E se Dio fosse un peluche peloso? Riconsiderare Shakespeare

Riccardo II d’Inghilterra, ultimo dei Plantageneti, ha un consigliere. Non come ce lo immaginiamo. Un saggio anziano, o il solito spin doctor che trama nell’ombra. No no, il consigliere di Riccardo è un orsacchiotto di peluche.

A lui il sovrano si rivolge quando, nei momenti solenni, ha bisogno di un consiglio. Oppure deve prendere una decisione importante. Poi, a tutti dice che a ispirarlo è stato Dio.

ArtiFragili - Secondo Riccardo (ph. Massimo Baxa)
Secondo Riccardo (ph. Massimo Baxa)

Succede così in Secondo Riccardo, primo episodio di un teatro palesemente pop che la Compagnia ArtiFragili, cresciuta nel Nordest d’Italia, sta portando in scena a puntate.

Il re ha una corona di cartone e un pelliciotto sintetico. La scena è un praticabile rialzato, un po’ balera, un po’ passerella. Troneggiano i microfoni ad asta. Il pubblico sta tutto intorno.

Riccardo secondo non è Riccardo terzo. Ovvio. Ce lo ricordano più volte i quattro interpreti di Secondo Riccardo, una tragedia che ufficialmente comporterebbe 25 personaggi, più un capitano gallese, due giardinieri, uno stalliere, un carceriere, svariate lady, soldati, servi.

Ce lo ripetono perché? Perché il loro pubblico è in larga parte giovane, generazionale, e i lavori di Shakespeare, in buona sostanza, li ignora. Certo: Amleto, Giulietta, Otello, possono avere qualche circolazione nell’immaginario giovanile, ma tutto il resto, soprattutto ciò che la storia del teatro definisce drammi storici, history plays, si confonde mirabilmente. Gli Enrichi, gli Edoardi. Figurarsi due Riccardi due. Proprio troppi.

ArtiFragili - Secondo Riccardo (ph. Massimo Baxa)

To play the game

Comunque, fosse anche il Riccardo più feroce, il terzo, non ha importanza. Secondo Riccardo è un gioco di teatro, anzi in teatro. E si potrebbe sviluppare anche attorno ad altri lavori. Prendendo in mano altre vicende.

Perché? Perché il proposito è di mettere in piedi una serata divertente, molto divertente, della quale il fine ultimo – almeno così mi sembra di capire – è raccontare una storia, scherzarci attorno, prendersene gioco. E buttare là qualche parola proibita, politically uncorrect, qualche madonna. Sussurrare nei microfoni. Strizzare l’occhio, solleticare l’orecchio con una furba playlist.

E poi battersela con il pubblico. Fargli girare la testa con i faretti colorati. Provocarlo, acchiapparlo con qualche gancio malandrino, per portarlo in scena. O fuori scena. Ovunque. To play the game. E chiudere con un bel dj set.

ArtiFragili - Secondo Riccardo (ph. Massimo Baxa)

Duelli

Shakespeare suggerisce una contesa? Bene, loro moltiplicano i duelli: la sfida delle tabelline, il gioco del palloncino, un due tre stella, paga pegno chi ride per primo.

E’ vero: con Shakespeare di può fare tutto. Gli Oblivion strizzavano otto tragedie in otto minuti, cantando. Derek Jarman riscriveva gli elisabettiani con le sue pennellate barocche, soffrendo. I musical hanno rivoltato il Bardo come un calzino, da Kiss me Kate a West Side Story. Non parliamo del cinema, che ci ha campato per tutto il secolo. 

La theatre-band ArtiFragili ha studiato tutto questo, e magari anche altro. Poi, come si fa con il Martini Cocktail, hanno buttato via il Martini. E lasciato solo il gin, il gioco. Gin Game (ma no: questa è un’altra storia)

ArtiFragili - Secondo Riccardo (ph. Massimo Baxa)

Più puntate

L’impianto inoltre, è seriale. Non un solo spettacolo, da replicare. Ma più puntate, da accumulare. Quante ancora non si sa. Perché? Perché, come sanno gli sceneggiatori americani (quelli che stanno per scioperare, forse proprio per questo) è il pubblico alla fine che decide se una storia va avanti o no. Se si lavora, o si rimane fermi al palo. Il che comporta un seria (ben più seria) riflessione sul precariato creativo. Gli ArtiFragili mi sembrano gli interlocutori giusti per farla.

Ci domanda Riccardo: “Di cosa parla la mia storia? Cosa significa avere il potere e cosa significa perderlo? Cosa sareste disposti a fare per strapparlo a qualcun altro?

Il primo biglietto della tua vita

Ho visto la prima puntata di Secondo Riccardo, qualche sera fa al Teatro Miela a Trieste, Nordest. Mi sono divertito. Si è divertito anche chi stava attorno a me. E magari aveva acquistato per la prima volta in vita sua un biglietto di teatro. Potere dei social.

Adesso sono curioso di sapere se la prossima puntata sortirà lo stesso effetto. 

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SECONDO RICCARDO
uno spettacolo di ArtiFragili
liberamente ispirato a Riccardo II di Shakespeare
progetto drammaturgico a cura di Davide Rossi
regia di Alejandro Bonn 

con Alejandro Bonn, Romina Colbasso, Veronica Dario, Davide Rossi
con il sostegno di Teatro Miela / Bonawentura

La prossima puntata il 30 e il 31 maggio 2023, sempre al Teatro Miela, a Trieste.

Le immagini sono di Massimo Baxa e Federico Valente

Angélica Liddell Caridad. I loro crimini, il nostro perdono

Non la fede, non la speranza, ma la carità: l’ultima delle virtù. Caridad si intitola la più recente creazione di Angélica Liddell. Ha debuttato lo scorso autunno al festival Temporada Alta di Girona e adesso è stata ospite per due serate all’Arena del Sole di Bologna, per Ert Fondazione che ne è anche co-produttore. Un’altra fra quelle opere estreme a cui l’artista spagnola ha abituato i pubblici di tutta Europa. 

Caridad di Angélica Liddell
Caridad di Angélica Liddell

You are my destiny

Al proprio destino non si sfugge. O perlomeno alla propria indole. Angélica Liddell flirta con la morte da quando era bambina e trascorreva la giornate in un collegio di suore. È un rosario l’elenco dei titoli dei suoi lavori – sia quelli pensati per la scena sia quelli di letteratura – che alla morte inesorabilmente ritornano.

Un assillo. Un’ossessione. Come quei crocifissi lugubri e maestosi, quelle deposizioni, quelle torture e quei martiri, che ornano le oscurità delle cattedrali di Spagna, tra fumo di candele e cera di rose. La morte come habitat

Basta sfogliare i titoli, le copertine, i manifesti delle sue opere, anche quelle più premiate: Greta vuole suicidarsi, Suicidio d’amore per un defunto sconosciuto, Cane morto in tintoria. Oppure Liebestod, che equivale a morir d’amore, e abbiamo potuto vedere lo scorso anno, proprio qui a Bologna.

Ritratto di Angélica Liddell
Angélica Liddel, ritratto

Sangue e arena

Angélica Liddell è però cambiata da quando si infliggeva sofferenze taglienti e sanguinava davanti ai nostro occhi (Ti renderò invincibile con la mia sconfitta). Da quando percuoteva con sassi le proprie parti intime rivendicando il diritto alla sterilità (Lesioni incompatibili con la vita). Da quando fotografava le proprie depressioni e le notti trascorse in vuote stanze d’albergo (fino a qualche anno fa esisteva in rete la galleria di questi autoritratti, in un sito oramai defunto) .

Oggi, più vicina ai sessantanni, contempla la morte da una certa distanza. La giusta distanza di chi è ancora vivo. E del morire apprezza soprattutto il valore estetico. O estatico. La bellezza ultima e irripetibile. E la esibisce in grande formato.

In Liebestod, la sua dichiarazione d’amore per il toreador Juan Belmonte, 50 trafitture e un finale suicida, diventava uno spettacolo maestoso, con i quarti di bue (idealmente, di toro) appesi ai ganci nel bel mezzo del palcoscenico. Bellissimi. Non per tutti, ovviamente.

Liebestod di Angélica Liddell
Liebestod di Angélica Liddell

Chi inventò la ghigliottina?

Di quello spettacolo del 2021, Caridad è adesso il proseguimento ideale. Sottotitolo: un’approssimazione alla pena di morte divisa in nove capitoli. Però la frenesia e l’odore del sangue che allora mi avevano colpito come banderillas infilate nella carne, qui non ci sono.

Caridad è un trattato, una dissertazione lucida sul vivere, o meglio sul morire. Una creazione didattica, una collezione di citazioni e exempla.

Tanto per dire: nel sesto dei nove capitoli, a un gruppo di bambini in scena, visitatori di un qualche Museo delle Atrocità, viene spiegata per filo e per segno la storia della ghigliottina. I piccoli, senza stupore alcuno, apprendono che fu un fabbricante di clavicembali a inventarla e che il suo utilizzo celebrava un sacrosanto principio di uguaglianza umana. La lama non guarda in faccia nessuno.

Vengono inoltre informati in dettaglio su come una ghigliottina funziona. E chissà se un brivido mi percorre mentre immagino che ai piccolini piacerebbe anche sperimentarlo, quel marchingegno. Su un bambolotto, beninteso.

Caridad di Angélica Liddell
Caridad di Angélica Liddell

Gli organi del pudore e dell’orrore

Chissà poi se, dal camerino dietro la scena, sempre loro, riescono a sentire il Capitolo Sette. Nel quale si racconta la storia di Gilles de Rais, condottiero francese famoso per essere stato compagno d’armi di Giovanna d’Arco. Ma più famoso ancora per la efferatezza con cui rapiva, sodomizzava, torturava, uccideva e squartava le sue piccole vittime. Per diventare, nell’immaginario popolare, il precursore di Barbablù.

A Liddell piace insomma toccare i settori più delicati della nostra sensibilità, i nostri tabù, gli organi del pudore e dell’orrore. E in questo sta il potere magnetico dei suoi spettacoli

Non occorre essere letterati per intuire, dietro al raccapricciante racconto, la devozione dell’artista spagnola per Georges Bataille (Il processo di Gilles de Rais) e Pier Paolo Pasolini (Salò). Ma anche Hermann Nitsch e Marina Abramović sono riferimenti presenti. E poi, come costanti oggetti d’affezione, De Sade, Godard, persino il Beckett più crudele. Tutti citati.

In che modo tutto quell’orrore abbia che fare con il titolo Caridad si intuisce a poco a poco. Anche se fin dall’inizio Liddell ci aveva informati quanto sia stata impressionata osservando Caritas romana, un quadro di Rubens, e non solo.

Vi si vede Cimone, uomo anziano, colpevole, incarcerato, condannato a morire di fame, che viene però allattato, per carità, dalla figlia. Per quel gesto caritatevole, viene infine graziato. “L’arte può finalmente regnare al di sopra della legge” sostiene Angélica. Nome celestiale.

Pieter Paul Rubens, Caritas romana
Pieter Paul Rubens, Caritas romana (1612)

Io credo nell’innocenza delle azioni – dice – Osserva bene il peggiore degli assassini e vedrai un uomo innocente. (…) Credimi è una questione di sacrificio. Il giustiziato ci redime, che sia colpevole o innocente, tra l’altro, in quanto è sempre innocente. Questo implica anche l’accettazione totale della natura umana. (…) La nostra salute dipende dai condannati, dai criminali“. Nemmeno Jean Genet la metteva giù così bene.

Lei preferisce citare Matteo evangelista. “Signore, quante volte dovrò perdonare mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte?”. E Gesù gli rispose: “Non dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette” (Matteo, 18, 21-22). Carità, perdono.

Caridad di Angélica Liddell
Caridad di Angélica Liddell

La caritas romana, quel gesto iconico di carità filiale, reso immortale da Rubens, Liddell lo riproduce tale e quale, ricordandoci nel frattempo che il latte oggi si ottiene con mungitrici meccaniche a controllo digitale, protagoniste del Capitolo Uno.

Così come protagoniste del Capitolo Due sono attrezzi per la pulizia dei pavimenti che accuratamente ripuliscono e igienizzano il palcoscenico, invaso da tutto quel latte versato. 

Pasolini forever

Non mancano altre riproduzioni dal vivo. Il famoso fotogramma del pasoliniano Fiore delle mille e una notte, in cui Ninetto Davoli tende un arco con freccia a forma di fallo dorato, e lo punta nell’ovvia direzione auspicata dalla sua amata, diventa anche esso un tableau vivant.

E prima e poi, poi in rapide carrellate: due schermidori paralimpici che duellano su sedie a rotelle, un coro di laringectomizzati che cantano, un uomo e un cane disabili con protesi per la deambulazione, un cinghiale impagliato, due alligatori finti, pecorelle vive. E fiori, fiori: rose rosse, calle bianche, rami d’ulivo.

Caridad di Angélica Liddell
Caridad di Angélica Liddell

Per non parlare delle frequenti occasioni in cui il sesso (magari non esplicito, ma certo esplicitato) diventa occasione di scandalo, o morbosità, o imbarazzo, o ironia, o noia. A seconda del vissuto di ogni singolo spettatore.

Topics

Ed è a questo punto che mi viene in mente quanto l’estremismo di Liddell vada inquadrato in quel contesto di formule che si rincorrono nel contemporaneo teatro europeo occidentale. Registrati sotto l’etichetta del post-drammatico, mi sembra di rivedere tutti i topic che rendono allettanti le rappresentazioni agli occhi dei pubblici più avanzati d’oggi.

Bambini in scena. Testi proiettati sul fondale. Colonne sonore che alternano il barocco (preferibilmente Bach) e il pop (preferibilmente anni ’60). La presenza di animali, morti o vivi. L’esibizione di corpi non-normalizzati, feriti, amputati, spesso denudati. La minacciosa presenza di protesi e macchine. 

Tutto ciò in Caridad c’è.

Caridad di Angélica Liddell
Caridad di Angélica Liddell

E allora penso, non per la prima volta, che fare spettacolo oggi, circuitarlo nei i maggiori palcoscenici europei, diventare l’oggetto di desiderio di festival e manifestazioni, sia frutto di un equilibrio delicato tra originalità (e questo per Liddell non si discute) e i luoghi comuni di un teatro-merce, largamente apprezzato dal pubblico. 

Una bilancia accurata, in equilibrio, che da una parte invoca le ragioni alte e singolari dell’artista (“Non mi interessa il contemporaneo, ma l’eterno“) e dall’altra sa quanto siano indispensabili, al seguito, un bravo manager e un bravo commercialista.

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Il testo di Caridad, nella traduzione di Silvia Lavinia, è pubblicato da Luca Sossella Editore nella collana Linea a cura di Debora Pietrobono e Sergio Lo Gatto.

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Angélica Liddell parla di Caridad:

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CARIDAD
testo, scene, costumi e regia Angélica Liddell
con David Abad, Yuri Ananiev, Federico Benvenuto, Nicolas Chevallier, Guillaume Costanza, Angélica Liddell, Borja López, Sindo Puche
coro di laringectomizzati Shout at Cancer: Guy Vandaele, Frank Meeus e Andrew Pett
scherma paralimpica Alex Prior (campione di Spagna in modalità sciabola) e Ayem Oskoz
luci La Cía de la Luz (Pablo R. Seoane)
paesaggio sonoro Antonio Navarro
traduzione sovratitoli in italiano Silvia Lavina
produzione Iaquinandi S.L, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Festival Temporada Alta Girona, CDN Orleans Centre Val de Loire, Teatros del Canal Madrid

Tom e Lao. Le piccole vacanze di Alessandro Berti

Qui è il paradiso. Là fuori può esserci l’inferno. L’inferno arido del surriscaldamento del clima. Quello della siccità, dei boschi morti, delle praterie ingiallite. Più lontano, forse, gli incendi.

Le vacanze di Alessandro Berti ph @Daniela Neri
Sebastiano Bronzati e Francesco Bianchini in Le vacanze – tutte le foto @Daniela Neri

Ma qui, proprio qui, chissà per quale miracolo, la falda è ancora viva e i bambù resistono. È un’oasi, un canneto d’ombra, uno stagno di refrigerio in mezzo al caldo che avvampa, asciuga la pelle, brucia gli occhi.

Passato. Presente. Futuro prossimo

Le vacanze è il testo che Alessandro Berti (Premio Riccione 2021 per l’innovazione drammaturgica) ha scritto qualche anno fa, giusto nel tempo dell’epidemia. Lo ha anche portato in scena, da regista, a Bologna pochi giorni fa (per Emilia Romagna Teatro Fondazione, Arena del Sole, sala Thierry Salmon).

Simulazione di futuro prossimo. Anche no: di presente probabile, molto probabile. Forse non qui nell’Occidente ricco, agguerrito e ancora (per poco) temperato. Ma certo in un altrove dove gli agglomerati urbani sono più fragili, le economie più deboli, il degrado ambientale più devastante.

Adattamento

Il testo ci racconta che fiumi e torrenti sono scomparsi. Figurarsi i ghiacciai. Le terre sono sterili. L’acqua vale più dell’oro. Una doccia, un tuffo in una pozza sono il lusso di pochi.

Ma non è uno scenario catastrofico. Da sempre la specie umana si arrangia. Passata l’emergenza, lasciato alle spalle il tempo dei Grandi Incendi, lo stile di vita che è cambiato. In fondo, l’intelligenza umana è adattamento, assuefazione. 

Le vacanze di Alessandro Berti ph @Daniela Neri

Le vacanze di Tom e Lao

Tom e Lao, sono due adolescenti. Nemmeno ventenni, studenti. Hanno superato l’Esame e si concedono il lusso di una piccola vacanza. Proprio qui, nel canneto verde, al fresco di quei bambù, nella pozza d’acqua fangosa dove si può ancora fare il bagno. Occhiali da sole, costume da spiaggia, asciugamano, crema protettiva. Niente sembra cambiato. È cambiato tutto.

Immersi fino al torace, Lao e Tom discorrono. Giocano a immaginare luoghi freschi, o freddi, magari gelidi. Percezione e immaginazione, a volte, coincidono. E parlano. Del passato soprattutto, dei loro genitori, dei luoghi che hanno visto, e che non ci sono più. Ma anche del futuro, incerto, tra ingegneria genetica e umanesimo. Tra ottimismo della ragione e malinconia del cuore.

Le vacanze di Alessandro Berti ph @Daniela Neri

Un fermo temporale 

Le vacanze non racconta una vicenda, ma una situazione, un fermo temporale in cui si può leggere ciò che è, e anche ciò che è stato. Divorata da se stessa, dalla propria smania di conquista antropica, la specie umana si prosciugata, decimata. Ma si è fatta anche più scaltra. Ha inventato l’editing del dna, sterminato i mali e gli insetti, ingegnerizzato il cibo.

Eppure Gea, madre natura, è rimasta la più forte. Ha costretto l’homo sapiens a questa pace di sopravvivenza, alla sua enclave minoritaria, a una vita ridotta. A fronte, almeno, di quella che viviamo noi, oggi,. Ancora per poco.

Un danzatore per Tom

Non c’è dolore, comunque. Così come non c’era dolore in Giorni felici di Beckett, di cui Le vacanze è l’eredità dispersa, giusto sessant’anni dopo. Un tempo enorme. Nel tempo dei Grandi Incendi milioni di uomini sono scomparsi, i genitori di Tom e Leo sono scomparsi, abitudini millenarie sono scomparse. Altre sono drasticamente mutate. O ce ne sono diverse. 

Con un app, per esempio, si può “affittare” un artista. Ed è ciò che fa Lao, come sorpresa, improvvisando un regalo a Tom. Se esistono i menù digitali per il cibo, perché mai non dovrebbero esistere per l’arte. Tra le opzioni, Lao ha scelto danza.

Le vacanze di Alessandro Berti ph @Daniela Neri

Il vecchio stile

E come se spuntasse dal nulla il danzatore appare, una visione tra le canne. Androgino, misterioso sciamano. Per quelli che hanno vissuto “il vecchio stile” (lo chiamava così, Samuel Beckett) una specie di attore santo, Ryszard Cieślak  in Il principe costante di Grotowski, o Kazuo Ohno.

Davanti ai bambù appena appena mossi dal vento, il danzatore danza. Gesti lenti, rarefatti, orientali (ma cosa mai distingue più Occidente da Oriente?). Tom e Lao non ne sembrano soddisfatti. Sono confusi, agitati. Si domandano che posto occupi l’arte, in questo loro mondo .

La complessità del presente

Adolescenti alle prime armi con la vita, Lao e Tom sono interpretati da Francesco Bianchini e Sebastiano Bronzato. La scelta del regista Berti è caduta proprio su loro due, per la leggerezza consapevole, la supponenza ingenua che ci mettono dentro.

Con i loro occhi, Berti è bravo a leggere le complessità del presente. (Ma questo lo sapevamo già, almeno fin da quando aveva letto il successo agro-alimentare emiliano in Terra di Burro). Berti è bravo a ricordarci l’immensità del problema, senza però impartire prediche, senza dare esca ad allarmi o minacce. Senza danneggiare opere d’arte e monumenti, tanto per dire.

Gesti d’arte

Preservandoli anzi. Come quei gesti antichissimi, rituali, sacri, a cui il danzatore-sciamano ritorna, quando di nuovo ricompare (è Guido Corso, a cui idealmente questo lavoro è dedicato, così come è dedicato a Bernardo, il figlio di Berti). Movimenti d’arte. Gesti dello spirito. 

Le vacanze di Alessandro Berti ph @Daniela Neri

Ma intanto si è alzato di nuovo il vento, il canneto si arrossa, il calore sale, Lao e Tom si addormentano esausti. I primi bagliori. L’incendio è già lì, dietro le piante. A pochi passi.

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P.S. Oltre che letto (è pubblicato nella collana I Gabbianiletteratura teatrale per giovani lettori di Edizioni Primavera, 10 euro) Le vacanze andrebbe visto, non fosse altro che per la scenografia. Un bambuseto autentico. Con il loro odore, il loro colore, il loro velo di foglie a terra, le canne costruiscono e definiscono un paesaggio artificiale e al tempo stesso organico. Futuro prossimo. Futuro presente anzi.

Collana I Gabbiani - Primavera Edizioni - Le vacanze di Alessandro Berti

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LE VACANZE

di Alessandro Berti
con Francesco Bianchini e Sebastiano Bronzato
danza Giovanni Campo
regia Alessandro Berti
disegno luci Théo Longuemare
assistente alla creazione e organizzazione Gaia Raffiotta
bambuseto Elle Natura Società Agricola
produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale
in collaborazione con Casavuota