Guardateli, ascoltateli, uno dopo l’altro, i trenta under trenta che Antonio Latella ha esaminato nella prima selezione del bando della Biennale. In palio c’è una produzione da 110mila euro. Tra loro, il regista ne ha adesso individuati sei. Alla fine ne verrà scelto uno. Uno su trenta ce la fa.
Nel precedente post parlavo di alcune soluzioni che il teatro italiano prova a dare alla difficoltà che i giovani artisti incontrano nel far vedere e apprezzare al pubblico le proprie opere. E’ un sistema in cui l’offerta è decisamente superiore alla domanda, ed è perciò inevitabile che il valore economico del loro lavoro precipiti verso il basso. Di conseguenza, anche la possibilità di farne una professione. Il che, detto in due parole, è grave.
Con rimedi diversi, il tessuto teatrale italiano prova a far fronte a questa prospettiva. Una delle proposte più ambite (nonché più dibattute negli scorsi mesi, per l’aspetto economico, davvero inconsueto) è il bando lanciato in marzo da Antonio Latella, direttore per questo quadriennio della sezione Teatro della Biennale di Venezia. Un premio di produzione di 110mila euro (al massimo) per la produzione di un regista under 30, da presentare nel cartellone 2018 del Festival. Niente male, che dite?
Alla scelta finale si arriverà dopo una progressiva selezione che, dai primi 30 registi accolti ed ascoltati, ha già portato a 6 i candidati, e porterà infine, tra qualche mese, al vincitore (il bando si può leggere qui).
La discussione in rete si è concentrata soprattutto sulla cifra, effettivamnete cospicua, e sulla scelta di destinare l’intero budget a una produzione sola. Ragionamenti convincenti dall’una e dall’altra parte, e motivati, com’è ovvio, dalla posizione dalla quale ciascuno parla. Il tema, quasi irrisolvibile, del rapporto qualità/quantità. Latella ha fatto la sua scelta. E tant’è: il bando è quello. A me pare interessante, piuttosto, ascoltare quello che hanno detto i trenta candidati. Li volete sentire? Volete mettervi dentro i loro pensieri?
“Facciamo molta fatica a volte a capire cosa è bello, cosa è vero, cosa è lecito. Ma soprattutto cosa è sacro”.
“Siamo molto condiscendenti con la violenza che facciamo. Ha sempre un fine”.
“Mi sono chiesto: che cosa succede se non c’è più nessuno a guardarti, se non c’è più il pubblico, se non c’è più l’altro…”.
“Questa solitudine però forse anche gioiosa”.
“E’ difficile stare al passo con le avanguardie dei primi del ‘900”.
“Reimparare a narrare delle storie, io mi sono innamorato del teatro, per le storie”.
“Sei un’attrice, sei una performer, non sei una regista. E’ vero che tutte queste tre cose, per come tento di farle, corrispondono allo stesso ventre”.
“Non un’idea a priori, ma un contenuto, nella sua giusta forma, fruibile, comprensibile”.
“Alla mia età, mio padre mi aveva già avuto”.
E così via. Le loro idee. I loro timori. Le loro ambizioni. Il loro spaesamento. D’accordo: sono spot di pochi secondi. Però, se vi prendete il tempo per guardare questi altri quattro video, trovate delle riflessioni in più, i titoli dei loro progetti, e i loro nomi.
Da poco si conoscono i nomi di quelli che, tra loro, sono stati selezionati per la seconda fase, tre registi e due registe, che presenteranno trenta minuti di lavoro espositivo in chiusura del College. Una sfida a sei.
Sono Leonardo Lidi (che concorreva con il progetto Spettri), Filippo Renda (Closer), Maria Chiara C. Pederzini (Furore), Fabio Condemi (Il sonno del calligrafo), Jacopo Squizzato (Nikola Tesla) e Francesca Caprioli (E’ un continente perduto). Potete rivederli tutti e sei in questo altro video.
Li ascolteremo più a lungo nei prossimi mesi, li vedremo all’opera, staremo a scrutare quei trenta minuti di idee e di speranza, che metteranno assieme e presenteranno, a fine festival, ai maestri e agli allievi del College. Sei ritratti dell’artista da giovane.