Seguite le bussole. Buone pratiche a NID 2019, un expo per ripensare la danza

(RE)Think Dance. Ripensare la danza. Lo raccomanda il titolo scelto per la quinta edizione di NID – New Italian Dance Platform, che si è tenuta appunto a RE, Reggio Emilia, nello scorso fine settimana.

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Harleking (ph. Andrea_Macchia)

È un invito ottimistico, certo. Ripensare la danza. Fosse per me, sarei anche più autoritario. Ripensate sì la danza. Quella contemporanea. Ma fate presto. Prima che la visibilità che si è conquistata in questi venti o trent’anni nel panorama italiano di spettacolo dal vivo non si riduca di nuovo. Per ripetitività, per egocentrismo, per noia, per quel danzare attorno a proprio l’ombelico, che è tipico di chi abita le nicchie.

E non raccontiamoci storie: la danza contemporanea italiana è nicchia.

Una crescita di rispetto

Rispetto a questa affermazione, NID – New Italian Dance Platform 2019 è un’iniziativa che procede in senso inverso. Nata nel 2012, sostenuta dal MinisteroBACT, affidata ai principali enti che si occupano della programmazione di settore e scandita da appuntamenti ogni due anni, NID è cresciuta un sacco negli scorsi bienni. Prima la Puglia, poi Pisa, Brescia, Gorizia (ne ho scritto su questo blog nel 2017), e adesso, tra i 10 e il 13 ottobre, Reggio Emilia, hanno trasformato un’idea in uno snodo indispensabile.Se dico hub va bene? Perché a Reggio Emilia, c’erano tutti. La Fondazione I Teatri, il circuito Ater, Aterballetto, insieme alla Regione Emilia Romagna, hanno fatto del loro meglio per dare loro accoglienza, assieme a rilievo e visibilità per questa quinta edizione.

Certo, diverso da un festival, NID 2019 è un expo. Dove gli artisti e le compagnie italiane, selezionate da una commissione, espongono le loro opere più o meno recenti. Così che tutti, i colleghi artisti, i programmatori, gli operatori, i direttori di festival o di circuiti, i giornalisti, e anche un po’ (un po’) di pubblico, possano vederli, giudicarli, se è il caso (molte volte lo è) criticarli. In definitiva, l’hub dove tutti – dicevo sopra – possano ripensarsi.

Non sono un critico di danza. Penso che di critica, in generale, ce ne sia anche troppa. E che sul contemporaneo ci vorrebbe un occhio diverso da quello che da più di un secolo ha definito le regole di questa professione. Se professione è rimasta.

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Masako Matsushita Dress/Undress (ph. Kylestevenson.com)

Territori nuovi. Dove avventurarsi

Ma a un appuntamento come NID ci vado volentieri. Perché rappresenta un termometro del presente. La bussola per avventurarsi in territori nuovi, che si stanno aprendo. Trasformarsi è nella natura delle cose.

Inoltre, se lo sguardo è lucido e – aggiungo – curioso e attento, un expo come NID aiuta a mettere da parte punti di vista preconfezionati, antiche convinzioni, spesso pregiudizi, che inevitabilmente ci si porta dentro.

Non mi stancherò ripetere che Chiara Bersani (a NID 2019 con Seeking Unicorns), Silvia Gribaudi (con Graces), Daniele Nianarello (con Pastorale), Alessandro Sciarroni e Francesca Pennini (che a Reggio Emilia però non c’erano), assieme ai più maturi Virgilio Sieni (Metamorphosis) e Bertoni/Abbondanza (La morte e la fanciulla) sono coloro che in questo decennio ci hanno fatto intravedere quei nuovi territori. Ma il bello, almeno per me, sta soprattutto negli altri. Quelli che conosco di meno, o proprio non conosco. Anche se di spettacoli abbastanza rodati si tratta.

E sui quali, solo con il mettermi dalla parte del pubblico, quel pubblico che dovrebbe crescere e non diminuire, provo a fare qualche osservazione. Che si può prendere come un invito a ripensamenti. Anche senza stare a citare maestri tipo Bausch, tipo Forsythe che, quelli sì, la danza l’hanno ripensata.

Allora, per non deludere il pubblico. Lavorate sui formati. Costruite drammaturgie. Provate un po’ a sorprenderci. Ma non siate provocatori a tutti i costi.
Faccio minuscoli esempi.

Lavorate sui formati

Si muovono molto bene Ginevra Panzetti e Enrico Ticconi. Se con movenze gattesche e demoniache la loro pantomima (Harleking) richiama la Commedia dell’arte, ci si legge entro anche l’attuale dinamica del potere e degli sgambetti politici. E funziona, tra raffinate citazioni dei Balli di Sfessania disegnati nel 1600 da Jacques Callot. Ma funziona sulla lunghezza dei 20-25 minuti. Se diventano il doppio, e qui succede, risultano stiracchiati e stufano.

Costruite drammaturgie

Parlano tanto Marco d’Agostin e Teresa Silva in Avalanche. Parlano cinque lingue, parlano a valanga appunto. E pur ammettendo che il linguaggio verbale sia quello più adatto a interpretare il mondo, alla fine dei loro 55 minuti, si resta indecisi su cosa portarsi a casa di questa performance, su cosa dire a chi vorrebbe che gliela raccontassimo.

Nella danza, la drammaturgia (il lavoro di senso delle azioni, potrebbe essere una veloce definizione) non è un’opzione e serve al pubblico per capire qual è il misterioso bisogno espressivo dell’artista. Così, nonostante abbia alle spalle un eccellente drammaturgo come il poeta latino Lucrezio, il De Rerum Natura del giovane e stimato Nicola Galli si avvantaggerebbe se qualcuno piegasse un po’ il suo bell’intuito coreografico a un più preciso orizzonte di senso.

Provate un po’ a sorprenderci

In Dress/Undress (vèstiti e spògliati) l’italo-giapponese Masako Matsushita, prodotta da Nanou, dispone a terra, in fila, quattordici reggiseni. Li indosserà uno a uno, in una maniera tutta sua, sempre la stessa, muovendosi a ginocchioni, lentamente. Così che già al terzo indumento sappiamo di dover arrivare, senza alcun terremoto emotivo, fino al 14esimo. Lo stesso succederà nel girone di ritorno, quando per togliersi le ventidue mutandine che indossa, la bella Masako ci farà pazientemente aspettare che si sfili anche l’ultima. Sorprese nessuna. Nostra pazienza tanta. Inoltre, 20 anni fa Jerôme Bell, che faceva indossare una sopra l’altra decine di t-shirt nella sua Shirtology, ci aveva già consegnato la ricetta.

NID 2019 Masako Matsushita Dress/Undress (ph. Kylestevenson.com)
Masako Matsushita Dress/Undress (ph. Kylestevenson.com)

Però non siate provocatori a tutti costi

Un filmetto porno, come quello proposto da Salvo Lombardo in Opacity #5, sta bene nella privacy del vostro computer. Ma se lo proiettate in pubblico e lo presentate come “critica all’emanazione di un sapere dominante e etnocentrico che identifica l’Occidente come unica fonte di narrazione e come origine nella produzione di significato” (trascrivo le note d’autore), sappiate che nessuno capirà che cosa abbia che fare quel coito esplicito con la critica del post-colonialismo.

E molte signore, del pubblico e della critica, si adombreranno.

NID 2017. Che cosa viene dopo la coreografia?

È un po’ di tempo che continuano a girami in testa immagini di danza. Sarà perché la settimana scorsa, qui a Nordest, a Gorizia, alla NID Platform 2017, ne abbiamo fatto una scorpacciata.

Silphidarium (Francesca Pennini, 2016)
Silphidarium (Francesca Pennini, 2016)

NID, piattaforma contemporanea per la danza

In soli quattro giorni la piattaforma NID – che sta per New Italian Dance – è riuscita a portare a Gorizia, quassù sul confine, lontano dai grandi snodi dello spettacolo in Italia, più di quattrocento tra artisti, compagnie, operatori, programmatori, esperti, giornalisti e media, figure istituzionali: buona parte di coloro che formano il tessuto della danza contemporanea italiana. Ed è riuscita a mettere in fila in un long weekend, ben sedici spettacoli, sedici titoli che si sono distribuiti tra i quattro teatri che la città sull’Isonzo e la sorella slovena Nova Gorica avevano messo a disposizione.

Nel cartellone degli eventi anche due tavoli tematici su aspetti rilevanti della situazione attuale, un passaggio del testimone istituzionale tra regione Friuli Venezia Giulia e regione Emilia Romagna (per NID 2019) e un expo ininterrotto di produttori negli spazi del Centro Culturale Santa Chiara. La meccanica fluida degli eventi – approntata dagli organizzatori A.Artisti Associati e dal direttore Walter Mramor – assicurava tenuta e tempismo a un progetto che ha raccolto l’eredità dei NID svolti negli anni scorsi. Ma l’ha anche messa a punto, equilibrando la modalità artistica, quella promozionale e le opportunità di incontro tra chi lavora nel settore. Un’occasione formidabile – insomma – di visibilità, scambio, prospettive per tutti. Che tutti hanno apprezzato.

Silphidarium (Francesca Pennini, 2016)

La forza dell’esposizione

Sono rimasto a Gorizia per gli interi quattro giorni e ho seguito quasi tutto. Mi sono dilungato nel raccontare adesso come si è svolta NID Platform perché credo che un impianto organizzativo ben fatto, valorizzi in modo esponenziale il prodotto che intende promuovere. Mi è parso che programmatori e buyer nazionali e internazionali abbiamo trovato qui ciò che cercavano: la misura di ciò che coreografi e danzatori pensano, creano ed esprimono oggi in Italia. Qualcuno racconta che pure gli affari – spettacoli venduti e comprati, o almeno contatti avviati – sono andati bene. È un altro segnale di buona riuscita e un punto di merito per la commissione di sei membri (3 italiani e 3 stranieri) che ha fatto la cernita fra le proposte pervenute, e consegnato nelle mani dei sedici selezionati un momento di visibilità, altrimenti irraggiungibile.

A Room for all our Tomorrows (Igor e Moreno, 2015)
A Room for all our Tomorrows (Igor e Moreno, 2015)

Guardare indietro, guardare avanti

Diventa così più facile spiegare che i sedici titoli in programma a NID Platform rappresentavano un campione ampio, quasi esaustivo, delle diverse maniere in cui si crea danza contemporanea nel nostro Paese. E se contemporaneo significa odierno, è naturale che – oggi – ci siano artisti con lo sguardo rivolto al passato e artisti che lo puntano sul futuro. È l’incessante gioco di forze tra tradizione e innovazione: il solo che garantisce vita ai processi culturali, tanto più a quelli che si svolgono dal vivo, com’è questo. Il solo che possa tener conto dei diversi interessi dei diversi pubblici, che formano l’audience della danza.

Detto ciò, e premesso che il mio occhio e la mia inclinazione guardano più volentieri ai fenomeni di innovazione che non alla tradizione, metterò di seguito in fila quei tre-quattro spettacoli che mi sono sembrati incarnare meglio una tendenza, sulla quale da un po’ di tempo vado riflettendo.

 

Una danza post-coreografica?

In una delle due tavole tematiche ho provato anch’io a portare un contributo di riflessione che si potrebbe qui tradurre così: se nel teatro contemporaneo si è andata via via affermando una modalità post-drammatica (detta in maniera diversa: una fuga dai modelli con cui si è creato teatro negli ultimi tre secoli) possiamo anche supporre che esista, oggi nella danza, una modalità post-coroegrafica? voglio dire un modello di creazione in cui la componente coreografica non sia totalizzante, come lo è stata per buona parte del Novecento. Forse così, la domanda è un po’ troppo schematica, ma spero, che almeno ad intuito, qualcuno mi capisca.

 

Sopratutto penso che questa impressione sia rimbalzata vivace nella testa di chi, a Gorizia, ha visto le produzioni recenti firmate da Francesca Pennini, Alessandro Sciarroni, Silvia Gribaudi, Igor e Moreno. Quelle che più hanno suscitato negli spettatori intorno a me il dubbio: “si può ancora parlare di coreografia?”

Io mi domando invece: è davvero protagonista la coreografia se un computer e una sua applicazione video (in At Home Alone di Sciarroni, qui sotto), se una performer simpatica e oversize (nella creazione di Gribaudi, qui sopra), se un macchina da caffè espresso (in quella di Igor e Moreno) rubano la scena a quell’idea di danza che per un intero secolo si è concentrata sulle architetture mobili e sulle dinamiche del corpo?

 

Dovete essere davvero interessati, e disposti a una bella fatica, per arrivare a leggere fino a questo punto. Tanto più che adesso il post si è fatto troppo lungo per cominciare ad osservare assieme, più da vicino questi quattro titoli. Andate a rivedere intanto, se vi fa piacere, i video e i teaser che avete incontrato più sopra. E ne riparliamo con calma tra qualche giorno, al prossimo post.