Umberto Saba poeta, nella succursale dell’inferno

Il 9 marzo 1893, a Trieste, nasceva Umberto Saba, il poeta del Canzoniere, della scontrosa grazia, della rima fiore amore.

Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia e RaiRadio3 ne ricordano l’anniversario con una trasmissione in diretta (venerdì 10 marzo, ore 20.30).

Dal palcoscenico del Politeama Rossetti, Mauro Covacich, scrittore triestino, esplora la vita e i testi di Umberto Saba. Come aveva già fatto negli scorsi anni con Italo Svevo e James Joyce.

Umberto Saba a passeggio per Trieste
Umberto Saba a passeggio per Trieste

Trinità triestina

Prima era venuto Svevo, scrittore e manager. Poi Joyce, con quell’aria da ubriacone santissimo. Si completa adesso con Umberto Saba la trilogia teatrale che lo scrittore Mauro Covacich ha dedicato alla trinità letteraria triestina del primo Novecento.

In occasione del 140esimo anniversario – Saba era nato a Trieste il 9 marzo del 1883 – anche RadioRai si impegna a ricordare quanto sia stato importante, ma anche ambivalente, il rapporto tra il poeta e questa città. 

In diretta dal palcoscenico

Venerdì 10 marzo (in diretta, ore 20.30) RaiRadio3 offre all’ascolto una prova di Saba, il monologo che Covacich sta mettendo a punto in teatro, in vista del debutto dello spettacolo nel cartellone autunnale dello Stabile del Friuli Venezia Giulia, con la regia di Alberto Giusta, nel quadro della valorizzazione dei giacimenti culturali del territorio.

Gli appuntamenti teatrali di RaiRadio3, quelli curati da Antonio Audino, avevano già proposto l’ascolto di Joyce: era accaduto in occasione del Bloomsday lo scorso anno. Ora è la volta del poeta del Canzoniere, della rima fiore amore, della scontrosa grazia.

Intervista

Tre è un numero divino, non crede Covacich?

“Svevo Joyce Saba. Questa trilogia è il mio modo di fare i conti con quei grandi. Figure che, al tempo in cui ero un giovane scrittore, percepivo come un ingombro. Avevano su di me, esordiente, un effetto inibitorio. Adesso, con spalle di scrittura un po’ più larghe, e con tutta la reverenza e la soggezione del caso, provo ad mettermi di fronte a loro. Faccio il loro stesso mestiere, mi dico, gli attrezzi sono gli stessi. Ma non sono un critico letterario: li affronto e ne esploro piuttosto le pieghe umane”.

A Umberto Saba però non si addice una biografia clamorosa. Non è stato un perdente di successo, come lo sono stati Svevo e Joyce.

“Ha avuto una vita movimentata anche lui. Molto più di quanto immagina chi lo vede rintanato tra gli scaffali della libreria di via San Nicolò. Ha conosciuto stagioni diverse, città diverse: la Firenze della rivista la Voce, la Milano dell’editoria e del giornalismo, Parigi. Con lui, soprattutto, ho voluto esplorare la forza della parola poetica. Perché “La coscienza di Zeno” la puoi leggere e ne puoi parlare. La poesia no. La poesia va detta, recitata, eseguita. Non se può parlare senza averla fatta ascoltare. Ne ho messa tanta, della sua poesia, in questo spettacolo. Detto questo, Saba è certo diverso dagli altri due”.

Diversa anche la simpatia, l’empatia anzi, con cui lei ne parla. 

“Era una persona difficile. Non era mai soddisfatto. Era pure scontroso, lamentoso, rivendicativo. Ciò non toglie che fosse un grandissimo poeta. Ma con i grandi poeti mica ci devi andare a cena”. 

Insomma, non le sta simpaticissimo.

“Volevo mantenere tutta la franchezza e la trasparenza possibili nel parlare di questi tre scrittori. Seguire la mia attitudine nei loro confronti. Non posso negare che di Joyce sono un ammiratore, un vero fan. Come quei ragazzini che in cameretta attaccano il manifesto del calciatore del cuore”.

Saba si lamentava di aver dato più di quanto aveva ricevuto.

“Aveva la sensazione di essere considerato poco. Impossibile riuscire a convincerlo del contrario. E ci si era rovinato la vita. Nonostante i premi, nonostante la laurea honoris causa dell’università di Roma. Era talmente insoddisfatto che aveva pubblicato un saggio nel quale, sotto falso nome, dava un’interpretazione critica delle sue poesie: riteneva di saperlo far meglio di quanto non facessero i critici di professione. Poi, detestava Ungaretti, che pure si era adoperato per fargli ottenere quella laurea. Detestava Montale, che lo andava ogni giorno a trovare in tempi difficili. Se l’era presa con Slataper e anche con la rivista Solaria, che gli aveva dedicato perfino un numero monografico”. 

La succursale dell’inferno

A volte scrive che Trieste ha “una scontrosa grazia”. A volte la definisce “una succursale dell’inferno”. Nel secolo scorso, si parlava di ambivalenza.

“Questa città, lui la ama. Ma la odia anche. Eppure sappiamo che è stato proprio Umberto Saba che ha reso grande l’aria di Trieste, i suoi cieli, le sue salite, le partite di calcio, le donne, la gente per strada. È lui il genius loci, non c’è alcun dubbio”.

Per questa ambivalenza del sentimento, lei lo sente compagno?

“Massì, in filigrana. Ho trovato nella sua sua vita somiglianze che ritrovo nella mia. All’inizio anch’io mi ero allontanato da Trieste. Ho recuperato il mio rapporto con la città di recente. Anche grazie a queste tre esperienze teatrali. Potrei pensare che, in trasparenza, dietro alla sua vita ci sia anche la mia. Ma non ho voluto dirlo ‘apertis verbis'”.

[questa intervista è stata pubblicata sul quotidiano di Trieste IL PICCOLO, il 10 marzo 2023]

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