Questo Čechov è proprio Čechov. E un po’ mi spiace

Con un po’ ritardo, ma sono riuscito a vedere Il gabbiano firmato Leonardo Lidi. Aveva debuttato già l’estate scorsa, a Spoleto. Adesso, tra inverno e primavera si è incamminato in una fitta tournée in tanti teatri italiani. Del resto, a produrlo sono ben tre stabili: Torino, Umbria , Emilia Romagna.

Così l’ho visto al Verdi di Pordenone, un venerdì sera, in quella ricca e cospicua provincia italiana, dove la provincia russa, minuziosamente descritta da Čechov, si accomoda bene. Lo si notava anche dall’adesione del pubblico, molto coinvolto da questa storia di amori sbagliati e gabbiani morti ammazzati.

Il gabbiano - Leonardo Lidi

Quasi 125 anni separano la disastrosa ‘prima’ del Gabbiano, a San Pietroburgo (1896), da questa disciplinata replica a Pordenone. I tempi sono cambiati, i luoghi pure.

Quando scrive quella commedia Anton Čechov ha trentacinque anni, è malato, si sente vecchio. Leonardo Lidi ne ha trentaquattro quando, ai giorni nostri, decide di metterla in scena, e di lui si parla ancora come un giovane regista. I numeri, la parola vecchio, la parola giovane, hanno significati relativi.

Inutile affaccendarsi

Resta intatto invece, se non mi sbaglio, quel senso di torpore, o di languore, o di inutile affaccendarsi, quella rassegnazione che è tipica del teatro di Čechov. Lo dice molto bene Angelo Maria Ripellino, il nostro più bravo slavista del secolo scorso, nella sua introduzione al Teatro di Čechov per Einaudi. 

Sono sicuro che Lidi se l’è letta. Studiata anzi. Nei personaggi dello spettacolo rivedo proprio le sue frasi: “inchiodati in un punto morto… si muovono a vuoto… la vita scivola come acqua dalle loro mani e li trascina, li inghiotte come turaccioli…“. 

Così come giurerei che Lidi si è letto le note di regia al Gabbiano di Konstantin Stanislavskij, il regista che resuscitò la commedia, assieme a Nemirovič-Dančenko (1898), due anni esatti dopo il fallimento iniziale. Ne ha tratto, non dico suggerimenti, ma ispirazione, approfittando anche delle osservazioni e della traduzione di un altro nostro grande slavista, contemporaneo però, Fausto Malcovati (si possono leggere ora ripubblicate da Cuepress).

Il gabbiano - Leonardo Lidi - ph. Gianluca Pantaleo
ph. Gianluca Pantaleo

Fila tutto liscio

Sennò come spiegare questo Čechov così cechoviano. Questa di Lidi è una regia lontana da quella malizia che aveva spinto il regista, nato anche lui in provincia, dalle parti di Piacenza, a destrutturare Spettri di Ibsen, o a rigenerare La città morta di D’Annunzio (scrittori entrambi coevi a Čechov). Con un gran gusto perverso il primo, con una forte iniezione di parodia il secondo. 

E invece qui, con Čechov tutto fila, liscio, come l’autore vuole, nessun sussulto. 

La grazia e il tedio a morte del vivere in provincia” (poetava così un altro emiliano, Francesco Guccini). “I personaggi ascoltano di preferenza se stessi, studiandosi di cogliere e di rivelare ciò che avviene dentro a loro. Chiusi nel cerchio stregato delle proprie sollecitudini sono estranei l’uno all’altro, e non sanno comunicare né porgersi aiuto” (questo invece è di nuovo Ripellino). 

Ci sono pure dei guizzi ironici, e sono proprio quelle punture burlesche che Čechov amava inserire qua e là, tanto per dissipare ogni sospetto tragico. La stessa cosa fa Lidi.

[Tipo: si sente Gigliola Cinquetti cantare La Boèhme (da Canzonissima 1972) dopo che Nina ha detto che in casa di Kostja vivono come zingari. Spiritoso, no? Eppure mi domando sempre: com’è che questi millennial conoscono, magari amano, ste cose 😉 quelle che un boomer come me ha già archiviato in zona oblio?]

Gabbiano e solitudine

Ma poi è sulle note di solitudine che si accordano gli attori, a cui la regia sembra voler smorzare il mordente: Christian La Rosa (che era un disadattato Osvald in Spettri, un archeologo clown in La città morta) restituisce qui una interpretazione onesta, già vista, consolidata, di Kostja, giovane artista, pieno di ambizioni al primo atto, suicida per fallimento alla fine del quarto.

Mi è pure difficile capire quale inspiegabile attrazione amorosa debba coinvolgere in un triangolo stanco già sul nascere il vaporoso scrittore Trigorin (Massimiliano Speziani), l’egotistica attrice Arkadina (Francesca Mazza), la povera Nina, gabbiano protagonista suo malgrado (Giuliana Vigogna). E poi basta una battuta sola, a Maša (Ilaria Falini), per descriversi tutta: “Porto il lutto per la mia vita. Sono infelice“. Infelici sono tutti.

Il gabbiano Leonardo Lidi - Christian La Rosa e Giuliava Vigogna - ph. Gianluca Pantaleo
Christian La Rosa e Giuliana Vigogna – ph. Gianluca Pantaleo

“Il mordente è roba giovanilistica”

Leggo le note di regia a spettacolo concluso. Qui Lidi ci spiega che Čechov è il suo autore preferito, la sua scuola, che ogni tanto lo va trovare, e che si fida di quello che il russo gli dice. 

Čechov mi dice con cura che alla fine non c’è niente da vincere e che nessuna situazione si può gestire fino in fondo, mi abbraccia raccontandomi che il mordente è roba giovanilistica e che questa mania di controllo che tanto ci tranquillizza va mandata lentamente a quel paese“. 

Ho capito, ma un po’ mi spiace. Perché così, a 34 anni, Lidi sembra stare più con l’attempato scrittore Trigorin, il piacione, che con l’ambizioso Kostja, l’avventuroso. E poi perché di Čechov, Lidi ne promette altri due, prossimamente. E perché di Čechov chechoviani, in giro, ce ne son sempre tanti.

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IL GABBIANO 
progetto Čechov – prima tappa
da Anton Cechov
adattamento e regia Leonardo Lidi
con Giordano Agrusta, Maurizio Cardillo, Ilaria Falini, Christian La Rosa, Francesca Mazza, Orietta Notari, Tino Rossi, Massimiliano Speziani, Giuliana Vigogna, Angela Malfitano
scene e luci Nicolas Bovey
costumi Aurora Damanti
suono Franco Visioliproduzione Teatro Stabile dell’Umbria, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale

visto al Teatro Verdi di Pordenone, marzo 2023

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