Dimitris Papaioannou. La scena è un toro. E va presa per le corna

Dopo il debutto di giugno a Lione, Trasverse Orientation, lo spettacolo creato da Dimitris Papaioannou, è stato ospite a Napoli, a Campania dei Festival. Toccherà prossimamente Torino Danza (dal 23 al 26 settembre) e il Festival Aperto di Reggio Emilia (dall’1 al 3 ottobre).

Dire capolavoro è scegliere una parola banale.

Transverse Orientation by Dimitris Papaioannou - ph Julian Mommert
Transverse Orientation – tutte le foto sono di Julian Mommert

La bestia

Un toro nero, enorme, aggressivo, irrequieto, si agita in scena. Da’ di corna, tenta l’assalto, mette paura. A manovrare il grande pupazzo – questa macchia mobile e scura che si staglia su uno sfondo bianchissimo – ci sono sei giovani uomini. Uno uguale all’altro, vestiti come Dimitris Papaioannou veste sempre i suoi uomini. Giacca e pantaloni neri, affusolati, camicia bianca, scarpe nere – l’uniforme dei suoi spettacoli.

La bestia scalpita. Uno degli uomini si spoglia – si spogliano sempre nei suoi spettacoli – lo fa lentamente e la sua figura nuda, esposta, bianca, si avvicina con mille cautele al toro. Tenta una prima carezza, poi un’altra. Offre il dorso della mano a quelle narici umide. Poi prova con l’acqua, in un secchio. La bestia ci infila il muso, ne sentiamo il rumore, si abbevera, si tranquillizza, diventa mansueta.

Transverse Orientation by Dimitris Papaioannou - ph Julian Mommert

Faranno una specie d’amore, più tardi, l’uomo e il toro. Lui lo prenderà per le corna e aderirà a quel corpo bestiale. Nella luce ora calda di un riflettore, diventeranno una cosa sola, una sola immagine. E al centro della scena, oppure di lato, quel toro accompagnerà noi spettatori per quasi due ore. Di immaginazione pura.

Transverse Orientation by Dimitris Papaioannou - ph Julian Mommert

L’architetto della materia

Ci sono immagini, in questo Tranverse Orientation, che rimarranno nella storia dello spettacolo contemporaneo. Come sono rimaste nella memoria le scene che hanno ideato Robert Wilson, Pina Bausch, Jan Fabre, Luca Ronconi.

Dimitris Papaioannou, greco, 57 anni, appartiene a quella stessa categoria di artisti. Dire regista, o coreografo, o pittore, è scegliere categorie dell’altro secolo. Papaioannou è un architetto delle materia. E anche il corpo è materia viva per lui, come lo sono l’acqua, il legno, la pietra, la plastica, le corde, gli abiti neri.

Con la materia Papaioannou compone quadri nitidi e bellissimi. In tre dimensioni. È un maestro dei chiaroscuri, delle nature morte. Ma dà pure vita a immagini mostruose. Ibridi animati e inanimati, creature di sogno: dite pure d’incubo, se avete paura della sua creatività estrema. 

Transverse Orientation by Dimitris Papaioannou - ph Julian Mommert

Ibridi

Un torso femminile si innesta su un addome di rettile e avanza verso la ribalta come uno dei mostri di Jeronimus Bosch. Una donna prima, un uomo poi, si intrappolano nella rete di un lettino pieghevole e con quell’oggetto avvolgente, pericoloso, combattono una battaglia mortale.

Una creatura marina, in proscenio, sotto i nostri occhi, cambia pelle e in questa muta diventa uomo, tra cascate di perline luminose. Omuncoli neri, corpo imponente, testolina minuscola a palla, si comportano come lemming, mentre salgono e scendono su scale snodabili di metallo.

Transverse Orientation by Dimitris Papaioannou - ph Julian Mommert

Centauri, sirene, satiri, arcimboldi, sono i soggetti di Transverse Orientation.

Impressiona la donna che nel riquadro di altarino a forma di vulva partorisce un neonato plastico, tra scrosci di liquido limaccioso. Ma poi diverte, quella stessa donna, quando simile a una fontana vivente inonda il palco di acqua con zampilli barocchi, a decine.

Una porta erutta blocchi e lastre di pietra. Schiavi neri devono spostarli, accumularli, sovrapporli in torrioni o colline pericolanti e sghembe. Che ricadranno fragorosamente a terra. Profili di atleti da vaso greco inutilmente si affannano a far roteare i cubi sui quali si ergono in equilibrio precario.

L’erotismo si mescola al divertimento. Rivaleggiano la nudità e il mistero. Vivaldi e le sue sonate, discretamente, in sottofondo, di tanto in tanto accompagnano le invenzioni.

Miti mediterranei

“Vi prego, non chiedetemi a chi o a che cosa mi ispiro, non lo so nemmeno io. È l’immaginario collettivo che mi si rovescia addosso, io so soltanto dargli forma” dice Papaioannou a chi con ostinazione stolta vuole conoscere le radici, le fonti, le intenzioni.

Non si riconosce nemmeno nel mito, che qui potrebbe abbondare: dal Minotauro cretese, a Sisifo esasperato, alle Veneri di Botticelli. “Per molto tempo ho fatto il pittore” dice e noi sappiamo che è stato allievo di un grande della pittura greca moderna, Yannis Tsarouchis, “adesso porto quelle stesse figure in scena”.

Come capita oramai in questo nuovo secolo, è l’artista a lanciare il sasso. Lo spettatore lo raccoglie e lo fa suo, riconoscendo in quelle immagini il proprio vissuto, le proprie esperienze, le proprie visioni.

Ed è facile, per noi mediterranei, pronipoti di Omero, riconoscersi negli archetipi e le favole della infanzia della nostra civiltà. “Ovunque io vada, la Grecia mi accora” scriveva Seferis.

Transverse Orientation by Dimitris Papaioannou - ph Julian Mommert

Così il paesaggio finale, l’affresco sublime che chiude Trasverse Orientation – e che non bisogna svelare – ci lascia negli occhi l’immagine dell’uomo che con il suo mocio vorrebbe asciugare il mare. Quel mare su cui siamo tutti nati.

Subito dopo scrosciano gli applausi.

Come ho fatto in altri post di QuanteScene!, dedicati a spettacoli di Papaioannou (clicca qui per Sisyphus) (e qui per Ink) , vi consiglio di dare un’occhiata al suo sito ma soprattutto al video di Transverse Orientation.

Che è di una bellezza impressionate e abnorme. Sarete d’accordo con me.

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TRANSVERSE ORIENTATION
Conceived – Visualized + Directed by DIMITRIS PAPAIOANNOU

With DAMIANO OTTAVIO BIGI, ŠUKA HORN, JAN MÖLLMER, BREANNA O’MARA, TINA PAPANIKOLAOU, ŁUKASZ PRZYTARSKI, CHRITOS STRINOPOULOS, MICHALIS THEOPHANOUS

Music ANTONIO VIVALDI 
Set Design TINA TZOKA + LOUKAS BAKAS
Sound Composition + Design COTI K. 
Costume Design AGGELOS MENDIS
Collaborative Lighting Designer STEPHANOS DROUSSIOTIS
Music Supervisor STEPHANOS DROUSSIOTIS
Sculptures + Special Constructions – Props NECTARIOS DIONYSATOS  
Mechanical Inventions DIMITRIS KORRES 

Creative – Executive Producer + Assistant Director TINA PAPANIKOLAOU
Assistant Directors + Rehearsal Directors PAVLINA ANDRIOPOULOU + DROSSOS SKOTIS
Assistant to the Set Designers TZELA CHRISTOPOULOU
Assistant to the Sound Composer MARTHA KAPAZOGLOU
Assistant to the Costume Designer AELLLA TSILIKOPOULOU
Special Constructions – Props Assistant EVA TSAMBASI
Photography + Cinematography JULIAN MOMMERT

Technical Director MANOLIS VITSAXAKIS
Assistant to the Technical Director MARIOS KARAOLIS
Stage Manager – Sound Engineer + Props Constructions DAVID BLOUIN  
Props Master TZELA CHRISTOPOULOU
Lighting Programmer STEPHANOS DROUSSIOTIS
Costumes Construction LITSA MOUMOURI, EFI KARATASIOU, ISLAM KAZI
Stage Technicians KOSTAS KAKOULIDIS, EVGENIOS ANASTOPOULOS, PANOS KOUSOUMANIS
Lighting Constructions MILTOS ATHANASIOU
Silicone Baby made by JOANNA BOBRZYNSKA-GOMES
Props Team NATALIA FRAGKATHOULA, MARILENA KALAITZANTONAKI, TIMONTHY LASKARATOS, ANASTASIS MELTIS, ANTONIS VASSILAKIS

Executive Production 2WORKS in collaboration with POLYPLANITY PRODUCTIONS
Executive Production Associate VICKY STRATAKI 
Executive Production Assistant KALI KAVVATHA
Props Production Manager PAVLINA ANDRIOPOULOU
International Relations + Communications Manager JULIAN MOMMERT

A production of ONASSIS STEGI 
To be first performed at ONASSIS STEGI (2021)

Co-Produced by FESTIVAL D’AVIGNON, BIENNALE DE LA DANSE DE LYON 2021, DANCE UMBRELLA / SADLER’S WELLS THEATRE, FONDAZIONE CAMPANIA DEI FESTIVAL – NAPOLI TEATRO FESTIVAL ITALIA, GREC FESTIVAL DE BARCELONA, HOLLAND FESTIVAL – AMSTERDAM, LUMINATO (TORONTO) / TO LIVE, NEW VISION ARTS FESTIVAL (HONG KONG), RUHRFESTSPIELE RECKLINGHAUSEN, SAITAMA ARTS THEATRE / ROHM THEATRE KYOTO, STANFORD LIVE / STANFORD UNIVERSITY, TEATRO MUNICIPAL DO PORTO, THÉÂTRE DE LA VILLE – PARIS / THÉATRE DU CHÂTELET, UCLA’S CENTER FOR THE ART OF PERFORMANCE

With the support of FESTIVAL APERTO (REGGIO EMILIA), FESTIVAL DE OTOÑO DE LA COMUNIDAD DE MADRID, HELLERAU – EUROPEAN CENTRE FOR THE ARTS, NATIONAL ARTS CENTRE (OTTAWA), NEW BALTIC DANCE FESTIVAL, ONE DANCE WEEK FESTIVAL, P.P. CULTURE ENTERPRISES LTD, TANEC PRAHA INTERNATIONAL DANCE FESTIVAL, TEATRO DELLA PERGOLA – FIRENZE, TORINODANZA FESTIVAL / TEATRO STABILE DI TORINO – TEATRO NAZIONALE
Funded by the HELLENIC MINISTRY OF CULTURE AND SPORTS
Dimitris Papaioannou’s work is supported by MEGARON – THE ATHENS CONCERT HALL

We would also like to thank the team at LEMON POPPY SEED for styling the performers’ hair.

Trailer filmed by JULIAN MOMMERT + edited by DIMITRIS PAPAIOANNOU

L’inchiostro di Papaioannou. L’acqua, la luce, i riflessi del nero.

L’uomo ci dà le spalle. Nera la camicia, neri i pantaloni. Neri sono anche fondale e pavimento. Il buio di un inchiostro in cui si legge netta la figura umana. Illuminata in controluce da un graffito di gocce d’acqua, vive, impalpabili, nebulose.

(ph Julian Mommert, come tutte le immagini che seguono) 

Ink è il titolo della più recente creazione di Dimitri Papaioannou, un regalo d’arte fatto in esclusiva italiana a TorinoDanza e a I Teatri di Reggio Emilia.

Significa inchiostro. Doveva essere solo uno studio, rielaborato qui in Italia, in vista di una più ampia composizione che debutterà nel dicembre prossimo a Atene.

È diventato invece un lavoro d’intensità. Cattura con le visioni che offre. Si rivela aperto, perfino confuso, per le suggestioni che insinua nello spettatore. Non perfetto, grazieaddio. Ma in quello stadio germinale che potrebbe precipitare nel fallimento o nel capolavoro.

Difficile, quando si parla di Dimitris Papaioannou, è definirlo. Chi lo chiama regista, chi coreografo, chi designer e performer. Per alcuni è un maestro – così se la sbrigano senza problemi. Basta vedere una soltanto delle sue creazioni per rendersi conto che questo 56enne, greco di Atene, fisico asciutto, tratti mediterranei, preciso e imperturbabile, è ossessionato dalla materia e dai materiali. Uno che dei corpi forza le membra e le articolazioni. Con impegno, lucidità, ostinazione. Architetto perfezionista di immagini in bilico sempre tra natura e cultura.

Sorgenti primordiali

Per Ink ha preferito tubi d’irrigazione, corde bagnate, creature che salgono dai fondali marini, campi di spighe, bocce trasparenti. L’energia del getto d’acqua con cui si innaffiano i campi e il potere vitale che attribuiamo ai liquidi, sorgenti primordiali. Il fruscio di vecchi dischi e alcune cellule musicali, rubate a Vivaldi. Forse il ricordo di qualche Mantegna, o di Caravaggio.  Magari niente di tutto ciò. Solo acqua. Solo il corpo. Soltanto i materiali.

Dopo titoli entrati con prepotenza sulla scena mondiale – Primal Matter, Still Life, The Great Tamer. Dopo performance colossali negli stadi – l’inaugurazione delle Olimpiadi di Atene nel 2004, quella dei Giochi europei di Baku del 2015. Dopo eventi da galleria d’arte, come Sisyphus visto lo scorso anno proprio qui a Reggio Emilia (questo il link). Ink è la prova ulteriore della sapienza con cui Papaioannou compone il quadro, la visione dello spettatore. Meglio ancora, per lo spettatore E per i suoi sensi.

C’è acqua dappertutto in Ink. Scaturisce, gorgoglia, inonda, sale in alto, ricade, riflette la luce. Riempie la boccia trasparente e inzuppa i corpi e i vestiti. Accanto a Papaioannou, uniforme all black, c’è il giovane partner di scena, Šuka Horn, 23 anni, quasi sempre nudo, roseo e pallido come può esserlo un tedesco al sole.

Grandi fogli di plastica, traslucidi, sottili, servono a ammorbidire e imprigionare la nudità. Pareti di nylon vibrano umide come membrane. Una sfera moltiplica la luce. I due uomini, sempre in lotta tra loro, raccontano a forza di movimenti una storia che è quasi inutile decifrare.

Ink 2020- Papaioannou - ph. J. Mommert

La bestia del desiderio

Sono un padre e un figlio? Può essere. Due amanti? Ci può stare. L’impulso animale in lotta con il controllo della ragione? C’è chi ha visto anche questo. Ecco Ercole avvinghiato a Anteo, come in tanta iconografia. Ecco Calibano che sfida Prospero, come sussurrava Shakespeare. C’è mutua attrazione tra il sapiente che regge le corde e governa i tubi, e il selvaggio giovane animale che si fa strada nella selva color oro, pronto ad azzannare. “La bestia del desiderio”, butta là Papaioannou interrogato, così tanto per dire.

In Ink c’è tutto (o quasi tutto) quel che ciascuno ci vuol vedere. Per me è anche il ricordo di un vecchio pescatore che continua a sbattere un polpo sul molo. Lo avevo visto fare nel porto di Amalfi. Lo si vede ancora fare su tutte le coste di questo mare, come assicura il breviario mediterraneo di Predrag Matvejevic.

Lo rivedo adesso, quel pescatore, nell’ultima immagine di Ink, riflesso nell’acquitrino in cui si è trasformato il palcoscenico.

Perché così funziona l’arte. Deve sempre restituire il riflesso, per durare.

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Ps: Appena ho in mano le date, acquisto un biglietto per Atene, dove la nuova composizione di Papaioannou debutterà a dicembre. Per chi non ha fretta, c’è Napoli Teatro Festival, che lo programma a febbraio. C’è anche chi vorrebbe resistere alla tentazione, e allora, qui sotto un breve trailer. Tanto per dargli l’idea.

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INK
ideazione Dimitris Papaioannou
con Šuka Horn + Dimitris Papaioannou
scene e costumi Dimitris Papaioannou
disegno luci Stephanos Droussiotis + Dimitris Papaiaonnou
sound design David Blouin
musica Antonio Vivaldi, Donald Novis, Isham Jones, Sofia Vempo, Leo Rapitis
produttore creativo – esecutivo – assistente di direzione Tina Papanikolaou
foto e video di scena Julian Mommert
oggetti di scena Nectarios Dionysatos
scultura realizzata da Joanna Bobrzynska-Gomes

coproduzione Torinodanza Festival / Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale e Fondazione I Teatri / Festival Aperto – Reggio Emilia
produttore esecutivo 2WORKS
Dimitris Papaioannou è sostenuto da MEGARON THE ATHENS CONCERT HALL

Papaioannou e Sisifo. Quando gli eroi vestivano Max Mara

Il mago greco dello spettacolo, Dimitris Papaioannou, ha creato per la Collezione d’arte Maramotti un trittico dedicato al mito di Sisifo e all’insensato sforzo del sopravvivere.

Papaioannou - Sisyphus - ph Julian Moment
(ph Julian Mommert, come tutte le immagini che seguono)

Ercole – l’eroe con i muscoli – sgobbava molto. Tanto che si è guadagnato nei secoli una giusta fama. Anche Sisifo sgobbava parecchio. Forse di più. Ma il macigno che con fatica e sudore egli spingeva su per il monte, ricadeva irrimediabilmente a valle. E lui, a ripetere in eterno la stessa fatica. Inutile e assurda.

Ecco perché del vittorioso Ercole ci ricordiamo sempre. Mentre a Sisifo, perdente eterno, tocca appena qualche citazione colta. Come quella che negli anni ’40, grazie al pensatore francese Albert Camus, fece di lui il simbolo dell’assurdità della vita umana.

Penso a Sisifo

Penso al povero Sisifo mentre mi muovo tra le grandi navate industriali dell’ex fabbrica di abbigliamento Max Mara, a Reggio Emilia. Da poco più di un decennio quegli ambienti sono stati svuotati dai macchinari e accolgono una delle più belle collezioni italiane d’arte, la Collezione Maramotti. A differenza di chi ha investito il proprio patrimonio in cene eleganti, Achille Maramotti (1927-2005, anche lui fra i 5 uomini più ricchi del nostro Paese) aveva collezionato il meglio dell’arte italiana prodotta a partire dal dopoguerra. E ha voluto che fosse messa in mostra, a disposizione del pubblico, nel suo storico stabilimento emiliano, ripensato e riconvertito in galleria d’arte dall’architetto Andrew Hapgwood.

Con un pensiero che si potrebbe dire olivettiano, quelle opere aprivano sguardi nuovi agli operai della Max Mara. Oggi la Collezione vede aggiunte mostre temporanee e anche spettacolo dal vivo, in collaborazione con I Teatri di Reggio Emilia e il loro festival Aperto.

Penso a Sisifo (2)

Penso a Sisifo perché lo sto osservando. Lo ha scelto come eroe, o contro-eroe, un artista di primo piano nelle performing arts contemporanee, il greco 55enne Dimitris Papaioannou. È una creazione site specific, un trittico pensato apposta per questo luogo, e titolo completo è Sisyphus / Trans / Form.

Papaioannou - Sisyphus - ph Julian Moment

Sisifo è un tipo sulla quarantina, in completo nero. Piegato dal peso, trascina sulle spalle una enorme lastra che sembra un materasso, ma di cemento. A causa dei movimenti, l’oggetto perde continuamente qualche pezzo, schegge, frammenti, che si accumulano sul pavimento rendendo l’impresa sempre più difficile. Oltre che faticosa e assurda.

Impegnati in un compito assurdo sono pure altri uomini, Sisifi plurali, sempre in completo nero, che si muovono nello stesso spazio: scendono e salgono le scale, reggono tra le braccia, insensatamente, decine di chili di pietre, ruderi, calcinacci.

Papaioannou - Sisyphus - ph Julian Moment

Papaioannou è un genio dello spettacolo dal vivo, prestigiatore mago, un po’ come lo era stato Max Reinhardt negli anni ’30. E’ stato lui a ideare e realizzare la cerimonia di apertura dei Giochi olimpici di Atene nel 2004 (2428 comparse: dopo è scoppiata, come ricorderete, la crisi dell’economia greca) e anche l’apertura dei Giochi ‘europei’ del 2015 a Baku (Azerbaigian). Prendetevi dieci minuti per vedere che meraviglia di spettacolo è stato quell’evento. Il costo? Bazzecole per la rampante economia e per le ambizioni azere. Novantacinque milioni di dollari.

Papaioannou – che ha cominciato a lavorare come pittore, allievo di Yannis Tsarouchismagic anche in operazioni di minori dimensioni. Grezze come l’arte povera. Raffinate come l’arte concettuale. Potete dare un’occhiata ai titoli lo hanno reso noto anche in Italia (Primal Matter, Still Life, a cui Sisyphus deve molto, e The Great Tamer).

Da noi lo si considera in modo semplicistico un esponente della coreografia, ma è diversa la sua materia e anche la sua estetica: un’arte del corpo che sloga le membra, scompone e ricompone gli arti, espone fisici statuari e materia bruta. Come un anatomista infatuato dell’Arcimboldo. Impressionava e dava i brividi, per esempio, il duetto su un tavolo da obitorio di Primal Matter. Quello era uno spettacolo (anche molto premiato), Sisyphus è un’ installazione performativa, più vicina al manufatto d’arte, con cinque performer.

Papaioannou - Sisyphus - ph Julian Moment

Un’irrisolta questione di estetica si domanda se sono le opere che valorizzano la collezione o, al contrario, è la collezione che valorizza le opere. Qui il problema non si pone, perché i due estremi si parlano. Sisifo e Maramotti. Il mito nudo della Grecia e l’abbigliamento della casa di moda di Reggio Emilia.

Giocarsi le palle

Alla performance partecipa anche lo stesso Papaioannou, maestro di cerimonia, factotum. Sposta un grosso faro che serve a illuminare meglio le fatiche del suo Sisifo. Che a un certo punto, sembra davvero non farcela più. Al che, Papaioannou disinvoltamente, infila la mano nella patta dei pantaloni dell’eroe e ne estrae due palle. Di gomma, ovviamente, tipo tennis. Metaforicamente, ma nemmeno tanto, lo priva dei cosiddetti attributi.

Papaioannou - Sisyphus - ph Julian Moment

Così si avvia la seconda tavola dell’opera, Trans, che grazie a trasformazioni e inaspettate sostituzioni di membra, fa comparire dalle fratture di quella lastra, magicamente, al posto dell’uomo, una ragazza. Prima un polpaccio, poi un braccio, poi appare il busto, mentre l’addome slogato è ancora quello dell’uomo, il quale viene infine inghiottito, in un crepaccio del cemento. Da cui si liberano invece i capelli castani di lei e poi il viso, poi tutto il corpo. Papaioannou, le impone quindi le due palle, facendo di lei il nuovo capro espiatorio. O la capra. Che può indossare i pantaloni e la giacca dell’uomo. Vivere è sopportare. Lo diceva anche Camus.

Papaioannou - Sisyphus - ph Julian Moment

Un tipo spiccio, Papaioannou

Si potrebbe ricamare molto, sui significati che tutto ciò comporta. Spiccio e per niente mentale, Papaioannou lo lascia volentieri fare a chi guarda, mentre con altri tre performer prosegue spedito verso la terza tavola del trittico, Form.

Si tratta adesso di fissare su un muro, a diverse altezze, una trentina di tavole di legno, usando solo il corpo umano, niente chiodi, niente colle. Altra impresa, senza un senso apparente, che trasmette però, per via fisica, agli spettatori, la sensazione di insensatezza e futilità che talvolta pervade anche noi mortali. E alla quale non sappiamo opporci.

Papaioannou - Sisyphus - ph Julian Moment

Anche qui, numerosi ricami intellettuali potrebbero essere aggiunti. Lo lascio fare a voi, se pensate sia il caso, ricordando che oltre i pensieri – benvenuti comunque – resta sempre una comunicazione basica, somatica, cioè del corpo, che incide sulle percezioni e sulle sensazioni. E scatta quando siamo difronte a un performer che si muove, e compie azioni, mentre noi siamo a guardalo, magari fermi. È uno scherzo della neurologia. Avete mai sentito parlare di neuroni specchio? Allora andate a guardare su Google. Poi, prenoterete anche voi un biglietto per il nuovo spettacolo di Papaioannou.

Papaioannou (ph Julian Moment)
(ph Julian Mommert)

A dire il vero, il nuovo spettacolo di Papaioannou (Seit Sie / Since She, un omaggio a Pina Bausch) si è visto già in Italia. Ma ad assistervi, laggiù a Catanzaro, erano davvero in pochi. Sono le sorprese e misteri delle geografie d’Italia 

Seguite le bussole. Buone pratiche a NID 2019, un expo per ripensare la danza

(RE)Think Dance. Ripensare la danza. Lo raccomanda il titolo scelto per la quinta edizione di NID – New Italian Dance Platform, che si è tenuta appunto a RE, Reggio Emilia, nello scorso fine settimana.

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Harleking (ph. Andrea_Macchia)

È un invito ottimistico, certo. Ripensare la danza. Fosse per me, sarei anche più autoritario. Ripensate sì la danza. Quella contemporanea. Ma fate presto. Prima che la visibilità che si è conquistata in questi venti o trent’anni nel panorama italiano di spettacolo dal vivo non si riduca di nuovo. Per ripetitività, per egocentrismo, per noia, per quel danzare attorno a proprio l’ombelico, che è tipico di chi abita le nicchie.

E non raccontiamoci storie: la danza contemporanea italiana è nicchia.

Una crescita di rispetto

Rispetto a questa affermazione, NID – New Italian Dance Platform 2019 è un’iniziativa che procede in senso inverso. Nata nel 2012, sostenuta dal MinisteroBACT, affidata ai principali enti che si occupano della programmazione di settore e scandita da appuntamenti ogni due anni, NID è cresciuta un sacco negli scorsi bienni. Prima la Puglia, poi Pisa, Brescia, Gorizia (ne ho scritto su questo blog nel 2017), e adesso, tra i 10 e il 13 ottobre, Reggio Emilia, hanno trasformato un’idea in uno snodo indispensabile.Se dico hub va bene? Perché a Reggio Emilia, c’erano tutti. La Fondazione I Teatri, il circuito Ater, Aterballetto, insieme alla Regione Emilia Romagna, hanno fatto del loro meglio per dare loro accoglienza, assieme a rilievo e visibilità per questa quinta edizione.

Certo, diverso da un festival, NID 2019 è un expo. Dove gli artisti e le compagnie italiane, selezionate da una commissione, espongono le loro opere più o meno recenti. Così che tutti, i colleghi artisti, i programmatori, gli operatori, i direttori di festival o di circuiti, i giornalisti, e anche un po’ (un po’) di pubblico, possano vederli, giudicarli, se è il caso (molte volte lo è) criticarli. In definitiva, l’hub dove tutti – dicevo sopra – possano ripensarsi.

Non sono un critico di danza. Penso che di critica, in generale, ce ne sia anche troppa. E che sul contemporaneo ci vorrebbe un occhio diverso da quello che da più di un secolo ha definito le regole di questa professione. Se professione è rimasta.

masako matsushita dress_undress ph. Kylestevenson.com NID 2019
Masako Matsushita Dress/Undress (ph. Kylestevenson.com)

Territori nuovi. Dove avventurarsi

Ma a un appuntamento come NID ci vado volentieri. Perché rappresenta un termometro del presente. La bussola per avventurarsi in territori nuovi, che si stanno aprendo. Trasformarsi è nella natura delle cose.

Inoltre, se lo sguardo è lucido e – aggiungo – curioso e attento, un expo come NID aiuta a mettere da parte punti di vista preconfezionati, antiche convinzioni, spesso pregiudizi, che inevitabilmente ci si porta dentro.

Non mi stancherò ripetere che Chiara Bersani (a NID 2019 con Seeking Unicorns), Silvia Gribaudi (con Graces), Daniele Nianarello (con Pastorale), Alessandro Sciarroni e Francesca Pennini (che a Reggio Emilia però non c’erano), assieme ai più maturi Virgilio Sieni (Metamorphosis) e Bertoni/Abbondanza (La morte e la fanciulla) sono coloro che in questo decennio ci hanno fatto intravedere quei nuovi territori. Ma il bello, almeno per me, sta soprattutto negli altri. Quelli che conosco di meno, o proprio non conosco. Anche se di spettacoli abbastanza rodati si tratta.

E sui quali, solo con il mettermi dalla parte del pubblico, quel pubblico che dovrebbe crescere e non diminuire, provo a fare qualche osservazione. Che si può prendere come un invito a ripensamenti. Anche senza stare a citare maestri tipo Bausch, tipo Forsythe che, quelli sì, la danza l’hanno ripensata.

Allora, per non deludere il pubblico. Lavorate sui formati. Costruite drammaturgie. Provate un po’ a sorprenderci. Ma non siate provocatori a tutti i costi.
Faccio minuscoli esempi.

Lavorate sui formati

Si muovono molto bene Ginevra Panzetti e Enrico Ticconi. Se con movenze gattesche e demoniache la loro pantomima (Harleking) richiama la Commedia dell’arte, ci si legge entro anche l’attuale dinamica del potere e degli sgambetti politici. E funziona, tra raffinate citazioni dei Balli di Sfessania disegnati nel 1600 da Jacques Callot. Ma funziona sulla lunghezza dei 20-25 minuti. Se diventano il doppio, e qui succede, risultano stiracchiati e stufano.

Costruite drammaturgie

Parlano tanto Marco d’Agostin e Teresa Silva in Avalanche. Parlano cinque lingue, parlano a valanga appunto. E pur ammettendo che il linguaggio verbale sia quello più adatto a interpretare il mondo, alla fine dei loro 55 minuti, si resta indecisi su cosa portarsi a casa di questa performance, su cosa dire a chi vorrebbe che gliela raccontassimo.

Nella danza, la drammaturgia (il lavoro di senso delle azioni, potrebbe essere una veloce definizione) non è un’opzione e serve al pubblico per capire qual è il misterioso bisogno espressivo dell’artista. Così, nonostante abbia alle spalle un eccellente drammaturgo come il poeta latino Lucrezio, il De Rerum Natura del giovane e stimato Nicola Galli si avvantaggerebbe se qualcuno piegasse un po’ il suo bell’intuito coreografico a un più preciso orizzonte di senso.

Provate un po’ a sorprenderci

In Dress/Undress (vèstiti e spògliati) l’italo-giapponese Masako Matsushita, prodotta da Nanou, dispone a terra, in fila, quattordici reggiseni. Li indosserà uno a uno, in una maniera tutta sua, sempre la stessa, muovendosi a ginocchioni, lentamente. Così che già al terzo indumento sappiamo di dover arrivare, senza alcun terremoto emotivo, fino al 14esimo. Lo stesso succederà nel girone di ritorno, quando per togliersi le ventidue mutandine che indossa, la bella Masako ci farà pazientemente aspettare che si sfili anche l’ultima. Sorprese nessuna. Nostra pazienza tanta. Inoltre, 20 anni fa Jerôme Bell, che faceva indossare una sopra l’altra decine di t-shirt nella sua Shirtology, ci aveva già consegnato la ricetta.

NID 2019 Masako Matsushita Dress/Undress (ph. Kylestevenson.com)
Masako Matsushita Dress/Undress (ph. Kylestevenson.com)

Però non siate provocatori a tutti costi

Un filmetto porno, come quello proposto da Salvo Lombardo in Opacity #5, sta bene nella privacy del vostro computer. Ma se lo proiettate in pubblico e lo presentate come “critica all’emanazione di un sapere dominante e etnocentrico che identifica l’Occidente come unica fonte di narrazione e come origine nella produzione di significato” (trascrivo le note d’autore), sappiate che nessuno capirà che cosa abbia che fare quel coito esplicito con la critica del post-colonialismo.

E molte signore, del pubblico e della critica, si adombreranno.