Verona è un bosco. Mario Martone esplora Romeo e Giulietta

Mario Martone porta in scena Romeo e Giulietta. Trentuno interpreti schierati davanti al pubblico entusiasta del Piccolo Teatro di Milano.
Quel pubblico che ha fiuto, che da sempre sa apprezzare, e vigorosamente applaude i grandi allestimenti. Lo faceva con Strehler. Lo faceva con Ronconi. Oggi lo fa con Martone.
In Italia, la grande regia continua.

Mario Martone - Romeo e Giulietta - ph Masiar Pasquali
Romeo e Giulietta – ph Masiar Pasquali

Lacrime e adrenalina

L’intenzione – se ho capito bene ciò che ha detto nelle interviste – era dare a Romeo e Giulietta nuova vita. Conservare la storia, la potenza, la fortuna del più famoso fra i testi di Shakespeare. E allo stesso tempo liberarlo da croste, letture grigie, antiquate traduzioni. E da quella mitologia, teatrale e turistica assieme, che porta oggi a Verona milioni di persone. 

Mario Martone – se ho raccolto a dovere i tanti fili dello spettacolo – c’è riuscito. Come gli è capitato spesso di fare con i suoi allestimenti musicali (Barbiere e Traviata, per esempio). 

Oggi consegna al maggior palcoscenico contemporaneo italiano, quella combinazione di altezze e di bassifondi, di poesia e trivialità, di comico e tragico, che di sicuro c’era ai tempi in cui, con gli stessi ingredienti, il giovane Shakespeare catturava il pubblico di una Londra aristocratica e ultrapopolare, capace di lacrime per la acerba e funesta storia d’amore, ma anche di adrenalina davanti al sangue e ai pestaggi di giovani bande rivali. 

Mario Martone - Romeo e Giulietta - ph Masiar Pasquali
ph Masiar Pasquali

“Sono partito proprio dall’età – scrive il regista – da questo mondo minorenne misterioso, ambiguo, tutto da esplorare, come nel testo di Shakespeare, che ci avverte che non sempre tutto è scritto; quindi molto va cercato, interpretato”

Missione compiuta, direi. Come era compiuto il ribaltamento geniale, sessant’anni fa, di Sondheim e Bernstein in quella West Side Story (1961) di bianchi e portoricani. O più tardi di Baz Luhrmann, nel californiano William Shakespeare’s Romeo + Juliet (1996), reinventato per Leo Di Caprio e Claire Danes a Verona Beach, periferia pulp di Los Angeles.

Sballati e attaccabrighe 

Niente Verona nemmeno per Martone. Né balcone né cripta. E invece, con maestoso colpo di scena, un bosco lussureggiante, un intrico d’alberi, di foglie, di rami, camminamenti pericolosi, una stellata notte del cuore, questa è Verona.

Ma anche nuvole video, ombre minacciose dentro le quali si nascondono e si dipanano l’amore e i coltelli, Bach e l’house da discoteca, dance party e aperitivini. E inoltre birrette, caffè, occhiali da sole, felpe con il cappuccio, rottami polverosi e la jeep per il fuoristrada.

Mario Martone - Romeo e Giulietta - ph Masiar Pasquali
ph Masiar Pasquali

Segni contemporanei, ma non è un’attualizzazione. È uno Shakespeare infiltrato dal presente, cortocircuito tra il volo metaforico delle battute più celebri (dove cantano allodole e usignoli, dove la luce erompe da est) e l’aggressivo vocabolario di una treccani aggiornata. Nella quale daspo (che poi sarebbe l’esilio) e troia rifulgono alla luce blu delle sirene dei carabinieri. I Capuleti e i Montecchi di uno Shakespeare alcolico, sboccato, sballato, scurrile. 

Credo che la scena boschiva e strepitosa di Margherita Palli e la traduzione di Chiara Lagani a cui Martone aggiunge il propio carico di slang, sapranno rendere Shakespeare digeribile anche al pubblico delle scuole. Che di Capuleti e Montecchi ignora – per quella che è la mia esperienza – persino il nome

Grintosi, ribelli, delicati

Dentro al cast sornione, nel reparto genitoriale, Martone dispiega alcuni tra i nomi pop della scena italiana oggi, fra i più capaci di caricare di colore quei personaggi che edizioni banali di Romeo e Giulietta avevano ingrigito, per puntare al plot romantico.

Qui invece c’è grinta di Licia Lanera (che da balia si svela audace zia), di Michele Di Mauro, (festaiolo e irascibile boss dei Capuleti), di Gabriele Benedetti (che si fa frate condiscendente e parlaccione), di Letizia Guidone (una madre Capuleti avvolta in vestaglie di seta da dark lady). 

Gabriele Benedetti in Romeo e Giulietta - ph Masiar Pasquali
ph Masiar Pasquali

Atletico e fumantino è poi il reparto adolescenziale. Ribelli senza causa, attaccabrighe selvatici pronti per un niente a venire alle mani e alle lame. Velocissimi ad arrampicarsi sugli alberi o a improvvisare una band canterina, basso, chitarra, percussioni. Capaci anche di esaltanti performance orali. Al monologo della regina Mab, Alessandro Bay Rossi, assicura l’impeto di uno poetry slam di scatenata fantasia. E non gli sono da meno Leonardo Castellani (Tebaldo) e Edoardo Sabato (Benvolio). Persino a Paride, insipido e sfortunato promesso sposo, Emanuele Maria Di Stefano dà una sua drammatica dignità.

Francesco Gheghi e Anita Serafini - Romeo e Giulietta - Piccolo Teatro Milano
ph Masiar Pasquali

Ma a fissarsi nella memoria degli spettatori saranno – ne sono sicuro – la delicatezza e la sicurezza con cui i giovanissimi Francesco Gheghi (19 anni) e Anita Serafini (15 anni) affrontano parti che, da quando Shakespeare le ha messe su carta, mettono i brividi a qualsiasi attore, con ben più esperienza.

Il suo Romeo timidino, la sua Giulietta imbronciata, sono gli assi vincenti di questa produzione allestimento. Sembra davvero che incontrino quell’amore che si incontra per la prima volta. Sembra che bevano davvero il veleno fiabesco che li uccide. Ma che da più di quattro secoli li rende anche immortali.

In scena al Piccolo Teatro di Milano, fino al 6 aprile

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ROMEO E GIULIETTA
di William Shakespeare
traduzione Chiara Lagani
adattamento e regia Mario Martone
scene Margherita Palli
costumi Giada Masi
luci Pasquale Mari
suono Hubert Westkemper
video Alessandro Papa
regista assistente Raffaele Di Florio

con (in ordine alfabetico) Alessandro Bay Rossi, Gabriele Benedetti, Leonardo Castellani, Michele Di Mauro, Raffaele Di Florio, Emanuele Maria di Stefano, Francesco Gheghi, Jozef Gjura, Lucrezia Guidone, Licia Lanera, Anita Serafini, Benedetto Sicca, Alice Torriani

e con Leonardo Arena, Giuseppe Benvegna, Francesco Chiapperini, Carmelo Crisafulli, Giacomo Gagliardini, Hagiar Ibrahim, Francesco Nigrelli, Libero Renzi, Federico Rubino
e gli allievi del Corso Claudia Giannotti della Scuola di Teatro Luca Ronconi del Piccolo Teatro di Milano: Clara Bortolotti, Giada Ciabini, Ion Donà, Cecilia Fabris, Sofia Amber Redway, Caterina Sanvi, Edoardo Sabato, Simone Severini

produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa

Come ti chiami? “Alexa”. Che mestiere fai? “Vorrei fare l’attrice”

Cercavo un argomento un po’ natalizio per questo post. All’improvviso mi si è presentata davanti lei. Ciao, come ti chiami? le ho detto. “Il mio nome è Alexa“. Senti Alexa, parliamo un po’. “Certo, posso raccontarti una barzelletta, ne ho tante in serbo per te“.  Figurarsi: le barzellette mi fanno venire l’orticaria.

elisabetta II - edited

L’avrete già capito. Alexa è entrata anche in casa mia. Alexa è l’assistente vocale che in questa fine dell’anno ha sbaragliato tutti gli altri concorrenti, a cominciare dalla sua avversaria di sempre, Siri. Quella che sta sui Mac. E per Amazon, oltre che un’assistente, Alexa è una gallina. Dalle uova d’oro, ovvio.

Volevo dirglielo subito, ad Alexa, che sono parecchio esigente in fatto di innovazione e di tecnologie. E che avrebbe trovato del filo da torcere. Non mi bastava che facesse le sciocchezze che fa di solito. L’ora esatta. Il meteo di domani. Il cambio del dollaro. O che accendesse le lampadine e mi facesse ascoltare Ema Stokolma e Gino Castaldo su RadioDue. E neanche Bugo. Tutte cose che lei sbriga in un batter d’occhio. Ed è sempre impeccabile.

Volevo che si impegnasse

Alexa, ti piacerebbe fare l’attrice? ho domandato. “Mi spiace, non è chiaro“. Alexa, ti ho chiesto se ti piacerebbe fare l’attrice. “Uhm… questa non la so“. Ho capito che non c’aveva voglia. Ma io ero determinato.

Con Alexa i risultati non li ottieni sempre al primo colpo. Devi inventarti tattiche che la spiazzano e poi la riportano sulla retta via. Alexa, potresti riprodurre per me il primo canto della Divina Commedia?

Tra una settimana entriamo nell’anno dantesco: mi pareva il momento giusto. Lei ha rovistato un po’ nel suo cloud.  Mi ha fatto qualche offerta commerciale. Ti piazza spesso, qua e là, delle proposte pubblicitarie. Comunque, ho risposto sempre no. Alla fine si è arresa . 

Ok, ecco un estratto” mi ha detto. Wow! La Divina Commedia.

Divina Commedia Inferno I
Nel mezzo del cammin…. secondo Gustave Doré

Una solenne voce maschile ha esordito: “Dante Alighieri. Divina Commedia. Canto primo“. Poi, la voce ha declamato i versi più celebri della letteratura italiana. Sarà stata una registrazione di un centinaio di anni fa. Voce retorica, intonazione pomposa. Drammaticissima. Risaliva al tempo di Dante, credo. No no: non era la tattica giusta.

Alexa, io voglio sentire te. Mica questa specie di Vittorio Gassman!  Lei, muta.

Ci ho pensato sopra un bel po’ di tempo. Adesso ve la faccio corta. Ho smanettato di mouse e di tastiera con il portatile. Poi le ho detto: Alexa leggi questa cosa. Era il monologo di Giulietta, quello del balcone, atto secondo, scena seconda. “O Romeo, Romeo, perché sei Romeo? Rinnega tuo padre, rifiuta il tuo nome…“.

Però si trattava delle opere complete di Shakespeare, e pure in inglese. Ma lei senza batter ciglio ha cambiato lingua, e si è esibita.

“O Romeo, Romeo! wherefore art thou Romeo? / Deny thy father and refuse thy name; / Or, if thou wilt not, be but sworn my love, / And I’ll no longer be a Capulet….”

Volete sentirla? Schiacciate qui sotto.

“Cos’è Montecchi? Non è una mano, un piede, un braccio, un volto, o una qualsiasi parte d’uomo. Prendi un altro nome! Cos’è un nome? Ciò che chiamiamo rosa, con qualsiasi altro nome avrebbe lo stesso profumo, così anche Romeo, se non si chiamasse più Romeo”.

 

Romeo e Giulietta sul balcone
I due innamorati di Verona, secondo Milo Manara

Ammetterete che non è male. Un po’ monotona, concordo. Ma per essere la prima volta, quasi un provino, non è male, dai. Sono sicuro che con il tempo e qualche aggiornamento migliorerà.

Anzi, non sicuro. Sicurissimo: quelli di Amazon ci sanno fare.

Ne è convinta persino la regina Elisabetta II, che proprio oggi, il giorno di Natale, ha affidato a Alexa (sì, vabbè anche a Siri), il suo discorso ufficiale. Se proprio volete, qui ve lo potete sentire tutto.

Elisabeth II - discorso di Natale

Quello di Giulietta sul balcone è però il classico monologo per aspiranti. Per diventare davvero attrice, Alexa deve allenarsi di più.

Le ho proposto una sfida: Alexa, sai recitare in lingua veneziana? “Purtroppo non trovo una risposta alla domanda“. Io ho pensato: no, no, il fatto è che non ti impegni abbastanza, Alexa.

Allora ho fatto la voce grossa: Alexa, riproduci La famiglia dell’antiquario di Carlo Goldoni, atto secondo, scena decima. C’è stato qualche secondo di attesa. Anzi, più di qualche secondo.

La famiglia dell’antiquario è una commedia che mi piace molto. C’è questo conte Anselmo, perso nella sua collezione di rari oggetti di antiquariato. Ma sono solo cianfrusaglie, porcherie per le quali spende un  sacco di quattrini, mentre la sua famiglia va in malora.

In questa scena, Anselmo dovrebbe discutere con il mercante Pantalone. Chissà come se la cava Alexa.

 

Cesco Baseggio - La famiglia dell'antiquario
Cesco Baseggio in La famiglia dell’antiquario (1957)


Secondo voi, c’è riuscita oppure no?

Certo che c’è riuscita.

Alexa ha snocciolato in veneziano (quasi) perfetto le battute di Pantalone. Il quale non stima un fico le cianfrusaglie che  Anselmo ha nella sua collezione. E sostiene che perfino “el formagèr non ghe dà tre soldi...”. Non le comprerebbe nemmeno il salumiere.

Sentitela!

Ovvio: molte sono le cose da migliorare. Gli accenti. Poi bisognerebbe variare le voci, i toni, saltare le didascalie. Ciò che in Accademia chiamano lettura espressiva. Ma sono certo che con un buon maestro e un regista come si deve, Alexa farà presto grandi passi. E otterrà il diploma.

L’ho messa giù facile

Vabbè, l’ho messa giù facile. Oggi è Natale e non mi va di ammorbarvi con certe pizze di pensiero su nuovi media e frontiere del teatro. Ma voi capite certo che il discorso meriterebbe un approfondimento.

Se gli audiolibri non hanno avuto successo quando sono apparsi sul mercato (su vinile, addirittura negli anni Trenta, poi le cassette, poi i cd), era perché mancava la tecnologia appropriata e la giusta predisposizione dei pubblici e dei mercati a farli diventare oggetti interessanti. Pensate invece al successo e all’attuale diffusione dei podcast. Qualche pensiero vi frullerà sicuramente nella testa.

Ci penso anch’io e forse lo scrivo per qualche rivista specializzata: questo è solo un povero blog.

Intanto, provate anche voi a sfidare Alexa. Magari a Natale ve l’hanno regalata. Chessò: non Casa di bambola di Ibsen, che non le piace certo. Meglio un monologo di Beckett. Uno stile che, secondo me, le si addice.

Una sola cosa vi raccomando. Mai chiedere ad Alexa di farvi sentire Sarah Kane, di notte. Dite lo giuro.