana, migrante, mutante, di adesso. 

Anche se la scenografia di bidoni arrugginiti, carcasse d’auto, roulotte di nomadi o prostitute, strizza l’occhio alle ristrutturazioni che degli stessi miti ha fatto Milo Rau. 

Pilade - Emilia Romagna Teatro Fondazione
ph Guido Mencari

Il quale aveva portato in scena qualche anno fa, non già il teatro di Pasolini, ma Salò, o le 120 giornate di Sodoma. “Soprattutto – aveva detto il regista svizzero – mi interessa il carattere ibrido della sua arte. Per un verso è molto popolare, per un altro possiede una pendenza intellettuale e politica molto potente”.

I dubbi di Pilade

E scusate se mi è venuto da ridere, pensando a un Pasolini “molto popolare”, sentire Atena (la bella Sylvia De Fanti, tacco 12, acconciatura intrigante, un po’ Giuni Russo prima maniera) mentre rimprovera il dubbioso Pilade (bravo e convincente Valentino Mannias, e sempre bravo Gabriele Portoghese che fa Oreste). A lui, e a noi, l’elegante Atena spiffera che “Ogni euristica è consolatoria“. Chiaro, no? Anche no.

Pilade - Emilia Romagna Teatro Fondazione
ph Guido Mencari

Altro che popolo: il Pasolini del teatro si rivolge (si rivolgeva anzi) a una ristretta élite intellettuale, “i gruppi avanzati della borghesia“. Lo diceva lui stesso nel Manifesto. Tutta gente studiatissima, i soli che forse potevano capirlo nell’Italia del boom e delle Fiat Seicento. Elite di cui oggi non c’è nemmeno l’ombra. Nemmeno nella dotta, giovane, fluida, prismatica, teatrante Bologna. Figurarsi altrove.

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PILADE 
di Pier Paolo Pasolini
uno spettacolo di Bluemotion
regia, scene, videoGiorgina Pi
con Anter Abdow Mohamud, Sylvia De Fanti, Nicole De Leo, Nico Guerzoni, Valentino Mannias, Cristina Parku, Aurora Peres, Laura Pizzirani, Gabriele Portoghese
e con Yakub Doud Kamis, Laura Emguro Youpa Ghyslaine, Hamed Fofana, Géraldine Florette Makeu Youpa, Abram Tesfai

dramaturg Massimo Fusillo
ambiente sonoro Collettivo Angelo Mai
musica e cura del suono Cristiano De Fabritiis – Valerio Vigliar
disegno luci Andrea Gallo
costumi Sandra Cardini

produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Teatro Nazionale di Genova
in collaborazione con Angelo Mai e Bluemotion

Pasolini mission impossible. 1) Comizi d’amore

Comizi d’amore è il titolo di un laboratorio e di una produzione di teatro partecipato, da poco presentata a Udine nel cartellone di Teatro Contatto, all’interno del progetto 100 x 100 Pasolini. Si intitolava allo stesso modo – Comizi d’amore – anche il film-reportage che Pier Paolo Pasolini realizzò all’inizio degli anni Sessanta.

Comizi d’amore laboratorio viene ripreso in questi giorni anche ai Cantieri Teatrali Koreja, a Lecce.

Comizi d'amore  1 -  CSS Udine ph Alice BL Durigatto
ph Alice BL Durigatto

Italia 1963 

Con una cinepresa alle spalle e il microfono in mano, Pier Paolo Pasolini interroga uomini e donne in costume da bagno su una spiaggia italiana battuta dal sole. “Signora, lei cosa pensa del divorzio?”. A una coppia chiede: “Pensate che il matrimonio risolva i problemi sessuali?”. 

Davanti a una fabbrica, si rivolge poi a un gruppo di operai, tutti maschi. “Volevo sapere la vostra opinione sulla legge Merlin”. La legge Merlin aveva fatto chiudere, cinque anni prima, le case di tolleranza. ”Per me è una gran boiata” risponde uno di loro. “Perché?”. “Perché girano molte malattie di Venere, e i brutti hanno diritto anche loro di trovare le donne”.

Il gruppo di ragazzini, ai quali ha appena chiesto se sanno come sono nati, gli dà risposte ovvie – “la cicogna” – ma a volte strabilianti. ”Lo zio, mi ha portato lo zio!”. Oppure “La lavatrice”. Lui, lo sbarbatello più svelto, voleva dire levatrice, ma la piena alfabetizzazione, allora nel nostro Paese, è di là da venire.

Pier Paolo Pasolini - Comizi d'amore (1964)
Comizi d’amore (1964)

Cinema inchiesta

Comizi d’amore è il titolo del film-reportage che Pasolini realizza in un’Italia anni Sessanta, prossima al traguardo del benessere. E che però, a sentire le risposte, le battute, i ragionamenti raccolti dalla gente per strada e nei quartieri, risulta incredibilmente arretrata sui temi della sessualità, della condizione femminile, della prostituzione. I tabù di una nazione. La pellicola è un luminoso esempio di giornalismo d’inchiesta. Per questo rimane tra i 100 film italiani che, in ogni caso, si dovrebbero salvare.

Comizi d'amore  2 -  CSS Udine ph Alice BL Durigatto
ph Alice BL Durigatto

Teatro partecipato

Ha lo stesso titolo, Comizi d’amore, anche l’esperienza che la regista Rita Maffei ha voluto quest’anno proporre a un gruppo di uomini e di donne, persone di diverse età e provenienza, che da parecchio tempo lavorano con lei in progetti di laboratorio e teatro partecipato. Formula che in Italia si è sviluppata negli scorsi vent’anni, ed è ormai accreditata tra i modi di produzione delle imprese creative.

Grazie al gruppo dei suoi non-attori, non-interpreti, non-personaggi, anche questi Comizi d’amore, prodotti da Css – Udine, si propongono d’indagare temi che hanno a che fare con la sessualità. E oggi, in particolare, con le questioni e la percezione di genere. La vituperata cultura del gender.

Teatro e cinema documentario sono però fattispecie diverse. Se il secondo può ambire a una visione panoramica della società, dei suoi comportamenti, delle percezioni collettive, inevitabilmente il primo riporta a esperienze singole, storie, racconti che sembrano possedere tanta più forza quanto più si innestano nella verità di coloro che le raccontano. Come succede spesso nel teatro partecipato, la coralità è un effetto, più che un principio. 

Comizi d'amore  3 -  CSS Udine ph Alice BL Durigatto
Ph Alice BL Durigatto

Specialisti del sé

Così, rispetto al lavoro da cui riprende il titolo, questi teatrali Comizi d’amore – l’amore dei nostri Anni Venti – imboccano la strada di una rievocazione affettuosa, moderatamente nostalgica, delle esperienze che ciascuno dei partecipanti ha vissuto in prima persona

Di quella che, ad esempio, è stata “la prima volta”. Oppure di quale sia stata l’educazione al sesso e al sentimento ricevuta in casa. Di cosa sia la gelosia. Quali ansietà susciti, in famiglia, una transizione di genere.

Esperti della propria vita, si potrebbe dire di questi performer, adottando l’etichetta usata da Rimini Protokoll, il gruppo tedesco che più ha praticato il modello partecipativo.

Specialisti del sé, e perciò convincenti, schietti, ironici o drammatici, giovani o più avanti nelle esperienze, posati o esuberanti, a seconda dei casi. Qualcuno metropolitano, qualcuno più rurale. Siamo in Friuli, del resto, e la campagna è lì, a due passi. 

Comizi d'amore  4 -  CSS Udine ph Alice BL Durigatto
ph Alice BL Durigatto

A lezione d’amore

Noi spettatori, appena la serata comincia, siamo invitati a sedere in minuscoli banchi di scuola, e più che a un comizio, più che al discorso pubblico, partecipiamo alla loro lezione d’amore. Ripercorriamo l’educazione sentimentale di almeno tre generazioni. Sentiamo il battito dei loro affetti, in sintonia con la musica. La cura di Franco Battiato è il pezzo naturalmente più giusto. Ma alla fine a vincere è The power of Love dei Frankie goes to Hollywood.

E visto che siamo a scuola, capiterà anche a noi spettatori di essere invitati a un compito in classe. Sul foglio che ci viene dato insieme alla penna c’è scritto “Io amo…”. Sta a noi aggiungere che cosa. 

“Il cosmo”. “I miei figli”. “Aver cura della bellezza”. “I gatti”.” Le parole che ho sentito questa sera”. “Amo l’amore”. “Mia mamma”.

Per pudore, non vi dico che cosa ho scritto io.

Comizi d'amore  5 -  CSS Udine ph Alice BL Durigatto
ph Alice BL Durigatto

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COMIZI D’AMORE
un progetto di Teatro Partecipato
ideato e curato da Rita Maffei

con i partecipanti al progetto di Teatro Partecipato: Pepa Balaguer, Mauro Cantarutti, Umiliana Caposassi, Emanuela Colombino, Martino Mattia Cumini, Elisabetta Englaro, Laura Ercoli, Marco Gennaro, Marzia Gentili, Giuliana Grippari, Stella Martin, Donatella Mazzone, Fedra Modesto, Elisa Modonutti, Emanuela Moro, Paola Moro, Ludwig Pellegrinon, Rita Peresani, Marco Petris, Arianna Romano, Nadia Scarpini, Patrizia Volpe

scena e cura immagini Luigina Tusini
produzione CSS Teatro stabile di innovazione del FVG

Maurizio Scaparro. Nato a Roma, inventò il Carnevale a Venezia

È scomparso oggi, a novant’anni compiuti da poco, Maurizio Scaparro. L’ultimo, probabilmente, di una generazione di artisti che nella seconda metà del ‘900, ha segnato i decenni dorati della regia in Italia. 

Maurizio Scaparro (ph. Fondazione Cini)
(ph. Fondazione Cini)

L’immagine che mi rimane è quella di lui, in posa, sorridente, sul pontile di Ca’ Giustinian, quello che si affaccia sul Canal Grande. Alle sue spalle la Punta della Dogana.

Quell’estremità veneziana era l’ormeggio del suo sogno più grande, il più esagerato: il Teatro del Mondo. Un teatro galleggiante che avrebbe solcato le acque della laguna. Un progetto fantastico che negli anni ’80, a Venezia, Scaparro trasformò in realtà. Grazie alla fantasia di un grande dell’architettura, suo contemporaneo, Aldo Rossi

“Io ho bei ricordi – aveva detto Scaparro lo scorso settembre, nel compiere 90 anni – credo di aver fatto molto, di aver costruito progetti dove la cultura è andata incontro al pubblico, è diventata qualcosa di organico alla partecipazione della gente. Sa la cosa di cui vado più orgoglioso? Dei miei Carnevali”.

La parata dei catalani Els Comediants al Carnevale di Venezia
La parata dei catalani Els Comediants al Carnevale di Venezia

Pensare in grande

Difficile separare il Carnevale di Venezia, sontuosamente rinato nel 1980, dall’immaginario di Scaparro.

Se adesso, in questa settimana, in calli e campielli si addensa una folla infinita di tipi mascherati e di turisti curiosi, buona parte del merito è suo. Che all’inizio degli anni Ottanta inventò il Carnevale così come lo si vive oggi, e ne fece l’epicentro della sua idea di teatro. Pensava in grande, sempre, Maurizio Scaparro

In grande, quando a Parigi diede vita al Théâtre des Italiens, e conquistò al teatro Claudia Cardinale. In grande, quando a villa Adriana a Tivoli volle mettere in scena Memorie di Adriano dei Marguerite Yourcenar, e vestì Giorgio Albertazzi con una tunichetta bianca.

In grande, quando nel 1992 diresse il settore teatrale dell’Expo di Siviglia, e quando per il centenario dell’Unità d’Italia, una decina di anni fa, congegnò un progetto teatrale che metteva assieme Eleonora Duse e Carlo Emilio Gadda, l’Accademia della Crusca e Pellegrino Artusi, i garibaldini e Pasolini.

Le tante tracce lasciate da Scaparro nel teatro europeo, le potete certo leggere oggi, sui giornali e in decine e decine di siti. Non starò qui a ripetere. Il segno più forte, per me, resta quello di un’utopia che si realizza. Il Teatro del Mondo, il mondo del teatro.

Il Teatro del Mondo (ph Archivio Storico della Biennale di Venezia)
Il Teatro del Mondo (ph Archivio Storico della Biennale di Venezia)

Scaparro sorridente in posa

Era un uomo colto, educato, sorridente, Maurizio Scaparro. Mai visto in lui un gesto di insofferenza, o uno scatto di rabbia, com’è invece nella tradizione dei registi italiani. Strehler insegna. 

Del lungo lavoro che avevo fatto con lui a Venezia, alla Biennale, oltre ai libri, ai cataloghi, ai programmi di sala, ai tanti apertivi nella hall del suo albergo, ricordo soprattutto i sorrisi che dispensava nelle fotografie, o a favore di cinepresa, assicurandosi sempre che alle sue spalle ci fosse uno scorcio del Canal grande, una cupola della Salute, il profilo dell’isola di San Giorgio, il bacino di San Marco.

Maurizio Scaparro (ph. Fondazione Cini)
(ph. Fondazione Cini)

Era nato, ed è scomparso a Roma, Scaparro. Ma è Venezia la città dove ha lasciato il suo più forte segno. “Sono trascorsi più di quarant’anni dal mio primo Carnevale – aveva finito col dire – ma ancora oggi ho ben nitide davanti a me le tante immagini che costituiscono la memoria di qualcosa di unico, se non di irripetibile. I pulcinella che, con le loro maschere, invadevano una Venezia incantata nel 1982, o l’elefante che, nel Carnevale del 1981, percorreva le calli come se fosse un passante abituale. Sono alcuni dei momenti più forti che riecheggiano nella memoria collettiva di chi partecipò a quelle giornate di cultura”.

volume Il Carnevale del Teatro - La Biennale

Appunto per questo, prima che ci lasciasse, in occasione del suo 90esimo compleanno, lo scorso anno, La Biennale gli aveva dedicato a palazzo Giustinian una mostra: ‘Il Carnevale squarcia la nebbia. Venezia, Scaparro, La Biennale 1980, 1981, 1982, 2006 dall’Archivio della Biennale di Venezia”. Mostra realizzata anche grazie a fotografie conservate alle Fondazione Giorgio Cini, cui il regista aveva affidato nel 2017, tutto il suo archivio.

Mostra che adesso, di nuovo in tempo di Carnevale, sarebbe bello poter rivedere.

la mostra a palazzo Giustinian (2022)

Teste di legno, corpi spericolati. Il nuovo Varietà dei Piccoli di Podrecca

Potrebbe sembrare un ritaglio del secolo passato. Un’immagine sbiadita tra le memorie dei teatri. Tutt’altro. Anche nel 2023, le marionette se la passano bene. Il loro talento, le acrobazie, il ritmo dello spettacolo, acchiappano il pubblico, nonostante il mondo corra dietro a Netflix e alla realtà virtuale. Proviamo a capire perché.

Venite con me. Vediamo assieme il nuovo allestimento dei Piccoli di Podrecca.

Piccoli di Podrecca - Varietà - il ponte

Domenica mattina

La platea della domenica mattina è mista. Bambini piccolissimi, scolari saputelli, genitori a coppie, qualche singolo adulto. In altre giornate le sedie, e anche tutti i cuscini per terra, sono occupati da classi intere, di scuola elementare perlopiù. Con una grande voglia di chiacchiere e di scoperte.

Il nuovo spettacolo dei Piccoli di Podrecca si intitola Come and Go Varietà.

Dello storico e glorioso Varietà – il titolo con il quale Vittorio Podrecca e le sue “teste di legno” avevano girato il mondo intero, per treno e per nave, da Parigi a Hollywood, dalla Turchia all’Argentina – è un’edizione rimodernata, più agile, leggera, portatile. 

Piccoli di Podrecca - Varietà - toreri - ph Roberto Canziani
Varietà – Toreri spagnoli – ph Roberto Canziani

Agile, leggero, portatile

È fatta apposta per ambientarsi in spazi molto più piccoli degli enormi teatri sudamericani, delle sale londinesi e statunitensi, dove la produzione originale, cento anni fa, suscitava l’ammirazione di Diaghilev, di Eleonora Duse, di Charlie Chaplin. Persino quella di Walt Disney.

Per chi l’avesse dimenticato, bisogna in questo momento specificare che marionetta è la figura che viene mossa dall’alto, con i fili. Burattino è invece quello animato dal basso, dalla mano che infila le dita in un corpo di stracci. Povero e popolare il burattino, raffinata e tecnicamente complessa la marionetta.

Piccoli di Podrecca - Varietà - Ballerina

Intuire i segreti

Il ponte di Come and Go Varietà – il ballatoio sul quale si muovono i marionettisti – è largo meno di cinque metri. Ma va bene così. La maggior parte dei vecchi numeri delle marionette riesce ugualmente, e anzi, permette agli spettatorini delle prime file di stare più vicini al ponte e di intuire un po’ i segreti di queste figure che, mosse dai loro fili, sembrano davvero vive.

Stavolta non ci sono soltanto loro, i Piccoli. Il nuovo allestimento porta sul palco anche creature umane, quattro attrici (ma anche marionettiste) che con questi legnosi compari stringono amicizia, e insegnano loro come stare al mondo, come comportarsi davanti a un pubblico venuto là per ammirarli, e non per i loro capricci.

Il più capriccioso è Arlecchino. Appena uscito dal suo baule, dalla sacca di tela che lo custodisce nei viaggi, mostra subito quel carattere spavaldo e indolente che è tipico della più famosa maschera italiana. Cinquant’anni fa, era diventato l’ambasciatore del nostro teatro in uno dei più seguiti show televisivi americani.

Se Arlecchino ha temperamento, e ci tiene a stare e sotto i riflettori, tutti i suoi compagni d’avventura sono capaci di mostrare altrettanto ritmo, atletismo, bravura. I ballerini cubani che si esibiscono in una rumba irresistibile. Le scimmiette salterine. I dinoccolati solisti, con il frac di lustrini e il cilindro. L’equilibrista in bilico sulla palla.

Figure umane e creature animali. Di tutti i tipi e di tutti i colori. Spilungoni, nani, belle donne. Caucasici, afro-americani, mulatti. Cani e struzzi. Abituato a girare il mondo, Varietà conosceva la parola inclusività ben prima che diventasse di moda. 

Piccoli di Podrecca - Varietà - jazz

E poi ci sono i virtuosi: personaggi che strappano gridolini di ammirazione.

Il trapezista dalla pelle color cioccolata ne fa mille sulla sua corda. Numeri davvero rischiosi e spericolati. Il rischio, se sei marionetta, è che i fili si impiglino e il numero vada a farsi benedire.

Oppure il violinista, che col suo strumento coinvolge tutto il pubblico in una travolgente czarda. Chissà come fanno i suoi ciuffi a sollevarsi a ogni colpo d’archetto.

Il look smagliante del nuovo Varietà

Qualcosa mi dice che sto spoilerando un po’ troppo. Come and Go Varietà è fatto soprattutto di sorprese, e svelarle non sembra mica giusto. 

Questa nuova edizione nasce da un corso di specializzazione per marionettisti, promosso nel 2022 dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, che è anche il custode dei Piccoli di Podrecca. E che si era impegnato qualche anno fa, assieme alla cooperativa Cassiopea, in un importante lavoro di restauro.

Piccoli di Podrecca - Varietà - Violinista - ph Eugenio Spagnol
ph Eugenio Spagnol

Ne sono venuti fuori il nuovo look smagliante dei Piccoli e un’ardita schiera di giovani professionisti (anzi professioniste) a cui due marionettisti di antica scuola, Barbara Della Polla e Ennio Guerrato, hanno passato le tecniche del mestiere. Ma, rimboccate le maniche, stanno anche loro sul ponte a tendere “i fili che muovono sogni”, come diceva un antico slogan.

Le repliche 

Prossimamente, Come and Go Varietà prevede ben 10 repliche: da venerdì 17 febbraio a mercoledì 1 marzo (a volte al mattino a volte al pomeriggio). Lo spazio questa volta è la sala Rovis, nello storico edificio di via della Ginnastica a Trieste. È su parquet, dove una volta si tirava di scherma, che i Piccoli aspettano il loro pubblico: una meravigliosa invenzione, senza distinzioni, dai 3 ai 93. 

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COME AND GO – VARIETÀ
regia Barbara Della Polla e Ennio Guerrato
marionettisti Barbara Della Polla, Ennio Guerrato, Roberta Colacino, Gaia Mencagli, Giada Bigot, Silvia Ponton
produzione il Rossetti – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
in collaborazione con Società Ginnastica Triestina