Marta Cuscunà Earthbound. Perché il futuro è dietro la porta

Earthbound è il titolo del nuovo spettacolo di Marta Cuscunà. Uno sguardo contemporaneo su ciò che sarà il pianeta tra duecento anni.

“Non credo che ci trasformeremo in automi” ha detto qualche giorno al Festival della Letteratura a Mantova, il filosofo Slavoj Žižek. Uno che ha parecchio sèguito e uno sguardo spesso rivolto al futuro.

Eppure, già dal titolo del suo più recente libro Hegel e il cervello postumano è chiaro che secondo lui – garantista umano a oltranza – in qualcosa d’altro ci trasformeremo. 

Earthbound - Marta Cuscunà - ph Guido Mencari
Earthbound – Marta Cuscunà – ph Guido Mencari

In che cosa ci trasformeremo?

Magari in quelle strane creature, un po’ tricheco, un po’ pipistrello, che Marta Cuscunà immagina abitare il mondo nel 2425. Ce le presenta nel suo più recente lavoro teatrale Earthbound, lei, creatrice e performer che già nel 2018, in Il canto della caduta (vedi qui e anche qui) aveva tentato il salto nel tempo e gettato uno sguardo su una remota comunità che non sapeva che farsene della guerra. Millenni fa, naturalmente.

Cuscunà ora guarda avanti, molto avanti, e affascinata dalla fantascienza radicale di Donna Hataway, prova a immaginare, con i mezzi teatrali di adesso, quel che potrebbe essere l’orizzonte umano, post-umano, o trans-umano – lo scopriremo vivendo – di domani.

Però la fantascienza, anche la più avanzata, come questa creata da Haraway, eco-femminista statunitense, autrice del Manifesto Cyborg, non è una previsione di futuro. È invece – almeno a mio avviso – la capacità di leggere l’oggi da un punto di vista diverso da quello abituale e banale. Giornalistico, in definitiva.

Marta Cuscunà e un pupazzo - ph Guido Mencari
Earthbound – Marta Cuscunà – ph Guido Mencari

Posizione 2425

Seguiamo dunque Cuscunà e teletrasportiamoci assieme a lei nel 2425. Che sarà un mondo fortemente inquinato e infetto (proprio come quello odierno). Che vedrà le intelligenze artificiali svolgere tutti i compiti di routine (come succede già oggi). Un mondo in cui l’homo sapiens si abituerà a convivere con altre creature che si saranno evolute grazie a salti di specie (e anche su questo oggi siamo abbastanza ben informati, e perfino vaccinati).

Il futuro insomma è dietro la porta. Anzi, è già entrato.

EarthBound. Legati al pianeta, dipendenti dalle tecnologie

Pure il vocabolario usato dalle future creature sembra quello contemporaneo. Parole come connessione, abilitazione, sincronizzazione, tornano spesso, a ricordarci che ieri, come oggi e come domani, siamo stati e saremo sempre dipendenti dalla tecnologia.

Molti millenni erano la fusione e la lavorazione dei metalli. Ci si sono poi messi la polvere da sparo, il motore a vapore, quello a scoppio, quello elettrico, e infine Steve Jobs e Bill Gates, ad asciugarci il sudore della fronte e a indirizzarci verso una vita sedentaria.

Quella che le future creature di Earthbound sembrano esercitare nel loro habitat, ora spiaggiate sopra uno scoglio, ora appese per le zampe a un ramo, oppure rannicchiate come una pianta cactacea nella propria comfort zone.

Earthbound. Abitanti di un’enorme sfera che gira

Nell’impianto scenografico che Paola Villani ha preparato per Earthbound c’è una enorme sfera abitata che gira. E lascia di volta in volta intravedere questi nuovi esseri – simbiogenetici scrive Haraway – cui le leggi del sovrapopolamento hanno ostacolato la riproduzione. Oppure dà visibilità a esseri decrepiti e fisicamente impotenti (in pratica, la nostra specie, oramai prossima all’estinzione). 

Earthbound - Marta Cuscunà - ph Guido Mencari
Earthbound – Marta Cuscunà – ph Guido Mencari

Di lato, Villani ha collocato un alberello stentato, per dire che la natura naturans comunque esiste ancora. E si potrebbe in qualche modo farla rifiorire, grazie alle tecnologie green, naturalmente.

A fare la spola tra la sfera e l’alberello c’è Marta Cuscunà, che si muove veloce e disinvolta su un monoruota (se non immaginate che cos’è, vedetevi questo link) e dà voce a una futura intelligenza artificiale. Non troppo diversa però dall’Alexa contemporanea di Amazon (vedi qui un mio post su di lei), anche nelle numerose e divertenti defaillance di cui è zeppa la vita degli/delle assistenti digitali di oggi.

Marta Cuscunà - ph Guido Mencari
Earthbound – Marta Cuscunà – ph Guido Mencari

Animatronica

Dovessimo usare parole difficili, diremo che la distopìa annunciata da Donna Haraway e portata in scena da Cuscunà, con pupazzi animatronici (cioè meccanismi rigorosamente mossi a mano) è un’immagine dello stato di equilibrio delle società odierne.

La contesa tra la spinta all’innovazione avventurosa e le sicurezze riposte nella tradizione. O con più semplici parole, l’inestinguibile battaglia tra progressisti e conservatori, tra gli integrati e gli apocalittici che Umberto Eco immaginava scontrarsi nella cultura di massa. E che oggi si è trasferita, nel mondo occidentale almeno, ai consumi di massa. Letali, come si sa, per la sopravvivenza del pianeta.

Gli aggeggi aninatronici di Earthbound - ph Guido Mencari
Gli aggeggi aninatronici di Earthbound – ph Guido Mencari

Su questo Haraway e l’antropologo francese Bruno Latour (da cui Cuscunà ha ripreso il titolo Earthbound) hanno parecchie cose da dire.

Gli spettatori più attenti sapranno coglierle e ci rifletteranno sopra. Io per esempio vi ho scorto la somiglianza tra intelligenze artificiali e immortalità dello spirito. Che è un pensiero parareligioso.

Altri, meno portati a sognare il futuro, potranno seguire la favola , ma senza entusiasmarsi troppo. Perché l’avvenire non è materia per tutti i palati.

Se vi interessa tuttavia sapere qualcosa di più su Haraway e sul suo romanzo, andate qui e buona lettura.

Oppure guardatevi questo video:

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EarthBound
ovvero le storie delle Camille

liberamente ispirato a Staying with the trouble di Donna Haraway
di e con Marta Cuscunà
scena Paola Villani
assistenza regista e scenografica Marco Rogante
produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, CSS Teatro stabile di innovazione del FVG, Etnorama
con il sostegno di São Luiz Teatro Municipal (Lisbona)
con il supporto di Istituto Italiano di Cultura di Lisbona, i-Portunus, A Tarumba – Teatro de Marionetas (Lisbona)

Marta Cuscunà: il canto delle altre muse

Oggi a Milano, nella serata finale organizzata dal trimestrale di teatro e spettacolo Hystrio, Marta Cuscunà riceverà il Premio Hystrio – Altre Muse.

Sono passati dieci anni giusti da quando È bello vivere liberi, il primo titolo di Marta Cuscunà, riceva il Premio Scenario per Ustica. Creato “per un’attrice, cinque burattini e un pupazzo”, lo spettacolo raccontava la storia di Ondina Peteani, staffetta partigiana (1925-2003), una donna indipendente e anticonformista che era cresciuta nella stessa Venezia Giulia in cui è crescita anche lei, Marta, altrettanto indipendente, di sicuro non conformista.

La storia teatrale di Cuscunà è continuata in questo decennio, con altri titoli. Tra i quali La semplicità ingannata (2012), Hello, boys (2015), Etnorama 34074 (2017), Il canto della caduta (il più recente, dello scorso ottobre). Spettacoli che le sono valsi premi, riconoscimenti, attestati di qualità e di stima.

L’intervista

“I premi sono stati per me una spinta, un trampolino di lancio, un autentico sostegno economico. Ma sarebbe anche bello che coloro che li assegnano riuscissero a ideare per il futuro delle forme nuove di valorizzazione degli artisti, non basate su logiche di competizione e gerarchie di valore”. 

Proviamo a spiegarlo attraverso la tua storia.

“Nella mia esperienza i premi sono qualcosa di diverso rispetto a una pagella e a seconda di come vengono pensati, possono avere valore e finalità diverse. Il mio percorso artistico è iniziato nel 2009 con il Premio Scenario per Ustica, che consisteva innanzitutto in un piccolo budget per allestire lo spettacolo, in un numero di repliche prestabilito per farlo girare, una grande visibilità, ma soprattutto un percorso di selezione con obiettivi e scadenze precisi che mi hanno guidata nella realizzazione del mio primo progetto indipendente”. 


“Significativo è stato anche il Premio Rete Critica che prevedeva un momento di confronto con la giuria e il pubblico. Per Rete Critica ho realizzato insieme a Paola Villani e Marco Rogante (rispettivamente la scenografa e l’assistente alla regia di Sorry, boys) il primo Making of di uno dei miei lavori. Cioè un racconto performativo del percorso di creazione che sta dietro allo spettacolo. Un format che poi ho scelto di replicare anche per l’ultima produzione Il canto della caduta, perché riesce a dare ulteriori chiavi di lettura per la fruizione dello spettacolo”.

Ora è la volta del Premio Hystrio, e lo ricevi per la categoria Altre Muse. Ritieni che questa categoria abbia un particolare significato?

“Mi sembra incoraggiante che un riconoscimento prestigioso come il Premio Hystrio cerchi di valorizzare un progetto artistico come il mio, che è un po’ fuori dagli schemi del teatro italiano. Mi piace pensarlo più come un’assunzione di responsabilità da parte di chi osserva con occhio critico il lavoro d’arte, vuol dire che è possibile aprirsi a una pluralità di forme teatrali nuove”.


Prova a tirare le fila di questi tuoi dieci anni in scena.

“Mi sento molto privilegiata: sono riuscita a realizzare i miei spettacoli grazie all’impegno di realtà italiane e straniere che condividono un’impostazione coraggiosa e anticonformista delle scelte produttive. Il merito principale è di Barbara Boninsegna, direttrice artistica di Centrale Fies, che oltre a ospitarmi in lunghissime residenze artistiche, è sempre stata disponibile a sperimentare metodi di produzione inconsueti come il microcredito (che prevedeva da parte mia la restituzione delle quote di finanziamento) oppure la costruzione dei pupazzi attraverso un processo di prototipizzazione, simile a quello usato nella produzione industriale ma decisamente inconsueto per i laboratori di scenografia italiani”.

Questa sera, a Milano, avrai accanto gli altri premiati Hystrio 2019: Alessandro Serra (regia), Paolo Pierobon (interpretazione), Lucia Calamaro (scrittura), Simona Bertozzi (coreografia), il Teatro dei Gordi (compagnia emergente). Che cosa ti interessa, adesso, nel lavoro dei tuoi colleghi?

“Grazie al progetto Fies Factory, ho la fortuna di seguire da vicino il percorso artistico di Anagoor e Sotterraneo, che spesso arrivano agli spettacoli dopo lunghe ricerche teoriche e multidisciplinari. Con i loro lavori ho la sensazione di vedere qualcosa che è sempre in bilico tra teatro e performance, che sfugge alle definizioni e per questo mi coglie di sorpresa”. 

Marta Cuscunà - Il canto della caduta
Il canto della caduta (2018)

“Per me il teatro, come la letteratura e la musica, ha questa capacità incredibile: arrivare al destinatario in diverse forme, alcune delle quali non passano direttamente dalla comprensione razionale dell’opera o del suo messaggio. E se qualcosa ti sconvolge in modo inaspettato, forse può nascere in te la necessità di farti delle domande, di cercare un senso senza aspettare che qualcuno te lo fornisca già confezionato”.

È bello vivere liberi ripercorreva la vicenda di Ondina Peteani, prima staffetta partigiana, tua conterranea. È stata la tua regione, il Friuli Venezia Giulia, a darti la prima spinta per raggiungere i tuoi traguardi?

“Devo molto a questa terra che nel periodo dell’adolescenza mi ha offerto molte occasioni per coltivare aspirazioni e talento. Qui avevo trovato festival e stagioni teatrali che ospitavano spettacoli di ricerca italiani e stranieri, luoghi di aggregazione giovanile in cui sperimentare i miei progetti, attività culturali di alto livello culturale, spesso completamente gratuite”.

Marta Cuscunà
Sorry, boys – backstage

Mentre ora… 

“Molte di queste realtà non esistono più o sono state snaturate da una politica miope e faziosa che priva la cultura della sua funzione primaria: aiutare una comunità a ragionare su se stessa attraverso un pensiero che rispecchia la complessità del mondo. Io comincio a sentirmi stretta in un contesto così impoverito. Rimangono dei luoghi a cui mi sento più affine come il Css di Udine, alcune realtà teatrali che fanno parte del circuito dell’Ert, il Teatro Miela di Trieste e dei piccoli miracoli di fermento culturale come la Biblioteca di Ronchi dei Legionari”.

[questa intervista è stata parzialmente pubblicata domenica 9 giugno 2109 sul quotidiano IL PICCOLO].

Se vuoi leggere di più

In questi dieci anni su Marta Cuscunà ho scritto parecchio. Ecco ad esempio le mie riflessioni su È bello vivere liberi, su La semplicità ingannata, su Sorry, boys, su Etnorama 34074 e su Il canto della caduta.

Se il Bengala mette le zampe su Monfalcone. La mitologia locale secondo Marta Cuscunà

Nei cantieri navali che hanno visto nascere le più grandi fra le principesse dei mari – Crown Princess, Regal Princess, Majestic Princess – una tigre si aggira indisturbata, semina il panico, fa vittime. Come in un mito indiano e seguendo l’ispirazione di un antropologo indiano, Marta Cuscunà legge il presente della sua città. E lo aggiunge al mosaico di Ritratto di una nazione. Da questa sera al Teatro di Roma.

Etnorama 31074 - Marta Cuscunà

È un viaggio in Italia. Non come quello di Goethe, alla ricerca di antichità e bellezza. È un viaggio, invece, attraverso i punti sensibili del Paese contemporaneo, osservato e sezionato con il bisturi del lavoro.
Un progetto speciale apre questa sera la stagione 2017/2018 del Teatro di Roma. Il titolo è Ritratto di una nazione. L’Italia al lavoro. La formula in due fasi prevede venti brevi pièce teatrali che, per ciascuna regione, inquadrano un punto critico, uno snodo dal quale guardare la complessità di una trasformazione in corso, di cui nessuno conosce l’esito né la durata.

ritratto-nazione-1

Quassù a Nord-est

Uno di questi venti capitoli, quello che punta sul Friuli Venezia Giulia e si intitola Etnorama 34074, nasce dal lavoro di drammaturgia di Marta Cuscunà, performer che a Monfalcone e a un frammento del suo passato prossimo aveva dedicato già il primo lavoro È bello vivere liberi! Poiché ne vive il quotidiano, Cuscunà conosce bene la linea di faglia che nella città dei cantieri interseca lavoro e immigrazione.
“Monfalcone si sta trasformando – dice – temo di non riconoscere più la storia particolare, operaia, di questa città. Il tema dell’immigrazione coinvolge tutti, anche chi si sentiva distante dalla politica, anche chi continua a dimostrare buona volontà nei confronti del problema. Nessuno è escluso. Mi preoccupa un conflitto sociale che si sta esasperando e non sarà senza conseguenze”.

Etnorama 34074

È ciò che Cuscunà prova a raccontare nei 30 minuti del suo testo, nel quale disegna il contorno di una comunità che si oppone al desiderio di un gruppo di ragazzini di giocare a cricket. Cosa spinge i monfalconesi a impedire loro di giocare? È che si tratta di ragazzini di origine bengalese?
“Mentre seguivo la vicenda che ha occupato le recenti cronache locali – prosegue Cuscunà – leggevo anche il saggio intitolato Modernità in polvere in cui l’autore, l’antropologo statunitense di origine indiana Arjun Appadurai, studia i flussi culturali globali. Il cricket, ci spiega Appadurai, è uno degli elementi che in epoca coloniale è servito a costruire l’identità indiana. Così che nel mondo post-colonialista un modo di vita tipicamente inglese è diventato tipicamente indiano”.
Tanto da alimentare l’ironico paradosso secondo il quale gli “ultimi inglesi viventi” sono proprio gli indiani. La storia dei cantieri navali ha rappresentato d’altra parte il motivo di identità della città conosciuta proprio per le sue grandi navi da crociera. Ecco perché in Etnorama 34047 (il numero rappresenta il C.A.P di Monfalcone), tra simboli, mito e realtà, una tigre compare all’improvviso tra gli operai del Cantiere, semina il panico, fa vittime. Una tigre del Bengala, ovviamente.

Etnorama 31074 - Marta Cuscunà

“La città – conclude Cuscunà – e i suoi luoghi di lavoro sono stati coinvolti da un discorso in cui a prevalere è l’aggressività. Non occorre aver letto libri di antropologia per capire che il cricket ha a che fare con un’identità alla quale gli immigrati dal subcontinente indiano cercano di dare un nuovo contesto, modellato sul territorio in cui si trovano a stare. Molti la percepiscono come un’invasione”.

Il ritratto di una nazione

Tra i dieci autori che hanno collaborato alla prima fase di Nascita di una nazione ci sono anche scrittori come Vitaliano Trevisan, Michela Murgia, Wu Ming 2, performer come Davide Enia e Saverio La Ruina, interpreti come Giuseppe Battiston, Michele Placido, Francesca Mazza (sarà la protagonista del pezzo di Cuscunà, che ha la regia di Fabrizio Arcuri).

La prima fase di Ritratto di una nazione. L’Italia al lavoro va in scena dall’11 al 16 settembre. Qui trovi il programma.

immagini fotografiche (1. e 3.) Futura Tittaferrante