Non la fede, non la speranza, ma la carità: l’ultima delle virtù. Caridad si intitola la più recente creazione di Angélica Liddell. Ha debuttato lo scorso autunno al festival Temporada Alta di Girona e adesso è stata ospite per due serate all’Arena del Sole di Bologna, per Ert Fondazione che ne è anche co-produttore. Un’altra fra quelle opere estreme a cui l’artista spagnola ha abituato i pubblici di tutta Europa.

You are my destiny
Al proprio destino non si sfugge. O perlomeno alla propria indole. Angélica Liddell flirta con la morte da quando era bambina e trascorreva la giornate in un collegio di suore. È un rosario l’elenco dei titoli dei suoi lavori – sia quelli pensati per la scena sia quelli di letteratura – che alla morte inesorabilmente ritornano.
Un assillo. Un’ossessione. Come quei crocifissi lugubri e maestosi, quelle deposizioni, quelle torture e quei martiri, che ornano le oscurità delle cattedrali di Spagna, tra fumo di candele e cera di rose. La morte come habitat.
Basta sfogliare i titoli, le copertine, i manifesti delle sue opere, anche quelle più premiate: Greta vuole suicidarsi, Suicidio d’amore per un defunto sconosciuto, Cane morto in tintoria. Oppure Liebestod, che equivale a morir d’amore, e abbiamo potuto vedere lo scorso anno, proprio qui a Bologna.

Sangue e arena
Angélica Liddell è però cambiata da quando si infliggeva sofferenze taglienti e sanguinava davanti ai nostro occhi (Ti renderò invincibile con la mia sconfitta). Da quando percuoteva con sassi le proprie parti intime rivendicando il diritto alla sterilità (Lesioni incompatibili con la vita). Da quando fotografava le proprie depressioni e le notti trascorse in vuote stanze d’albergo (fino a qualche anno fa esisteva in rete la galleria di questi autoritratti, in un sito oramai defunto) .
Oggi, più vicina ai sessantanni, contempla la morte da una certa distanza. La giusta distanza di chi è ancora vivo. E del morire apprezza soprattutto il valore estetico. O estatico. La bellezza ultima e irripetibile. E la esibisce in grande formato.
In Liebestod, la sua dichiarazione d’amore per il toreador Juan Belmonte, 50 trafitture e un finale suicida, diventava uno spettacolo maestoso, con i quarti di bue (idealmente, di toro) appesi ai ganci nel bel mezzo del palcoscenico. Bellissimi. Non per tutti, ovviamente.

Chi inventò la ghigliottina?
Di quello spettacolo del 2021, Caridad è adesso il proseguimento ideale. Sottotitolo: un’approssimazione alla pena di morte divisa in nove capitoli. Però la frenesia e l’odore del sangue che allora mi avevano colpito come banderillas infilate nella carne, qui non ci sono.
Caridad è un trattato, una dissertazione lucida sul vivere, o meglio sul morire. Una creazione didattica, una collezione di citazioni e exempla.
Tanto per dire: nel sesto dei nove capitoli, a un gruppo di bambini in scena, visitatori di un qualche Museo delle Atrocità, viene spiegata per filo e per segno la storia della ghigliottina. I piccoli, senza stupore alcuno, apprendono che fu un fabbricante di clavicembali a inventarla e che il suo utilizzo celebrava un sacrosanto principio di uguaglianza umana. La lama non guarda in faccia nessuno.
Vengono inoltre informati in dettaglio su come una ghigliottina funziona. E chissà se un brivido mi percorre mentre immagino che ai piccolini piacerebbe anche sperimentarlo, quel marchingegno. Su un bambolotto, beninteso.

Gli organi del pudore e dell’orrore
Chissà poi se, dal camerino dietro la scena, sempre loro, riescono a sentire il Capitolo Sette. Nel quale si racconta la storia di Gilles de Rais, condottiero francese famoso per essere stato compagno d’armi di Giovanna d’Arco. Ma più famoso ancora per la efferatezza con cui rapiva, sodomizzava, torturava, uccideva e squartava le sue piccole vittime. Per diventare, nell’immaginario popolare, il precursore di Barbablù.
A Liddell piace insomma toccare i settori più delicati della nostra sensibilità, i nostri tabù, gli organi del pudore e dell’orrore. E in questo sta il potere magnetico dei suoi spettacoli.
Non occorre essere letterati per intuire, dietro al raccapricciante racconto, la devozione dell’artista spagnola per Georges Bataille (Il processo di Gilles de Rais) e Pier Paolo Pasolini (Salò). Ma anche Hermann Nitsch e Marina Abramović sono riferimenti presenti. E poi, come costanti oggetti d’affezione, De Sade, Godard, persino il Beckett più crudele. Tutti citati.
In che modo tutto quell’orrore abbia che fare con il titolo Caridad si intuisce a poco a poco. Anche se fin dall’inizio Liddell ci aveva informati quanto sia stata impressionata osservando Caritas romana, un quadro di Rubens, e non solo.
Vi si vede Cimone, uomo anziano, colpevole, incarcerato, condannato a morire di fame, che viene però allattato, per carità, dalla figlia. Per quel gesto caritatevole, viene infine graziato. “L’arte può finalmente regnare al di sopra della legge” sostiene Angélica. Nome celestiale.

“Io credo nell’innocenza delle azioni – dice – Osserva bene il peggiore degli assassini e vedrai un uomo innocente. (…) Credimi è una questione di sacrificio. Il giustiziato ci redime, che sia colpevole o innocente, tra l’altro, in quanto è sempre innocente. Questo implica anche l’accettazione totale della natura umana. (…) La nostra salute dipende dai condannati, dai criminali“. Nemmeno Jean Genet la metteva giù così bene.
Lei preferisce citare Matteo evangelista. “Signore, quante volte dovrò perdonare mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte?”. E Gesù gli rispose: “Non dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette” (Matteo, 18, 21-22). Carità, perdono.

La caritas romana, quel gesto iconico di carità filiale, reso immortale da Rubens, Liddell lo riproduce tale e quale, ricordandoci nel frattempo che il latte oggi si ottiene con mungitrici meccaniche a controllo digitale, protagoniste del Capitolo Uno.
Così come protagoniste del Capitolo Due sono attrezzi per la pulizia dei pavimenti che accuratamente ripuliscono e igienizzano il palcoscenico, invaso da tutto quel latte versato.
Pasolini forever
Non mancano altre riproduzioni dal vivo. Il famoso fotogramma del pasoliniano Fiore delle mille e una notte, in cui Ninetto Davoli tende un arco con freccia a forma di fallo dorato, e lo punta nell’ovvia direzione auspicata dalla sua amata, diventa anche esso un tableau vivant.
E prima e poi, poi in rapide carrellate: due schermidori paralimpici che duellano su sedie a rotelle, un coro di laringectomizzati che cantano, un uomo e un cane disabili con protesi per la deambulazione, un cinghiale impagliato, due alligatori finti, pecorelle vive. E fiori, fiori: rose rosse, calle bianche, rami d’ulivo.

Per non parlare delle frequenti occasioni in cui il sesso (magari non esplicito, ma certo esplicitato) diventa occasione di scandalo, o morbosità, o imbarazzo, o ironia, o noia. A seconda del vissuto di ogni singolo spettatore.
Topics
Ed è a questo punto che mi viene in mente quanto l’estremismo di Liddell vada inquadrato in quel contesto di formule che si rincorrono nel contemporaneo teatro europeo occidentale. Registrati sotto l’etichetta del post-drammatico, mi sembra di rivedere tutti i topic che rendono allettanti le rappresentazioni agli occhi dei pubblici più avanzati d’oggi.
Bambini in scena. Testi proiettati sul fondale. Colonne sonore che alternano il barocco (preferibilmente Bach) e il pop (preferibilmente anni ’60). La presenza di animali, morti o vivi. L’esibizione di corpi non-normalizzati, feriti, amputati, spesso denudati. La minacciosa presenza di protesi e macchine.
Tutto ciò in Caridad c’è.

E allora penso, non per la prima volta, che fare spettacolo oggi, circuitarlo nei i maggiori palcoscenici europei, diventare l’oggetto di desiderio di festival e manifestazioni, sia frutto di un equilibrio delicato tra originalità (e questo per Liddell non si discute) e i luoghi comuni di un teatro-merce, largamente apprezzato dal pubblico.
Una bilancia accurata, in equilibrio, che da una parte invoca le ragioni alte e singolari dell’artista (“Non mi interessa il contemporaneo, ma l’eterno“) e dall’altra sa quanto siano indispensabili, al seguito, un bravo manager e un bravo commercialista.
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Il testo di Caridad, nella traduzione di Silvia Lavinia, è pubblicato da Luca Sossella Editore nella collana Linea a cura di Debora Pietrobono e Sergio Lo Gatto.
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Angélica Liddell parla di Caridad:
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CARIDAD
testo, scene, costumi e regia Angélica Liddell
con David Abad, Yuri Ananiev, Federico Benvenuto, Nicolas Chevallier, Guillaume Costanza, Angélica Liddell, Borja López, Sindo Puche
coro di laringectomizzati Shout at Cancer: Guy Vandaele, Frank Meeus e Andrew Pett
scherma paralimpica Alex Prior (campione di Spagna in modalità sciabola) e Ayem Oskoz
luci La Cía de la Luz (Pablo R. Seoane)
paesaggio sonoro Antonio Navarro
traduzione sovratitoli in italiano Silvia Lavina
produzione Iaquinandi S.L, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Festival Temporada Alta Girona, CDN Orleans Centre Val de Loire, Teatros del Canal Madrid